lunedì 20 aprile 2015

ESSERE O NON ESSERE, QUESTO E' IL PROBLEMA!

Transessualismo e Adolescenza nel XXI secolo

 
Se dovessi definire il XXI secolo non potrei trovare espressione migliore di "We Can"="Noi  Possiamo".
Ma possiamo cosa???
Possiamo essere tutto ciò che vogliamo? Possiamo reinventarci giorno dopo giorno, prendere tutti quei parametri preconfezionati dalla società, come la nazionalità, lo stato civile, il genere,e gettarli dalla finestra? Possiamo essere realmente uomini liberi?
È davvero difficile poter dare una risposta a tutto, e forse un pò spaventa, ma confrontandomi con le persone ed ascoltando le tante notizie che provengono dal mondo, una cosa ha attirato la mia attenzione: com'è essere transessuale oggi?
Sembra talmente naturale per noi classificarci come uomo o donna, che il più delle volte lo diamo per scontato, non pensando che spesso qualcuno possa sentir opprimente l'essere rilegato in questo bipolarismo.
Parole come transgender, queer, terzo sesso, intersessualità, crossdressing invadono la TV e i giornali, riecheggiano nelle nostre teste, e a volte ne ignoriamo il reale significato. Sono Tutti termini che ci fanno sobbalzare o stranire, perchè ci mettono in contatto con nuovi tipi di realtà per troppo tempo non riconosciute, ma che esistono.
Ma proprio perchè siamo nell'epoca del "Possibile", non si può più continuare a far finta di nulla, a non vedere che l'uomo cambia, che è flessibile, che varia; c'è l'esigenza impellente di conoscere e comprendere per rispettare l'altro e noi, per essere d'aiuto, per essere realmente liberi.
IL DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali) ne parla in termini di DIG, disturbo dell'Identita' Di Genere, che nasce da una mancata corrispondenza tra la percezione interiore della propria identità di genere e il sesso biologico in cui si è nati, e che comporta una forte sensazione di estraneità e di disagio.
La sofferenza della persona transessuale però, è spesso dovuta non tanto alla propria condizione intrinseca, ma alle pressioni e alle violenze che esercita sull’individuo una società come la nostra, caratterizzata da un binarismo sessuale rigido e preconfezionato.
Inoltre, viene da chiedersi se è più o meno giusto parlare di disturbo, o meglio quanto etichettare questo disagio non accresca la tendenza a stigmatizzare e a considerare patologica qualunque espressività identitaria che si discosti dal modello maschio-femmina?
Un aspetto essenziale di tale problematica riguarda la giovane età in cui può comparire, infatti è proprio tra il primo e  il terzo anno di vita del bambino che si instaura l’identità di genere.
Quindi già dall’età di due-tre anni si potrebbe vivere un disagio rispetto la percezione di sé e la situazione si aggrava fortemente nell’adolescenza, fase in cui i cambiamenti puberali trasmettono al mondo un’immagine di sè in contrasto con il proprio sentire.
Dunque è importante intervenire nel modo corretto per salvaguardare il benessere psicofisico di questi bambini e adolescenti.
Ma in che consiste il modo corretto?
Delle risposte, da diverse parti del mondo, cominciano ad emergere, come ad esempio il progetto di  una  clinica olandese dove si "sospende" la pubertà degli adolescenti transgender.
Il VU Medical Center, alla periferia di Amsterdam, ha sviluppato un metodo per la presa in carico di teenager che presentano disforia di genere. Tale protocollo prevede, per i ragazzi di 12 anni, l'uso di farmaci appositi che bloccano la produzione degli ormoni sessuali e, dopo un periodo che può arrivare al massimo a 4 anni, se viene confermata la diagnosi di disforia di genere gli adolescenti sono reindirizzati, grazie a un’altra terapia ormonale, verso la pubertà dell’altro sesso.
Quello che per molti può essere vista come un'affrettare le cose o una manipolazione, ha esattamente lo scopo opposto, ovvero la sospensione della pubertà serve proprio per prendere tempo ed arrivare a una diagnosi accurata e a un’età in cui si può fare una scelta consapevole, migliorando nel frattempo il benessere psicologico degli adolescenti.
