lunedì 31 marzo 2014

GIOCHI DI RUOLO


QUANDO IL NUMERO PERFETTO IRROMPE E SPEZZA TUTTI GLI SCHEMI

Quante cose possono ruotare intorno ad una “semplice” figura?!
In campo musicale il triangolo è uno strumento a percussione; in campo geometrico equivale ad un poligono formato da tre angoli o vertici e da tre lati. Il triangolo nero, invece, è un simbolo del lesbismo o femminismo dei gay pride; quello di Kanizsa, infine, rappresenta un’illusione ottica molto nota descritta per la prima volta nel 1955 dallo psicologo italiano Gaetano Kanizsa.
Ma, lo schema del Triangolo Drammatico (Drama Triangle) all’interno delle dinamiche relazionali, è stato formalizzato dallo psicologo statunitense Stephan Karpman in un articolo del 1968.
Tale triangolo viene solitamente inquadrato nel contesto dell’Analisi Transazionale e collegato al modello presentato da Eric Bern nel saggio “A che gioco giochiamo?”. Può essere considerato come un copione interpersonale relativo ai ruoli ed ai giochi di ruolo. Ma che cos’è un gioco?
Bern lo definisce come “Una serie di transizioni ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con uno scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnati da stati d’animo sul mondo spiacevoli.
Ma perché le persone giocano? Il “giocare” rappresenta un modo per soddisfare i propri bisogni, per nutrirsi, per dare e ricevere riconoscimenti o carezze. Il gioco, in pratica, permette alle persone un coinvolgimento emotivo e relazionale anche se negativo.

La struttura triangolare si riferisce all’interazione complementare tra due persone (A e X) e la presenza sulla scena di tre copioni di ruolo. Ogni volta che ognuno di noi gioca entra in uno di questi tre ruoli:
Ø VITTIMA: è il ruolo di colui che si adatta anche quando la situazione non lo richiede. La sua posizione si basa sul dire IO non sono OK, TU sei OK. La sua caratteristica principale è quella di non amare la responsabilità, cercando sempre un capro espiatorio, qualcuno cui incolpare dei propri errori.

La vittima manipola gli altri installando in senso di colpa nel Persecutore, e cerca di far sì
che il Salvatore si attivi per aiutarla. Esprime dolcezza e dolore – nasconde forza. 

Ø PERSECUTORE: ruolo rivestito da chi impartisce ordini, regole, norme e limiti che aumentano il malessere e la dipendenza, utilizzando l’espressione IO sono OK, TU no.
Spesso egli finge di non essere mai debole, manipolando e assumendo potere sugli altri attraverso la forza e la violenza. In questo modo la Vittima finisce per far ciò che il Persecutore gli ordina: esprime aggressività – nasconde debolezza e paura.

Ø SALVATORE: rappresenta la parte di noi apparentemente protettiva ma che, in realtà, non favorisce la crescita e l’autonomia dell’altro. La posizione assunta sarà, dunque, IO sono OK, TU non sei OK. Con la scusa di aiutare gli altri li mantiene in stato di dipendenza; egli vive un cattivo rapporto con se stesso e cerca di riscattare l’immagine negativa che ha di sé con azioni meritorie. Il Salvatore aiuta la Vittima ma le permette di rimanere tale: esprime bontà ed interesse – nasconde bisogni personali e solitudine.

Questi ruoli, se portati avanti in modo Legittimo, non sono mai negativi; lo diventeranno, invece, qualora venissero usati allo scopo di manipolare le altre persone.


Come agiscono i ruoli all’interno del Triangolo Drammatico:
L’azione drammatica ha inizio quando P, S, V vengono stabiliti o previsti dal pubblico: senza scambio di ruoli non c’è dramma! Per esempio, nel gioco “voglio solo aiutarti”, nel Drama Triangle avviene una rotazione (spesso in senso orario) dei ruoli, di conseguenza: la Vittima diventa Persecutore e il Salvatore diventa Vittima, dando vita a quello che Karpman chiama lo SCARTO DRAMMATICO.

Abbiamo visto come la partecipazione ai giochi comporta un tornaconto in termini di carezze, anche se negative; in questa situazione, inoltre, è presente una comunicazione dove gli altri sono ridotti alla stregua d’oggetti, con un tipo di relazione IO/ESSO, privati della loro individualità e del loro valore, escludendo la possibilità di viver ed esprimere sentimenti autentici.
Un modo felice di “essere-nella-relazione”, in un tipo di relazione IO/TU, potrà essere possibile riconoscendo le proprie posizioni all’interno del Triangolo Drammatico, interrompendo i giochi  uscendo dai ruoli. Il guadagno reale sarà espresso in termini di benessere e crescita personale.

