giovedì 16 maggio 2013

UNIVERSITA' della LIBERA ETA' - IL CICLO DI VITA DELLA FAMIGLIA


Si è svolta, martedì 14 Maggio 2013 presso il MU.MI di Francavilla al Mare (CH), la lezione sul “Ciclo di Vita della Famiglia” tenuta dalla dott.ssa Ivana Siena nell'ambito dell'anno accademico dell'Università della Terza Età. I partecipanti hanno approfondito la tematica oggetto della lezione palesando grande interesse in particolare sui concetti di legame, confine e dinamiche familiari.
La lezione è stata introdotta dal Prof. Massimo Pasqualone ed hanno presenziato alla stessa l’artista abruzzese Tiziana Giampaolo ed il Presidente della’Associazione Culturale MOTUS, l’Avv. Michele Accettella.

Luciano Rapa


















PAURA


RIFLESSIONI SULLA PAURA: intervista alla dott.ssa Anna Oliverio Ferraris


Che cos'è la paura? La paura è un'emozione che appartiene all'uomo, ma anche ad altri animali. È come un campanello d'allarme, una reazione dinanzi ad un pericolo, ma, a differenza degli animali, per l'uomo la paura riveste un valore ambivalente, oscilla tra istinto ed elaborazione culturale e si colloca nel cuore della nostra vita psichica divenendo un determinante fattore di crescita o d'involuzione. Basta osservare le diverse espressioni che utilizziamo per parlare della paura: paura di crescere, paura di amare, paura del futuro, paura del nulla, paura del prossimo, paura di noi stessi. Allora che ruolo gioca la paura nella sfera psichica individuale. Attraverso quali dinamiche psichiche l'individuo affronta, controlla, rielabora o subisce la paura? Quando e secondo quali modalità essa sconfina nella patologia? Come possiamo imparare a non avere paura della paura?
La paura fa parte della nostra vita quotidiana, ma quando e perché oltrepassa i suoi limiti e diviene patologia?
OLIVERIO FERRARIS: La paura è una delle emozioni fondamentali con cui noi nasciamo e che, come ogni emozione, ci serve per strutturare il nostro mondo, la nostra vita. Chi dice di non avere paura è semplicemente un incosciente, perché corre moltissimi rischi. Però non bisogna lasciare che essa superi certi limiti e che diventi invasiva, perché la si contrasta individuando i modi per fronteggiarla. Se noi pensiamo di poter avere un controllo su certe situazioni, la paura diminuisce lasciando spazio alla razionalità che interviene per trovare i modi di soluzione. Invece in certe situazioni la paura finisce per essere terrore, soprattutto quando pensiamo di non avere vie d'uscita. È importante dunque che si impari fin da piccoli a valutare i modi per fronteggiarla, che sono tanti e diversi. Quando un bambino è molto piccolo si affida alle sue figure di attaccamento. Poi man mano che cresce deve imparare a contare su sé stesso.
Qual è il confine tra paura istintiva e paura culturale?
OLIVERIO FERRARIS: La paura è sempre istintiva, poi si colora in base a fattori culturali. Naturalmente ogni epoca ha le sue paure. Nel Medioevo c'era la paura della peste nera verso cui la gente si sentiva completamente esposta, priva di difese. Oggi invece abbiamo paure diverse: la bomba atomica, il terrorismo, le armi biologiche. Ecco, tutto quello che sfugge al nostro controllo genera paura ed alcune paure sono più diffuse di altre proprio per la sensazione di non poter controllarle. 
Quando, la paura della morte, è presente nella vita psichica di un individuo?
OLIVERIO FERRARIS: In realtà tutte le paure originano da quella paura fondamentale, dalla consapevolezza che noi siamo persone finite e che un giorno moriremo. Questo è l'elemento irrisolvibile che crea tutte le altre paure. La soluzione consiste nel rassegnarci all’idea di doverci preparare a questo evento ultimo, accettando la propria condizione di esseri che nascono e che muoiono. Dobbiamo proiettarci in un sistema più vasto, perché noi facciamo parte del genere umano. Dovremmo mantenere un pizzico di quel senso di onnipotenza che appartiene ai bambini nei primi anni di vita. Un bambino pensa di non morire, pensa che muoiano gli altri, poi, man mano, si rende conto che anche per lui la morte è inevitabile.