In Olanda, ogni piccolo paziente viene preso in carico da un team multidisciplinare che deve accertare se soffra davvero di disforia di genere,  è previsto una servizio di consulenza psicologica, che segue anche i genitori, figure essenziali in questo percorso, anche loro con la propria sofferenzza ed i propri bisogni, primo tra tutti prendersi cura dei propri figli. La sofferenza di chi presenta disforia di genere, infatti, lascia tracce persistenti, provocando danni concreti, questi ragazzi presentano tassi molto più alti della media di ansia, depressione, pensieri suicidi e disturbi alimentari.
Ma quali sono i reali vantaggi di tale procedura?
Gli esperti di Amsterdam parlano di risultati  impressionanti sia psicologici che fisici:
-il funzionamento psicologico migliora, gli adolescenti hanno meno problemi a scuola, con i compagni, nel loro ambiente sociale, calano i pensieri suicidi, l’ansia, i sintomi depressivi, in generale diminuisce la sofferenza psicologica;
-da un punto di vista fisico, se questi ragazzi e ragazze decideranno di cambiare davvero sesso, potranno evitare in seguito interventi invasivi e dolorosi e avranno un aspetto fisico molto più convincente nell’altro genere.
La sospensione della pubertà può essere considerata come un aiuto ad affrontare tutto questo in un periodo più calmo, senza lo stress e le pressioni del corpo che cambia, inoltre va sottolineato il fatto che non è un intervento irreversibile, in quanto è possibile tornare indietro senza che ci siano conseguenze durature. Solo arrivati all'età di 16 anni, se si sentono pronti, i pazienti possono iniziare ad assumere ormoni dell’altro sesso, mentre le operazioni chirurgiche per la rettificazione del sesso, come la ricostruzione genitale o la mastectomia, si possono intraprendere solo dopo i 18 anni.
Per quanto riguarda il nostro Paese, la sola richiesta di introdurre una tale procedura ha sollevato molteplici accuse ai medici di voler sottoporre i  bambini a manipolazioni biologiche.
L'iniziativa qui presentata può suscitare non poche perplessità, dubbi e controversie, ma sono dell'idea che questo "protocollo" rappresenti un primo segnale che qualcosa comincia a cambiare, è  in ogni caso un passo avanti, un modo di costruire un "ponte", di fornire un aiuto concreto. Probabilmete se si iniziasse a cambiare prospettiva almeno in parte la situazione cambierebbe, se l'obiettivo diventasse realmente quello di prendersi cura e di supportare l'asolescente e la sua famiglia, si riuscirebbe concretamente ad essere d'aiuto, a rendere il tuttto meno difficile, lento e complicato.
Ci si chiede se i bambini siano in grado di poter scegliere per loro stessi, ci si sente alle volte in colpa e responsabili del problema, ma se guardiamo ed ascoltiamo questi bambini invece la cosa più evidente è che per loro non c’è nulla di ambiguo o strano.
I dubbi e le incertezze devono rappresentare il motore della crescita, non il limite, e questo è possibile solo lavorando insieme su una adeguata informazione e una forte sensibilizzazione che cominci dalle famiglie, dalle scuole e da tutte quelle istituzioni che rivestono un ruolo essenziale nella nostra quotidianeità.
Dovremmo fermarci un momento e provare a chiederci se fosse facile alzarci una mattina, guardarci allo speccho e non riconoscerci, ma soprattutto non essere riconosciuti dal mondo esterno. Leggendo i vari articoli che circolano sul web una frase di un ragazzo mi risuona in mente: "Per voi è facile: andate al lavoro, litigate, vi ammalate, però siete sempre voi. Io ho un problema molto più grande: mi sveglio la mattina, mi metto una maschera e dico: ok, andiamo a recitare una parte”.  Non si può rimanere indifferenti e inermi di fronte a questa sofferenza, bisogna intervenire, anche a piccoli passi, ad esempio riconoscendo i segni di un probabile problema di identità di genere invece di banalizzarli, lasciando liberi i bambini di esprimersi come più si sentono a loro agio e non temendo di rivolgersi ad uno speacilista in grado di fornire un adeguato supporto psicologico non solo al ragazzo, ma all'intero nucleo familiare.
 
