lunedì 13 aprile 2015

UNA DIPENDENZA DA “BRIVIDO”


Cerco un'alternativa che dia una scossa alla mia normalità, l'abitudine mi soffoca non ce la faccio più...
Mai nessuno capirà questa è una emergenza, ho bisogno di una scarica da 9000 volt...
Io non riesco a capire quello che mi succede, sento il cuore che batte...
Soffro di dipendenza da una strana sostanza... io non posso star senza la mia dose di adrenalina
Prima o poi so' che impazzirò perché ne voglio sempre, sempre di più sono fatto per rischiare per non accontentarmi mai... 
La mia testa se ne va...

(Adrenalina, Finley, 2008)



In ogni essere umano vi è una spinta a cercare piacere e eccitamento praticando attività che possono essere considerate piacevoli e prive di rischio trovando un certo appagamento: si ascolta musica, si balla, si va alle feste, si fanno viaggi, si va al cinema, si passa del tempo in compagnia, ecc..
Questa ricerca non avviene allo stesso modo in tutti gli individui, né con lo stesso livello di coinvolgimento e può modificarsi nel corso delle varie fasi della vita.
La ricerca del piacere dunque è un aspetto fondamentale della natura umana anche quando comporta l’esposizione a notevoli rischi.
Un esempio è dato dal provare piacere ed eccitamento attraverso la pratica di sport estremi. Action sport (o sport estremi), ormai praticati da migliaia di persone, sono sport di estrema difficoltà che sfidano i limiti delle leggi fisiche e della sopportazione del corpo umano. Essi nascono come attività ludiche e vengono definiti sport 'californiani', proprio perché nascono nella California tra gli anni '50 e ‘60.
Per citarne alcuni: free running, paracadutismo, bungee jumping, parapendio, freestyle motocross, rafting, hydrospeed (nuotare seguendo la corrente), immersioni, arrampicata, windsurf, skysurf (paracadutismo acrobatico), sandboarding (simile allo snowboard ma praticato sulle dune), rugby subacqueo, torrentismo, slackline (stare in equilibrio su una corda sospesa in aria), heliski (sci fuori pista), ecc…
C’è addirittura chi partecipa al “turismo estremo”, ossia viaggi e vacanze organizzati appositamente per poter praticare uno o più di tali sport.
Tra i temi ricorrenti di chi pratica queste attività troviamo: bisogno di avventura, emozioni forti e fuori dall’ordinario, spinta ad affrontare situazioni insolite e rischiose, ritorno all’essenziale, piacere, esibizionismo, autodisciplina, forza, coraggio, ricerca di limiti da superare, sfida dell'imprevedibilità, autoperfezionamento, sfida con la morte.
Queste persone, infatti, hanno un continuo bisogno di emozioni forti e una necessità fisiologica di produrre adrenalina che gli procura benessere e piacere. Sono i cosiddetti «sensation seekers», cioè «cacciatori di emozioni», persone che regolano in questo modo lo stress e che senza queste discipline ad alto tasso di intensità emotiva si annoierebbero.
Adrenalina” appunto, è il termine più diffuso in chi pratica abitualmente o abbia provato almeno una volta questa esperienza. Infatti i dati di alcune ricerche scientifiche hanno cercato di dimostrare che gli sport estremi hanno la capacità di aumentare la secrezione dell'ormone, che una volta prodotto, provoca eccitazione. In questo caso, il rilascio di adrenalina sembra legato principalmente a due situazioni:
·        correre dei rischi (per la propria incolumità o per il proprio stato);
·        sentirsi padroni (di una situazione, di un qualcosa o di se stessi).
Generalmente il rilascio di adrenalina è stimolato da forti emozioni, agitazione, stress, ansia e in particolare la paura, e di solito in quelle situazioni dove è alto il rischio per la propria incolumità. L'adrenalina fa sì che il corpo ottenga un aumento del livello di energia disponibile, aumentando riflessi, forza, velocità, aggressività, e diminuendo la percezione del dolore. Questo “meccanismo” origina nel nostro primitivo istinto di sopravvivenza: in caso di pericolo (o presunto pericolo) dobbiamo essere in grado di “lottare o fuggire per salvarci”.