Tutto il mondo è un palcoscenico,
e tutti, uomini e donne non sono che attori.
Hanno le loro entrate e le loro uscite..
Ciascuno nella sua vita recita diverse parti
W. Shakespeare 


Dott.ssa Sabrina Agostinone


venerdì 28 marzo 2014

PSICOLOGIA E GIUSTIZIA

LA MEDIAZIONE FAMILIARE NEI CASI DI SEPARAZIONE CONIUGALE



La Mediazione Familiare è uno spazio di incontro in un ambiente neutrale, nel quale la coppia può negoziare le questioni relative al tema della loro separazione, negli aspetti relazionali e “economici”. I genitori vengono incoraggiati ad elaborare degli accordi che soddisfino i bisogni di tutti i membri della famiglia, dando molta importanza all’interesse dei figli.
La Mediazione Familiare è una nuova risorsa per sostenere i genitori in conflitto durante la fase di separazione/divorzio. Un percorso durante il quale i genitori chiedono ad un terzo imparziale di aiutarli a gestire le difficoltà emotiva ed organizzative, della frattura del legame coniugale. Gli accordi presi devono risultare condivisi, soddisfacenti per sé e per i bambini, rispettati nel tempo. La Mediazione si pone l’obiettivo di rendere la coppia protagonista, responsabile nella gestione del conflitto, nell’ottica di continuità genitoriale.
Due sono gli obiettivi fondamentali di questo intervento:
- guidare i genitori in conflitto a cercare delle soluzioni che siano reciprocamente soddisfacenti per sé e per i figli;
- recuperare una comunicazione funzionale che gli permetterà in seguito di rispettare gli accordi, e di poterne trovare altri in base all’evolversi dei bisogni di ogni membro della famiglia e dei cambiamenti che la vita porrà loro di fronte.
Durante il percorso si possono trattare tutte le tematiche riguardanti l’organizzazione della separazione (aspetti emotivi e “materiali”), perché sono una parte integrante degli scambi relazionali tra i componenti della famiglia, e sono oggetto di negoziazione nei nuovi accordi della coppia separata.
I  temi più discussi per quanto riguarda gli aspetti relazionali sono:
- l’affidamento dei figli, l’analisi dei bisogni di genitori e figli, la continuità genitoriale, le scelte educative, la comunicazione della separazione ai figli, la comunicazione tra i genitori, la relazione con gli eventuali nuovi compagni dei genitori, problematiche legate alla famiglia ricostituita.
La coppia sceglie le problematiche da patteggiare; può sentire il bisogno di portare in Mediazione solo alcuni temi affrontati nell’ambito di una separazione, avendo già elaborato per gli altri delle soluzioni trovate in perfetta autonomia. Questo percorso è utile in tutte le fasi di sviluppo della separazione/divorzio, perché si adatta alle diverse esigenze comunicate dalle diverse tipologie di coppie siano esse coppie in crisi (uno dei due partner è deciso per la separazione e l’altro non l’accetta, ma la decisione di separarsi è chiara per entrambi), coppie separate di fatto, coppie separate legalmente o coppie separate da tempo/divorziate.
La Mediazione Familiare è maggiormente interessata alle coppie con figli perché uno degli obiettivi è costituito dalla riorganizzazione delle relazioni familiari dal punto di vista della continuità genitoriale, dando importanza all’interesse dei figli.
In caso di coppie senza figli, si possono, con loro, applicare in maniera efficace delle tecniche di mediazione. La consulenza tratta i seguenti temi:
- espressione delle emozioni legate alla separazione, elaborazione del lutto della separazione, gestione del conflitto, riapertura dei canali comunicativi, rapporti con le famiglie d’origine.
Da tempo ci si chiede se sia opportuno far partecipare i bambini alle sedute di Mediazione familiare:
- per alcuni è inutile perché coinvolgerebbe i bambini nei problemi dei genitori;
- altri, al contrario lo ritengono opportuno perché permette ai bambini di intervenire in maniera attiva sul cambiamento delle relazioni familiari, stimolato dalla comunicazione dei loro vissuti e bisogni.
I mediatori solitamente lavorano solo con i genitori, preferendo una evocazione simbolica dei figli, lavorando tramite la narrazione e rappresentazione dei figli nei due genitori. Il rischio di tutto ciò, potrebbe essere che i minori, siano gravati di responsabilità che competono solamente gli adulti. Occorre però, restare flessibili e aperti su una loro eventuale convocazione, sui loro specifici bisogni, e alle richieste dei figli (se hanno un’età adeguata all’incontro, se sono stati preparati precedentemente in maniera idonea da parte dei genitori). Questo percorso si delinea attraverso delle fasi il cui sviluppo varia in base alle esigenze espresse dalla coppia in separazione.