Dott.ssa Valentina D'Alessio
Laureata in Psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara

 

lunedì 13 aprile 2015

UNA DIPENDENZA DA “BRIVIDO”


Cerco un'alternativa che dia una scossa alla mia normalità, l'abitudine mi soffoca non ce la faccio più...
Mai nessuno capirà questa è una emergenza, ho bisogno di una scarica da 9000 volt...
Io non riesco a capire quello che mi succede, sento il cuore che batte...
Soffro di dipendenza da una strana sostanza... io non posso star senza la mia dose di adrenalina
Prima o poi so' che impazzirò perché ne voglio sempre, sempre di più sono fatto per rischiare per non accontentarmi mai... 
La mia testa se ne va...

(Adrenalina, Finley, 2008)



In ogni essere umano vi è una spinta a cercare piacere e eccitamento praticando attività che possono essere considerate piacevoli e prive di rischio trovando un certo appagamento: si ascolta musica, si balla, si va alle feste, si fanno viaggi, si va al cinema, si passa del tempo in compagnia, ecc..
Questa ricerca non avviene allo stesso modo in tutti gli individui, né con lo stesso livello di coinvolgimento e può modificarsi nel corso delle varie fasi della vita.
La ricerca del piacere dunque è un aspetto fondamentale della natura umana anche quando comporta l’esposizione a notevoli rischi.
Un esempio è dato dal provare piacere ed eccitamento attraverso la pratica di sport estremi. Action sport (o sport estremi), ormai praticati da migliaia di persone, sono sport di estrema difficoltà che sfidano i limiti delle leggi fisiche e della sopportazione del corpo umano. Essi nascono come attività ludiche e vengono definiti sport 'californiani', proprio perché nascono nella California tra gli anni '50 e ‘60.
Per citarne alcuni: free running, paracadutismo, bungee jumping, parapendio, freestyle motocross, rafting, hydrospeed (nuotare seguendo la corrente), immersioni, arrampicata, windsurf, skysurf (paracadutismo acrobatico), sandboarding (simile allo snowboard ma praticato sulle dune), rugby subacqueo, torrentismo, slackline (stare in equilibrio su una corda sospesa in aria), heliski (sci fuori pista), ecc…
C’è addirittura chi partecipa al “turismo estremo”, ossia viaggi e vacanze organizzati appositamente per poter praticare uno o più di tali sport.
Tra i temi ricorrenti di chi pratica queste attività troviamo: bisogno di avventura, emozioni forti e fuori dall’ordinario, spinta ad affrontare situazioni insolite e rischiose, ritorno all’essenziale, piacere, esibizionismo, autodisciplina, forza, coraggio, ricerca di limiti da superare, sfida dell'imprevedibilità, autoperfezionamento, sfida con la morte.
Queste persone, infatti, hanno un continuo bisogno di emozioni forti e una necessità fisiologica di produrre adrenalina che gli procura benessere e piacere. Sono i cosiddetti «sensation seekers», cioè «cacciatori di emozioni», persone che regolano in questo modo lo stress e che senza queste discipline ad alto tasso di intensità emotiva si annoierebbero.
Adrenalina” appunto, è il termine più diffuso in chi pratica abitualmente o abbia provato almeno una volta questa esperienza. Infatti i dati di alcune ricerche scientifiche hanno cercato di dimostrare che gli sport estremi hanno la capacità di aumentare la secrezione dell'ormone, che una volta prodotto, provoca eccitazione. In questo caso, il rilascio di adrenalina sembra legato principalmente a due situazioni:
·        correre dei rischi (per la propria incolumità o per il proprio stato);
·        sentirsi padroni (di una situazione, di un qualcosa o di se stessi).
Generalmente il rilascio di adrenalina è stimolato da forti emozioni, agitazione, stress, ansia e in particolare la paura, e di solito in quelle situazioni dove è alto il rischio per la propria incolumità. L'adrenalina fa sì che il corpo ottenga un aumento del livello di energia disponibile, aumentando riflessi, forza, velocità, aggressività, e diminuendo la percezione del dolore. Questo “meccanismo” origina nel nostro primitivo istinto di sopravvivenza: in caso di pericolo (o presunto pericolo) dobbiamo essere in grado di “lottare o fuggire per salvarci”.