In che modo il singolo individuo esorcizza le proprie paure?
OLIVERIO FERRARIS: Non c'è un modo particolare. Molto dipende dall'età, dall'esperienza e anche dalle caratteristiche individuali. C'è chi si rifiuta di pensarci, chi invece la sfida continuamente per sondare i suoi limiti; è il caso di chi pratica discipline sportive che spingono l’individuo al limite del possibile. Ecco, c’è chi affronta il rischio per vedere quanto egli sia è forte e quanto possa osare. Poi ci sono altri modi basati sulla razionalità, sulla strategia. Per esempio nella storia antica vi è una differenza tra il coraggio fisico di Achille e quello razionale di Ulisse. Quest’ultimo, quando si trova nella grotta di Poliremo, accetta che il ciclope mangi alcuni dei suoi compagni, senza lasciarsi prendere dal panico, perché egli ha una sua strategia. Così come ci sono tante forme di paura, ci sono altrettante forme di coraggio. È necessario che la paura sfoci nel coraggio, che non è incoscienza, perché il coraggio è qualcosa di calcolato e non sempre si manifesta nello stesso modo. Di volta in volta, valutando la situazione, si può attuare una forma di coraggio che consista nel prendere immediatamente un’iniziativa, così come invece richieda la capacità di saper aspettare il momento giusto per reagire.
È possibile trasmettere le paure per contagio?
OLIVERIO FERRARIS: La paura è molto contagiosa, perché noi siamo degli animali gregari che vivono in gruppo e se qualcuno individua una minaccia, la trasmette agli altri attraverso segnali specifici. Scatta l’allarme che, spesso, anziché venire elaborato al fine di trovare una soluzione adeguata per fronteggiarlo, si trasforma in panico incontrollabile. In caso di incendio all'interno di uno spazio dove siano radunate moltissime persone, come uno stadio, una sala cinematografica o un teatro, coloro che si trovano in prossimità delle uscita di sicurezza si precipitano fuori, mettendo in agitazione coloro che invece sono collocati più in dietro. Se in questi casi ci si limita alla reazione istintiva, allora assistiamo alla tragedia di chi viene calpestato, di chi viene colto da malore, e così via, se, invece, pensiamo alla strategia migliore, che è quella di aspettare che i primi escano rapidamente dalla sala e che gli altri aspettino qualche secondo, la tragedia sarebbe evitata. Ma questi comportamenti debbono essere insegnati. È per questo che, in alcuni locali, vengono effettuati delle simulazioni di crisi, per poter sondare il modo migliore per consentire l’evacuazione dell’edificio senza che vi siano danni alle persone.
Noi sappiamo che condividere le paure con altri ci aiuta a superarle. Quindi condividere la paura è un bene?
OLIVERIO FERRARIS: Si. Raccontarsi le paure spesso significa esorcizzarle. Esistono delle paure che, per alcune persone, non hanno alcuna soluzione e la disperazione di fronte a questa consapevolezza spesso può venire alleviata, se non addirittura rimossa, dalla condivisione con gli altri della paura stessa. È quanto è accaduto nei campi di concentramento, dai quali non c’era via d'uscita, ma la possibilità di stare insieme agli altri aiutava nei momenti critici.
Molte persone, per paura di affrontare la realtà, si adeguano ad essa. Secondo Lei, questo conformismo, deriva dalla paura di essere sé stessi?