Qui la secrezione, associata al bisogno di rischiare e alla tendenza a ricercare sensazioni estreme, attiva un’esperienza denominata “combatti o fuggi” in grado di provocare i cosiddetti “brividi” che nelle persone che ricercano frequentemente questo tipo di attività sono vissuti piacevolissimi: provano un acuto senso di felicità e di completezza, sensazioni di euforia, soddisfazione. Vi sono persone che sviluppano forme di “tolleranza al brivido” (si abituano alla sfida estrema) e ricercano un’ulteriore sfida per “sentire il brivido”, diventando, così, meno capaci di valutare il rischio.

Vi sono persone che affrontano queste sfide estreme come se fossero una sorta di “vaccino contro la paura”, una specie di ricerca di sicurezza in situazioni incerte, vissute come un modo per superare i propri timori. Si è guidati dalla convinzione o dalla speranza che, se si superano grandi sfide, poi si diventerà meno intimoriti dalle prove quotidiane.

Vi sono anche coloro che tendono a rischiare in modo negativo soddisfacendo i propri bisogni di avventura attraverso attività autodistruttive (“ebrezza della paura”).
In queste situazioni il bisogno di ricercare il brivido si combina con tendenze comportamentali negative, incrementato da un alterato senso della vita: il risultato è il perseguimento della propria passione, ponendo a rischio sé e altri.

Ma cosa succede se viene superata la capacità massima di produzione di questo ormone?

Si possono avere effetti collaterali negativi, che entrano in gioco subdolamente sia a livello fisico che psichico, senza che ce ne rendiamo conto tra cui: ansia, agitazione, cefalea, vertigini, palpitazioni, pallore e tremori, perdita di appetito, nervosismo, irritabilità, insofferenza, tristezza, incapacità di concentrazione su altre attività, ecc…
Tutti questi fattori portano quindi ad una instabilità interna che ci tolgono la capacità di interagire correttamente con l’ambiente circostante e valutarlo aumentando la capacità di andare incontro a rischi e pericoli.
Praticare questo tipo di sport non è solo questione di esibizionismo o di casualità, perché queste persone hanno bisogno di livelli di attivazione fisiologica e mentale molto alti.
È una vera e propria filosofia di vita finalizzata alla ricerca del limite ed a un bisogno innato di euforia ed esaltazione a un viaggio interiore dal quale si esce molto cambiati.
Probabilmente chi pratica sport estremi è alla ricerca di se stesso e della propria identità che può avvenire proprio attraverso il mettersi alla prova in situazioni di limite.
Questi comportamenti, sembrano offrire una via d’uscita alle insicurezze e incertezze della vita, si cerca di sconfiggere il senso estremo d’insoddisfazione, di vuoto e di noia che si provano soprattutto nell’area affettiva e nella quotidianità. Si sente il bisogno di “sentirsi vivi”,di avere un corpo e si affrontano i rischi dopo averli esaminati, valutati e aver studiato le opportune contromisure. Il praticante di sport estremi è consapevole di provare paura, ma sa che potrà superarla solo riducendo il margine di rischio effettivo.
Dietro la tendenza a rischiare potrebbe risiedere una sopravvalutazione di sé oppure una svalutazione della vita, necessità personale di sfidare la vita, di sentirsi padroni e di controllarne anche gli eventi più incerti.

La regola è che ognuno deve essere libero di esprimersi come vuole per essere sé stesso. Tuttavia se predominano le tendenze distruttive, il rischio non calcolato e sottovalutato e le sensazioni di onnipotenza nella sfida alle proprie capacità, può essere necessario SFIDARSI a volersi più bene.

Dott.ssa Loredana Longo

Laureata in Psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara



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