Qui la secrezione, associata al bisogno di rischiare e alla tendenza a ricercare sensazioni estreme, attiva un’esperienza denominata “combatti o fuggi” in grado di provocare i cosiddetti “brividi” che nelle persone che ricercano frequentemente questo tipo di attività sono vissuti piacevolissimi: provano un acuto senso di felicità e di completezza, sensazioni di euforia, soddisfazione. Vi sono persone che sviluppano forme di “tolleranza al brivido” (si abituano alla sfida estrema) e ricercano un’ulteriore sfida per “sentire il brivido”, diventando, così, meno capaci di valutare il rischio.

Vi sono persone che affrontano queste sfide estreme come se fossero una sorta di “vaccino contro la paura”, una specie di ricerca di sicurezza in situazioni incerte, vissute come un modo per superare i propri timori. Si è guidati dalla convinzione o dalla speranza che, se si superano grandi sfide, poi si diventerà meno intimoriti dalle prove quotidiane.

Vi sono anche coloro che tendono a rischiare in modo negativo soddisfacendo i propri bisogni di avventura attraverso attività autodistruttive (“ebrezza della paura”).
In queste situazioni il bisogno di ricercare il brivido si combina con tendenze comportamentali negative, incrementato da un alterato senso della vita: il risultato è il perseguimento della propria passione, ponendo a rischio sé e altri.

Ma cosa succede se viene superata la capacità massima di produzione di questo ormone?

Si possono avere effetti collaterali negativi, che entrano in gioco subdolamente sia a livello fisico che psichico, senza che ce ne rendiamo conto tra cui: ansia, agitazione, cefalea, vertigini, palpitazioni, pallore e tremori, perdita di appetito, nervosismo, irritabilità, insofferenza, tristezza, incapacità di concentrazione su altre attività, ecc…
Tutti questi fattori portano quindi ad una instabilità interna che ci tolgono la capacità di interagire correttamente con l’ambiente circostante e valutarlo aumentando la capacità di andare incontro a rischi e pericoli.
Praticare questo tipo di sport non è solo questione di esibizionismo o di casualità, perché queste persone hanno bisogno di livelli di attivazione fisiologica e mentale molto alti.
È una vera e propria filosofia di vita finalizzata alla ricerca del limite ed a un bisogno innato di euforia ed esaltazione a un viaggio interiore dal quale si esce molto cambiati.
Probabilmente chi pratica sport estremi è alla ricerca di se stesso e della propria identità che può avvenire proprio attraverso il mettersi alla prova in situazioni di limite.
Questi comportamenti, sembrano offrire una via d’uscita alle insicurezze e incertezze della vita, si cerca di sconfiggere il senso estremo d’insoddisfazione, di vuoto e di noia che si provano soprattutto nell’area affettiva e nella quotidianità. Si sente il bisogno di “sentirsi vivi”,di avere un corpo e si affrontano i rischi dopo averli esaminati, valutati e aver studiato le opportune contromisure. Il praticante di sport estremi è consapevole di provare paura, ma sa che potrà superarla solo riducendo il margine di rischio effettivo.
Dietro la tendenza a rischiare potrebbe risiedere una sopravvalutazione di sé oppure una svalutazione della vita, necessità personale di sfidare la vita, di sentirsi padroni e di controllarne anche gli eventi più incerti.

La regola è che ognuno deve essere libero di esprimersi come vuole per essere sé stesso. Tuttavia se predominano le tendenze distruttive, il rischio non calcolato e sottovalutato e le sensazioni di onnipotenza nella sfida alle proprie capacità, può essere necessario SFIDARSI a volersi più bene.