Il processo si svolge attraverso dei passaggi chiave:
- la pre-mediazione: finalizzata a creare le condizioni emotive migliori affinché i partner siano disponibili a patteggiare sulle questioni inerenti i vari temi della loro separazione. Qui la coppia prende coscienza della decisione di separazione da parte di entrambi i membri della coppia. Con l’aiuto del mediatore essi fanno un bilancio personale, coniugale e genitoriale degli anni vissuti insieme e elaborano le motivazioni che li hanno portati alla separazione, le implicazioni emotivo – affettive connesse alla frattura della relazione;
- il contratto di mediazione: i genitori con l’aiuto del mediatore definiscono i temi che intendono discutere e riportare nel contratto, la sottoscrizione di questo contratto è un momento di impegno che i genitori assumono, reciprocamente, davanti al mediatore, ad intraprendere un percorso, rispettando le regole e condividendo gli obiettivi;
- la negoziazione ragionata: la negoziazione facilita l’esplorazione dei bisogni delle due parti, al di là delle posizioni rigide assunte, creando una buona relazione che permette alla coppia di trovare soluzioni condivise, e gestire autonomamente delle negoziazioni future;
- la redazione degli accordi: il mediatore stende gli accordi raggiunti in un progetto d’intesa che consegna ad entrambi i partner, ognuno può seguirne le indicazioni per riorganizzare la propria vita e quella dei figli. Il mediatore favorisce nuove modalità relazionali e comunicative, scrive un documento d’intesa contenente le condizioni di separazione negoziate nei singoli incontri nel rispetto degli interessi di ogni membro della famiglia.
Ponendosi in una posizione neutrale, il mediatore si limita a favorire forme di collaborazione stimolando i partner nell’esplorazione di soluzioni innovative e personalizzate.
Grazie a questo clima idoneo al rapporto empatico instaurato con la coppia, può sostenere ogni genitore nella ridefinizione della propria identità personale e nella negoziazione delle questioni relative alla separazione. Una delle caratteristiche della Mediazione risiede nella brevità, intensità e pragmaticità nella ricerca di soluzioni concrete a fronte della difficoltà della coppia. L’accento è posto sull’analisi della situazione attuale. La Mediazione facilita le interazioni familiari, è un metodo di lavoro strutturato che richiede specifiche competenze nella risoluzione del conflitto.
La psicologia giudiziaria nella mediazione dei conflitti costituisce un’area emergente che ha trovato applicazione nel campo familiare e poi si è ampliata in ambito penale. Lo psicologo giuridico, qui, è chiamato a favorire nelle persone coinvolte l’espressione delle proprie divergenze e il confronto delle diversità di posizione, potenziando la capacità di trovare accordi che possano essere condivisi e assunti responsabilmente, perché corrispondenti alle esigenze emerse da entrambe le parti. La Mediazione offre un supporto all’iter giudiziario sia in vista di una separazione/divorzio, sia a procedimento già avviato.
E’ importante che il percorso sia intrapreso prima dell’instaurazione di un giudizio in tribunale, e in caso sia già iniziato, si dovrebbe sospendere fino all’esito della Mediazione. I genitori possono consultare un proprio legale di fiducia in ogni momento lo ritengano opportuno. Gli accordi raggiunti in Mediazione non vincolano giuridicamente la coppia, la quale può decidere di rispettarli per riorganizzare la propria vita, o di sottoporli al proprio avvocato perché li trasfonda in un atto giuridico. L’avvocato e il mediatore hanno un ruolo tra loro autonomo e complementare. L’avvocato può fornire consigli e pareri elaborati in base alle proprie capacità professionali. Il mediatore fornisce informazioni di carattere legale, ma non può rilasciare pareri perché questi implicano un giudizio che andrebbe ad inquinare la neutralità cui è tenuto. Si deve pensare alla Mediazione Familiare in termini di affiancamento e integrazione al contesto giudiziario, è un intervento che ottiene maggiori risultati quando è il frutto di rapporti di collaborazione tra le diverse competenze, all’insegna del rispetto delle rispettive autonomie, poiché la separazione coniugale è un evento allo stesso tempo relazionale e giuridico. 
Dott.ssa Sara Drudi

Dottoressa in Psicologia, sta effettuando il tirocinio formativo presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara

giovedì 27 marzo 2014

LA FELICITA' SECONDO MATTEO

COS'E' LA FELICITA'?