OLIVERIO FERRARIS: Si. Ci sono persone che preferiscono adeguarsi, conformarsi al gruppo piuttosto che esporsi a sostenere una tesi non condivisa dalla collettività. Questo perché l’idea di rimanere soli aumenta il livello di paura e di ansia. Soltanto chi è sicuro di sé ha il coraggio di portare avanti un’idea che ritiene giusta. Ecco perché il coraggio è qualcosa che si costruisce nel corso di tutta la vita a partire dai primi anni; esso è indispensabile per la costruzione della stima di sé. Due persone che hanno vissuto le stesse situazioni difficili di vita, potrebbero averle vissute in maniera completamente diversa e, in genere, le vive meglio chi ha dei punti di riferimento, chi al di fuori sa di avere degli amici che contano su di lui, chi ha una notevole stima di sé, chi ha una visione abbastanza ottimistica nella vita per cui pensa che le difficoltà, per quanto gravi, possano essere superate. Chi invece non è riuscito nel corso della vita a maturare una personalità tale, allora pensa di non poter fare nulla in prima persona, perché secondo lui è l'ambiente che decide e che regola la vita degli individui.
Quindi c'è bisogno sempre e comunque dell'appoggio di un'altra persona?
OLIVERIO FERRARIS: In effetti chiunque dovrebbe avere sufficiente sicurezza in sé stesso per riuscire a fronteggiare le difficoltà da solo pur sapendo che da qualche parte ci sono delle persone che la pensano come lui. Crescendo l’individuo interiorizza una serie di sicurezze e di conoscenze della realtà, tali da spingerlo all’elaborazione di strategie di comportamento valide.
 Lei nel Suo libro ha scritto che le donne tendono a manifestare la paura più degli uomini. Perché accade questo e come cambiano le paure dall'uomo alla donna?
OLIVERIO FERRARIS: Si, per una questione in gran parte di tipo culturale. Mentre la donna, fin da bambina, può manifestare le proprie paure senza che scattino, da parte del gruppo, meccanismi inibitori, lo stesso non si può dire per il maschio che deve invece celare le proprie paure, viverle e risolverle in silenzio perché questo è indice di forza.
Ciò nonostante non significa che gli uomini non vivano delle emozioni; hanno soltanto imparato a non manifestarle, perché questo sarebbe una prova di debolezza. In questo senso direi che le donne sono più avvantaggiate perché, oltre che poter esprimere le proprie emozioni liberamente, possono parlarne liberamente per superarle.
In molti casi potrebbe essere anche l'ignoranza una delle cause della paura?
OLIVERIO FERRARIS: Si. È il caso di chi, trovandosi di fronte ad una situazione complessa, non ha elementi per risolverla, perché sin da piccolo non gli sono stati insegnati dagli educatori. Ecco, che, subentrano allora le superstizioni. Malinowski, a proposito di una popolazione di pescatori, racconta che quando essi andavano a pescare in laguna adottavano appropriate tecniche di pesca, mentre, prima di andare in alto mare, facevano dei riti magici. Questo accadeva perché non avevano una tecnica in grado di fronteggiare quel tipo di ambiente e dunque contavano sul fato, sulla superstizione. È qui che gioca l’ignoranza.
Secondo Moravia la coscienza è paura, l'incoscienza è coraggio. Lei è d'accordo con questa affermazione?
OLIVERIO FERRARIS: No. Non sono d'accordo. A mio avviso l'incosciente non è coraggioso, ma una persona che non vede il pericolo e per questo rischia molto. Potrebbe anche andargli bene, ma allora, anziché contare sulla ricerca della soluzione di quel pericolo, si affida alla fortuna che, però, non sempre è dalla nostra parte.
Si può dire che per l'individuo, crescendo, la paura diventi sempre più astratta? Per esempio il bambino, quando è piccolo, ha paura del fuoco perché sa che, se si avvicina, si scotterà, quindi sentirà dolore. L’adulto invece ha paura del suo futuro?