Dott.ssa Loredana Longo

Laureata in Psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara



domenica 12 aprile 2015

WORKSHOP FORMATIVO



L'ESPERIENZA DEL GENOGRAMMA


Dal 09 al 10 maggio 2015
il Centro di Psicoterapia Familiare di Pescara
ospiterà nella sede del Centro di Psicoterapia Familiare  
in via N. Fabrizi, 60 a Pescara
un workshop formativo sul
“L'esperienza del Genogramma: lo strumento, l’utilità, le modalità”

Questo appuntamento è il primo di una serie di incontri formativi per Psicologi, Psicoterapeuti ed altre figure legate al benessere psicologico che “Il Centro di Psicoterapia Familiare” organizza quest’anno.   

Le inviamo il materiale descrittivo delle attività di questo primo Week end del 2015:

Il GENOGRAMMA è uno strumento grafico di rappresentazione della struttura (almeno) tri-generazionale della famiglia, che ha lo scopo di mantenere traccia delle risultanze dell'indagine psicodiagnostica relazionale e guidarla rispetto alle dinamiche emotive, di funzione e di relazione che caratterizzano la specifica famiglia che si sta trattando in terapia.
Attraverso il Genogramma si scoprono i punti di forza e di debolezza dei membri della famiglia e dell'intero gruppo, conoscendone le ragioni evolutive di questi, conquistando così una buona base condivisa di conoscenza della propria storia per affrontare proficuamente le trasformazioni insite in un buon percorso psicoterapeutico.
Questo strumento può essere usato proficuamente da didatti esperti anche in sessioni formative, dove si utilizza con gli/le allievi/e allo scopo di:
·       consentire ad ognuno di essi una profonda conoscenza della propria storia evolutivo-relazionale,
·       di individuare gli schemi inconsci ed automatici di relazione da cui si viene dominati,
·       apprendere esperienzialmente l'uso dello strumento.
PROGRAMMA:
Teoria e struttura del genogramma, tecnica applicativa, uso degli oggetti e delle foto di famiglia,   applicazione esemplificativa di primo livello con alcuni partecipanti (max 2 su esplicita richiesta).

DESTINATARI:
Psicologi, psicoterapeuti, counselor, assistenti sociali, educatori,  dirigenti di comunità, operatori socio-assistenziali, pedagogisti.

TEMPI E COSTI:
Il costo del week end formativo è di € 150,00 e si svolgerà nei seguenti orari: sabato 09 maggio dalle ore 10.00 alle 19.00 (con pausa pranzo), domenica 10  dalle 10.00 alle 14.00.

CONDUTTORI:
     Dott. Cesario Calcagni (psicologo, psicoterapeuta, Didatta             
     Accademia di Psicoterapia della Famiglia)
Dott.ssa Ivana Siena (psicologa, psicoterapeuta Direttrice del Centro di Psicoterapia Familiare Pescara-Foggia)

Verrà rilasciato attestato di frequenza.

Per questa iniziativa, può prenotarsi, entro e non oltre il 30 Aprile 2015 rispondendo a questa e-mail o contattando direttamente la dott.ssa Ivana Siena al numero 391.351.90.17
A seguito della prenotazione verrà comunicato l’Iban per il versamento della quota di iscrizione.
Il workshop è a numero programmato: si accettano, cioè, iscrizioni fino a un massimo di 12 partecipanti, così come, al di sotto di un minimo di 6 persone esso verrà rinviato di un mese, ad un’altra data. La quota versata, in tal caso, potrà fungere da nuova prenotazione o essere restituita.  