La felicità è un diritto che l'uomo, in quanto essere umano, possiede.
Non si sa bene cosa sia però una cosa è certa: tutti la cercano, tutti la vogliono.
E' soggettiva perché non esiste una formula, ma ogni uomo, nel tempo, comprende qualcosa di essa.
Esistono vari modi per essere felici. C'è chi la felicità la acquisisce grazie ad una situazione, ad un evento, ad esempio.
Beh è davvero misterioso, enigmatico stabilirne i contorni, non si può comprendere appieno perché l'uomo inconsapevolmente abbia questo bisogno.
Quello che si può dire sicuramente è che l'essere umano fa di questa ricerca il fondamento della sua vita. Perché in fondo la felicità non è altro che uno stato d'animo, una scelta. L'essere umano infatti può scegliere se essere felice, felice della sua vita. La felicità non è eliminare i problemi, ma cambiare la visione che talvolta abbiamo di essi. Se l'uomo è felice affronta e percepisce le difficoltà in maniera diversa.
A sua volta, la difficoltà non è una barriera ma diventa un ponte per metterci alla prova e dimostrare il vero valore di noi uomini. Perché l'uomo vale e può senz'altro essere padrone di se stesso. Può riuscire anche nei momenti negativi a non farsi annichilire dalle situazioni.
La felicità è misteriosa, deve essere riconosciuta nel piccolo. Chi riesce a scovare nell'ordinario lo straordinario può dirsi felice, perché l'uomo non si accontenta mai e spesso non si rende conto che tutto quello di cui ha bisogno fa già parte del suo quotidiano, è lì a portata di mano.
È qualcosa che non vedi ma percepisci, La senti. Gli altri però la vedono nei nostri occhi; quando siamo felici abbiamo la luce dentro e con quella stessa luce illuminiamo la vita degli altri.
Matteo Sborgia
Matteo Sborgia è un ragazzo di Pescara (PE), iscritto alla Magistrale di Lettere Moderne all'Università di Chieti (CH). Attraverso questa riflessione sulla Felicità lancia la sua sfida alle difficoltà della vita testimoniando l'importanza di assaporare il gusto delle piccole cose del quotidiano.



mercoledì 26 marzo 2014

DIPENDENZA AFFETTIVA AL MASCHILE

OTELLO E DON GIOVANNI
esempi Illustri di “Un amour malade”

I rapporti amorosi attingono al patrimonio esperienziale consolidatosi nel corso dell’infanzia, con alcune differenze però:
·         L’attaccamento infantile è tipicamente Complementare, poiché è il bambino a dipendere e ricevere protezione da un genitore accudente.
·         Quello adulto è più tipicamente Reciproco, dove entrambi i partner si scambiano tenerezza, accudimento ed interesse.
·         L’attaccamento Amoroso adulto scaturisce solitamente, a seguito di una attrazione erotica, dal sistema motivazionale Sessuale.
L’attrazione sessuale gioca, dunque, un ruolo fondamentale nella scelta iniziale di un partner affettivo ma non nel mantenimento del legame stesso. Questo perché nella specie umana, tale legame può assicurare l’unione ma non il successo riproduttivo. Fare l’amore, però, senza riuscire a trovare nell’altro anche calore, comprensione e tenerezza porterà rapidamente alla fine del rapporto che rimarrà occasionale..
È necessario distinguere due tipi di relazioni: quella con un attaccamento tra i partner chiamato COERCITIVO e quello EVITANTE.
Il primo Espone in modo intenso le proprie emozioni di rabbia, paura o bisogno di conforto che diventano immediatamente percepibili tentando, inconsapevolmente, d’indurre l’altro al soddisfacimento dei propri bisogni.
Il secondo Evita e reprime principalmente le proprie emozioni più autentiche; nei rapporti affettivi può essere distante ma anche troppo compiacente o controllato in modo da “funzionare” in maniera ineccepibile, ma solo apparentemente.

