sabato 27 luglio 2013

PSICOLOGIA DELLO SPORT

Appartenenza e integrazione per una squadra vincente
La maglia è il cuore della divisa di un calciatore, anche se nel corso della carriera può cambiare con frequenza. Non c’è giocatore, quindi, e non c’è squadra di calcio che non debba confrontarsi con il senso di appartenenza al gruppo e ai suoi colori. Si impara ad appartenere ad un gruppo, ad un sistema, già dalla nascita e ancor prima, quando non si conoscono i volti delle persone che ti parlano di amore e aspettative al di là delle pareti di quel grembo materno che si occupa di nutrirti senza troppe pretese. Così accade nel calcio a cominciare dalle categorie agonistiche. Le partite vengono giocate su campi ridotti, adatti all’età di riferimento ed il confronto è tra pari, per età e capacità. L’uguaglianza tra i membri del gruppo è una condizione che favorisce l’appartenenza e permette il nascere di una sana competizione mirata più che altro a coltivare il proprio talento.
Nella composizione di squadre di alto livello il processo di accorpamento dei giocatori è artificiale ed è dettato da regole implicite ed esplicite, non sempre condivise. La dimensione del gruppo è uno dei pochi elementi costanti come anche i ruoli definiti già a priori nella scelta dei giocatori appartenenti ad una presupposta formazione vincente. Altri elementi sono invece variabili ed influenzano le dinamichedel gruppo squadra. Nella rosa di una squadra il numero di protagonisti varia a seconda delle disponibilità economiche della società. E vi è la possibilità che vi siano più giocatori per lo stesso ruolo ed ogni reparto può contare su titolari e più riserve. La diversa pressione provata dai due membri dalla stessa funzione, può portare ad una percezione di maggiore o minore efficienza che può condizionare le relazioni all’interno del gruppo, oltre che l’impegno profuso.
Definirsi come gruppo, o come membri di una certa categoria sociale non basta per parlare di appartenenza, è necessaria una percezione collettiva di riconoscimento di similitudini e scopi comuni e accettazione delle differenze. La differenza per eccellenza è dettata dalla presenza di etnie multiple e dalla multiculturalità dei giocatori. Le difficoltà concrete si vedono in primis nello scambio verbale infatti, che inizialmente rappresenta un limite, per quanto superabile attraverso i training linguistici a cui sono sottoposti i calciatori di nazionalità diverse. L’impossibilità a comprendere l’indicazione dell’allenatore, i cori dei tifosi durante la gara, i commenti tra compagni nello spogliatoio, l’interpretazione del significato di una parola che nella lingua ospite può avere più accezioni, la fugace istruzione del collega durante la partita, sono tutti esempi di questo confine di diversità che può diventare una barriera relazionale. Dall’altro lato emerge la necessità dell’accettazione dello “straniero”, processo rallentato dalla categorizzazione sociale che rischia di sfociare in comportamenti ostili nei confronti del nuovo arrivato.
Appartenere ad una squadra significa riconoscere come proprie caratteristiche nuove senza mai perdere il significato delle proprie origini, delle proprie radici. Quest’ultimo è un concetto ben saldo nel pensiero dell’Athletic Bilbao, che ha costruito negli anni una squadra interamente composta da giocatori di origine basca, conservando intatte tutte le tradizioni e i colori che le hanno dato il prestigio di cui gode tutt'ora.  È una concezione alternativa di appartenenza molto forte che può essere mal interpretata come discriminazione o addirittura razzismo, ma che rappresenta la peculiarità di questa squadra.
Perché ogni membro della squadra si senta davvero parte di questa entità bisogna che ci sia una percezione di sostegno reciproco, la certezza che si abbattano pregiudizi basati su stereotipi e quella che viene chiamata interdipendenza positiva, ossia la condivisione di uno scopo sovraordinato che non può essere raggiunto singolarmente ma soltanto attraverso la cooperazione reciproca.
“L'appartenenza non è un insieme casuale di persone non è il consenso a un'apparente aggregazione l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé. […] Non è un insieme casuale di persone non è il consenso a un'apparente aggregazione. […] L'appartenenza è un'esigenza che si avverte a poco a poco si fa più forte alla presenza di un nemico, di un obiettivo o di uno scopo è quella forza che prepara al grande salto decisivo che ferma i fiumi, sposta i monti con lo slancio di quei magici momenti in cui ti senti ancora vivo. Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi”. (G. Gaber)

 dott.ssa Ivana Siena