OLIVERIO FERRARIS: In un certo senso è così. Ogni età ha le sue paure. Il neonato alla nascita ha paura dei rumori forti, del dolore, ma non del buio, perché viene da un luogo buio. Avrà paura del buio intorno ai due, tre anni, perché si sarà abituato alla differenza luce/buio, dunque capirà che al buio ha un minore controllo della realtà. Quindi ha la paura non del buio, ma nel buio. Un bambino di due o tre anni non ha ancora paura dei mostri, perché non ha abbastanza fantasia per rappresentarseli, mentre un bambino di quattro o cinque anni incomincia già a avere paura dei fantasmi, dell'uomo nero e così via. A quattro o cinque anni incomincia a sentire parlare di morte e comincia a farsene una prima idea, soprattutto in caso di morte di una persona che lui conosce o anche di un animale a lui caro. A sette o otto anni può cominciare ad avere paura degli incidenti, dei ladri, oppure delle punizioni. Un adolescente invece sviluppa paure inerenti al suo rapporto con gli altri. Egli deve essere più autonomo, deve fronteggiare tutta una serie di situazioni sociali, spesso ha paura di fare una brutta figura in determinate occasioni. Si tratta di paure sociali per un ambiente che ancora non controlla bene, perché anche in questo ambito bisogna acquisire delle competenze. E man mano che si va avanti si impara. Più si conosce, in genere, più la paura diminuisce. Maggiore è la conoscenza e minore è la paura. L’esperienza insegna, anche se talvolta è traumatizzante. Prendiamo il caso di un individuo che ha assistito ad una rapina. È probabile che egli sviluppi un trauma per rimuovere il quale si debbano mettere in atto alcune tecniche specifiche. Perché questa è un'altra caratteristica della paura: più si lascia passare il tempo, più c'è il rischio che s'ingigantisca a causa della nostra immaginazione. È questo che ci differenzia dagli animali, perché mentre loro vivono nel presente rispondendo istintivamente a uno stimolo, noi, in più, abbiamo la capacità di rielaborare mentalmente le esperienze, di collegarle tra loro o, come nell’esempio, di ingigantire un problema.
Il filosofo Heidegger dice che l'angoscia è la disposizione fondamentale che ci mette di fronte al nulla. Secondo Lei qual'è la differenza tra angoscia e paura?
OLIVERIO FERRARIS: L’angoscia è qualcosa di molto diffuso che dipende dalle paure di natura esistenziale. Per esempio, se io ho paura dell’aereo usufruirò, per viaggiare, di un altro mezzo di trasporto, se ho paura dei luoghi chiusi o troppo affollati, preferirò quelli all’aria aperta. Queste sono strategie. Però, se, la paura è nella mia psiche, come la paura costante della morte e del pericolo in generale, allora è incontrollabile e, per questo, nessuna strategia sarà in grado di eluderla. L’unica via d’uscita potrebbe essere quella di convogliare questo tipo di paure su un unico aspetto dell'esistenza, in modo da poterlo controllare e quindi risolverle. 
Vedere rappresentata in televisione la paura della morte può avere su di noi un effetto catartico oppure no?
OLIVERIO FERRARIS: Spesso la rappresentazione cinematografica e anche teatrale della paura serve a far uscire fuori le nostre, a liberarcene. Se le paure sono lì, non sono dentro di me. Dipende dalla capacità dell’artista di renderla catartica. In genere tutti questi film sulla paura, questi film horror, vogliono avere un po' questa funzione. Una persona si specchia nelle proprie paure, però intanto è seduto in una poltrona, sa che non gli può succedere niente, poi esce e si libera. Purché la rappresentazione di queste paure non sia eccessiva e con dei tagli terrificanti, altrimenti alcune persone potrebbero rimanere traumatizzate o addirittura praticarla per sortirne gli effetti in prima persona. È sempre una questione di misura. Per questo, dicevo, dipende dalla capacità del regista.
La psicoterapia cerca di aiutare l'individuo a superare le proprie paure, ma con quali metodi?
OLIVERIO FERRARIS: Ci sono vari metodi. Intanto bisogna vedere se è una paura localizzata e superficiale, legata a un trauma specifico oppure se è una paura di tipo esistenziale, più profonda. Nel caso in cui si cada da cavallo e si abbia paura di rimontare in sella, la terapia è abbastanza facile, perché ci si riavvicina al cavallo, con cautela, senza però lasciar passare troppo tempo. Se invece, dietro a quella paura, che sembra specifica, c'è un problema esistenziale, un'insicurezza di fondo, una mancanza di autostima, allora si ha a che fare con un problema più grave e dunque la terapia psicologica consisterà nel risalire all’origine di questo stato di crisi.