Otello e il coercitivo rabbioso:                                                    
E’ lui il nostro personaggio in cerca d’amore, un amore passionale e totale, di cui però Otello non può mai rassicurarsi di aver veramente trovato. Non riesce a superare la fase dell’innamoramento e la sua ansia di separazione è sempre all’estremo.
La sua dolce amata Desdemona, per quanti sforzi faccia, non riesce a tranquillizzarlo poiché egli immagina sempre di essere ingannato. Otello detesta Desdemona quanto più si accorge di dipendere da lei.




“Ti avrò uccisa e potrò ancora amarti..
Confessa lentamente il tuo peccato perché anche se tu lo negassi e con giuramento,
punto per punto, non potresti attenuare né distruggere quella forte convinzione della tua colpa che mi fa delirare.
Tu devi morire


Don Giovanni e la paura del contatto:                                           
Ecco qui un altro illustre protagonista; la sua strategia si basa sul non coinvolgimento affettivo e sul non mostrare sentimenti ed emozioni, in particolar modo quelli inerenti allo sconforto ed all’ansia. Le relazioni del Don Giovanni sono intensamente sessuali ma non affettive e comunque mostra sempre il bisogno di cambiare continuamente partner prima di coinvolgersi troppo.


Eh! Consolatevi, non siete voi , non foste, e non sarete né la prima né l’ultima”.

 “L’interdipendenza degli opposti”: THOMAN E TEREZA
Il romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera, si svolge a Praga negli anni intorno al 1968e descrive la vita degli artisti e degli intellettuali cecoslovacchi nel periodo fra la Primavera di Praga e la successiva invasione da parte dell'Unione Sovietica. La storia si focalizza sul gruppo noto come il Quartetto di Kundera, composto da Tomáš (un chirurgo di fama e successo che ad un certo punto perde il lavoro a causa di un suo articolo su Edipo che, anche a causa delle modifiche operate dai redattori del giornale a cui lo ha inviato, risulta molto critico nei confronti dei comunisti cechi), la sua compagna Tereza (una fotografa), la sua amante Sabina (una pittrice) e un altro amante di Sabina, Franz (un professore universitario). Questi quattro personaggi vengono seguiti nelle loro vite fino alla fine.
Lei (Tereza) è il prototipo della dipendenza amorosa fragile e vulnerabile; la sua stessa anima di donna sembra risvegliata e resa reale solo da Thomas. Insicura e costantemente minacciata da sentimenti di perdita, regolai suoi stati interni monitorando continuamente il marito esibendo la sofferenza straziante per i tradimenti di lui facendolo sempre sentire colpevole. Così facendo, Tereza, controlla completamente il suo uomo, il quale rinuncerà a tutta la sua vita per lei.


Lui (Tomáš) vive da classico distanziante, si tiene al riparo da coinvolgimenti pericolosi rifiutando rabbiosamente chi vuole incastrarlo. Egli rivendica fino all’estremo l’esplorazione libertina del mondo attraverso il sesso, ma di fronte alla vulnerabilità di Tereza il suo desiderio di prendersi cura diventa amore.

“l’Inconciliabilità degli opposti”: SABINA E FRANZ
Franz ama in modo idealizzato e totale, donandosi all’altro senza difese; rappresenta il classico cavaliere per il quale “amare significa rinunciare alla forza”. Egli continuerà ad amare “l’impronta dorata” che Sabina aveva lasciato nella sua vita, forgiando se stesso su quell’impronta.
Sabina rappresenta, invece, la leggerezza, la fuga da qualsiasi vincolo e costrizione: a suo modo ama Thomas con il quale aveva condiviso il segreto della complicità, l’intensità del segreto, della passione e della libertà.

Liberarsi dalla dipendenza affettiva significa ricostruire un senso di sé: è questo l’obiettivo che dovrà insinuarsi nella mente e solo allora si potrà incominciare un cammino di cambiamento attraverso l’assunzione di una nuova responsabilità verso se stessi.
Dott.ssa Sabrina Agostinone












lunedì 24 marzo 2014

NARCISO, A CHI?