sabato 11 aprile 2015

CI HANNO FATTO CREDERE




Ci hanno fatto credere che l’amore, quello vero, si trova una volta sola, e in generale prima dei trent’anni.
Non ci hanno detto che l’amore non è azionato in qualche maniera e nemmeno arriva ad un’ora precisa.
Ci hanno fatto credere che ognuno di noi è la metà di un’arancia, che la vita ha senso solo quando riusciamo a trovare l’altra metà.
Non ci hanno detto che nasciamo interi, che mai nessuno nella nostra vita merita di portarsi sulle spalle la responsabilità di completare quello che ci manca: si cresce con noi stessi. Se siamo in buona compagnia, è semplicemente più gradevole.
Ci hanno fatto credere in una formula chiamata “due in uno”: due persone che pensano uguale, agiscono uguale, che solamente questo poteva funzionare.
Non ci hanno detto che questo ha un nome: annullamento. Che solamente essere individui con propria personalità ci permette di avere un rapporto sano.
Ci hanno fatto credere che il matrimonio è d’obbligo e che i desideri fuori tempo devono essere repressi.
Ci hanno fatto credere che i belli e magri sono quelli più amati, che quelli che fanno poco sesso sono all’antica, e quelli che invece ne fanno troppo non sono affidabili, e che ci sarà sempre un scarpa vecchia per un piede storto!
Solo non ci hanno detto che esistono molte più menti “storte” che piedi.
Ci hanno fatto credere che esiste un’unica formula per la felicità, la stessa per tutti, e quelli che cercano di svincolarsene sono condannati all’emarginazione.
Non ci hanno detto che queste formule non funzionano, frustrano le persone, sono alienanti, e che ci sono altre alternative.
Ah, non ci hanno nemmeno detto che nessuno mai ci dirà tutto ciò.
Ognuno di noi lo scoprirà da sè. E così, quando sarai molto innamorato di te stesso, potrai essere altrettanto felice, e potrai amare qualcuno.”
~ John Lennon




Versione originale:
“They made us believe that real love, the one that’s strong, only happens once, more likely before your thirties. They never told us that love is not something that you can put in motion, neither has time schedule.
They made us believe that each one of us is the half of an orange, and that life only makes sense when you find that other half. They did not tell us that we were born as whole, and that no one in our lives deserves to carry on his back such responsibility of completing what is missing on us: we grow through life by ourselves. If we have a good company it’s just more pleasant.
They made us believe in a formula “two in one”: two people sharing the same line of thinking, same ideas, and that it is what works. It’s never been told that it has another name: invalidation, that only two individuals with their own personality is how you can have a healthy relationship. It has been made to believe that marriage is an obliged institution and that fantasies out of hour should be repressed.
They made us believe that the thin and beautiful are the ones who are more loved, that the ones that have little sex are boring, and the ones that have a lot of it are not trustful, and that will always have a old shoes to a crooked foot; what they forgot to tell us is that there are more crooked minds than feet.
They made us believe that there’s one way formula to be happy, the same one to everybody, and the ones that escape from that are condemned to be delinquents. We have never been told that those formulas go wrong, they get people frustrated, they are alienating, and that we can try other alternatives. Oh! Also they did not tell us that no one will tell those things to us. Each and everyone of us will have to learn by ourselves.
And, when we get to the point that you are in love with yourself first, that’s when you can fall in love with somebody.”
~ John Lennon
Ci hanno fatto credere che ognuno di noi è la metà di un’arancia, che la vita ha senso solo quando riusciamo a trovare l’altra metà.
Non ci hanno detto che nasciamo interi, che mai nessuno nella nostra vita merita di portarsi sulle spalle la responsabilità di completare quello che ci manca: si cresce con noi stessi. Se siamo in buona compagnia, è semplicemente più gradevole.
Ci hanno fatto credere in una formula chiamata “due in uno”: due persone che pensano uguale, agiscono uguale, che solamente questo poteva funzionare. Non ci hanno detto che questo ha un nome: annullamento. Che solamente essere individui con propria personalità ci permette di avere un rapporto sano.
Ci hanno fatto credere che il matrimonio è d’obbligo e che i desideri fuori tempo devono essere repressi.
Ci hanno fatto credere che i belli e magri sono quelli più amati, che quelli che fanno poco sesso sono all’antica, e quelli che invece ne fanno troppo non sono affidabili, e che ci sarà sempre un scarpa vecchia per un piede storto! Solo non ci hanno detto che esistono molte più menti “storte” che piedi.
Ci hanno fatto credere che esiste un’unica formula per la felicità, la stessa per tutti, e quelli che cercano di svincolarsene sono condannati all’emarginazione. Non ci hanno detto che queste formule non funzionano, frustrano le persone, sono alienanti, e che ci sono altre alternative.
Ah, non ci hanno nemmeno detto che nessuno mai ci dirà tutto ciò.
Ognuno di noi lo scoprirà da sè. E così, quando sarai molto innamorato di te stesso, potrai essere altrettanto felice, e potrai amare qualcuno.”
- John Lennon -
Ci hanno fatto credere che ognuno di noi è la metà di un’arancia, che la vita ha senso solo quando riusciamo a trovare l’altra metà.
Non ci hanno detto che nasciamo interi, che mai nessuno nella nostra vita merita di portarsi sulle spalle la responsabilità di completare quello che ci manca: si cresce con noi stessi. Se siamo in buona compagnia, è semplicemente più gradevole.
Ci hanno fatto credere in una formula chiamata “due in uno”: due persone che pensano uguale, agiscono uguale, che solamente questo poteva funzionare. Non ci hanno detto che questo ha un nome: annullamento. Che solamente essere individui con propria personalità ci permette di avere un rapporto sano.
Ci hanno fatto credere che il matrimonio è d’obbligo e che i desideri fuori tempo devono essere repressi.
Ci hanno fatto credere che i belli e magri sono quelli più amati, che quelli che fanno poco sesso sono all’antica, e quelli che invece ne fanno troppo non sono affidabili, e che ci sarà sempre un scarpa vecchia per un piede storto! Solo non ci hanno detto che esistono molte più menti “storte” che piedi.
Ci hanno fatto credere che esiste un’unica formula per la felicità, la stessa per tutti, e quelli che cercano di svincolarsene sono condannati all’emarginazione. Non ci hanno detto che queste formule non funzionano, frustrano le persone, sono alienanti, e che ci sono altre alternative.
Ah, non ci hanno nemmeno detto che nessuno mai ci dirà tutto ciò.
Ognuno di noi lo scoprirà da sè. E così, quando sarai molto innamorato di te stesso, potrai essere altrettanto felice, e potrai amare qualcuno.”
- John Lennon -
Ci hanno fatto credere che ognuno di noi è la metà di un’arancia, che la vita ha senso solo quando riusciamo a trovare l’altra metà.
Non ci hanno detto che nasciamo interi, che mai nessuno nella nostra vita merita di portarsi sulle spalle la responsabilità di completare quello che ci manca: si cresce con noi stessi. Se siamo in buona compagnia, è semplicemente più gradevole.
Ci hanno fatto credere in una formula chiamata “due in uno”: due persone che pensano uguale, agiscono uguale, che solamente questo poteva funzionare. Non ci hanno detto che questo ha un nome: annullamento. Che solamente essere individui con propria personalità ci permette di avere un rapporto sano.
Ci hanno fatto credere che il matrimonio è d’obbligo e che i desideri fuori tempo devono essere repressi.
Ci hanno fatto credere che i belli e magri sono quelli più amati, che quelli che fanno poco sesso sono all’antica, e quelli che invece ne fanno troppo non sono affidabili, e che ci sarà sempre un scarpa vecchia per un piede storto! Solo non ci hanno detto che esistono molte più menti “storte” che piedi.
Ci hanno fatto credere che esiste un’unica formula per la felicità, la stessa per tutti, e quelli che cercano di svincolarsene sono condannati all’emarginazione. Non ci hanno detto che queste formule non funzionano, frustrano le persone, sono alienanti, e che ci sono altre alternative.
Ah, non ci hanno nemmeno detto che nessuno mai ci dirà tutto ciò.
Ognuno di noi lo scoprirà da sè. E così, quando sarai molto innamorato di te stesso, potrai essere altrettanto felice, e potrai amare qualcuno.”
- John Lennon -