MANIPOLATORE “PERFETTO”
NEL TEATRO DEI BURATTINI

"Mai più!" Diceva imperiosa la sua volontà. "Domani ancora!" Supplicava il cuore singhiozzante.
 Hermann Hesse


Doctor Jekyll e Mister Hyde, dolce al cospetto degli altri, ma vendicativo e subdolo alla spalle. 
Avete capito di chi stiamo parlando? 
Nessun soggetto in particolare, ma solo persone: narcisisti o meglio ancora manipolatori affettivi. Non i narcisisti in generale, coloro che hanno dei tratti inerenti a questa personalità, ma quelli cinico, maligni e patologici. 
Tendenzialmente sono bugiardi, ipocriti e manipolatori affettivi. Hanno un’alta considerazione di loro stessi, esagerano le proprie capacità, appaiono spesso presuntuosi, credono di essere speciali, superiori, di dover essere soddisfatti in ogni loro bisogno e pretendono di avere diritto ad un trattamento particolare. Il tutto risulta condito dal comportamento malizioso che porta tale soggetto ad avere anche tratti borderline, antisociali e paranoici.
L’altro è solo lo specchio in cui si riflettono.
Si tratta di persone altamente danneggiate, che a loro volta hanno subito traumi, maltrattamenti, abusi comportamentali ed emotivi verificatisi in tempi molto precoci e per questo perpetuano il trauma traumatizzando a loro volta.
La vita per loro è paragonabile ad un grande teatro nel quale loro sono i protagonisti burattinai e gli altri non sono che vittime delle loro manovre; proprio come il famoso personaggio della favola di Pinocchio, in burbero Mangiafuoco che da bravo burattinaio muove i fili dei suoi personaggi.
La manipolazione costituisce il fulcro di ogni relazione narcisistica e la perseverazione nella stessa la connota di perversione, ed è l’unica modalità per entrare in contatto con l’altro.
Gli strumenti di manipolazione più diffusi sono:
1) il ricatto affettivo e le minacce
2) la colpevolizzazione
3) le bugie e le lusinghe
4) la denigrazione
5) l’ invadenza
6) le spalle al muro: è la tecnica che chiude il dialogo mettendo in evidenza le contraddizioni dei ragionamenti, manipolandoli in modo tale così da far passare l’altro come una persona incoerente.

Secondo la Dott.ssa Nazare-Aga le azioni tipiche del manipolatore affettivo sono:
-         Colpevolizza gli altri, ricattandoli in nome del legame familiare, dell’amicizia, dell’amore;
-         Critica, svaluta e giudica le qualità, la competenza, la personalità altrui;
-         Utilizza lusinghe per adulare, fa regali o improvvisamente è premuroso;
-       Fa la parte della vittima per essere compatito (esaspera il suo malessere e il carico di lavoro);
-         Deforma e interpreta la verità;
-         Non sopporta le critiche e nega l’evidenza;
-         Mente;
-         E’ egocentrico.
I manipolatori affettivi vengono spesso denominati anche vampiri affettivi in quanto sono personalità che non sanno amare ma solo ‘risucchiare’ forze ed energie al partner.
Ma, chi è la vittima del manipolatore?
Le vittime predilette di questi individui sono infatti persone totalmente incapaci di immaginare che l’altro possa essere ‘distruttivo’, che cercano sempre di trovare delle spiegazioni logiche al suo comportamento e di evitare ogni malinteso. Forse chi non è perverso non può immaginare che possa esistere manipolazione e malevolenza in determinati soggetti.
Di fronte all’attacco perverso le vittime coinvolte affettivamente con i vampiri, si mostrano comprensive e cercano di perdonare. Amore e ammirazione le spingono a pronunciare frasi del tipo Se è così è perché è triste e infelice. Lo aiuterò, lo guarirò!”.
Molte vittime fanno della salvezza dell’altro una vera e propria missione di vita. Ecco che si stabilisce quindi un circuito malsano dove la vittima si nutre della speranza di cambiare l’altro e l’altro sferra senza pietà i suoi attacchi proprio perché nessuno lo contrasta, anzi viene capito e accolto: le vittime si illudono e sperano.
Ci troviamo dunque di fronte a coppie formate da narcisisti perversi rigidi e vittime passive che cercano sempre di capire, di giustificare, mettendo da parte la propria dignità e alimentando la falsa speranza che il carnefice raggiunga prima o poi la consapevolezza delle sue azioni.

Ci si chiede spesso perché le vittime non reagiscano; la risposta non è semplice da dare. Probabilmente sono reduci da esperienze infantili dove non hanno sviluppato una sana capacità di espressione delle loro emozioni e bisogni, dove non si sono potute permettere di ‘ribellarsi’. I vampiri affettivi sono ovunque ma spesso risulta difficile riconoscerli e difendersi: con loro, dunque, risulta difficile stabilire una relazione sana ma sarà più facile instaurare un gioco patologico tra la vittima e il suo carnefice.

Dott.ssa Sabrina Agostinone
Tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus