domenica 27 gennaio 2013

GIOCO D'AZZARDO PATOLOGICO: I PARTE




«Lo invase all’improvviso, mentre era seduto al tavolo verde. Non era la prima volta: conosceva bene quell’inarrestabile sensazione di soffocamento che lo prendeva alla gola. Per qualche minuto, mai di più. Un attacco di panico in piena regola, come ne aveva avuti tanti altri. Accompagnato da tachicardia e palpitazioni, mentre il respiro diventava sempre più corto. Gli sembrava che il cuore si fermasse, che scoppiasse. Invece era la sua mente a essere stretta in un cerchio bollente. Perdeva forte, quella sera, anche a chemin de fer, il gioco al quale si era sempre ritenuto imbattibile. «Perchè lì non basta la fortuna, lì ci vuole la logica», amava ripetere. E lui, in quanto a logica e raziocinio, era senza dubbio il migliore.
Invece perdeva. Non aveva fatto altro, quell’ultimo anno. In totale era sotto di ottocento milioni; molto anche per lui, imprenditore che ne aveva passate di tutti i colori, che con il suo lavoro e la sua abilità aveva sempre guadagnato cifre esorbitanti. Che tante volte era finito nella polvere e che si era rialzato. Che aveva vinto nella vita e nel gioco.
Aveva giocato otto milioni di lire, quella notte. Non molti, per le sue medie, ma non aveva altro. Anzi, quei soldi erano l’anticipo che gli aveva dato un cliente su una commissione che avrebbe dovuto presto onorare.
Incredibile, pensò mentre la morsa alla gola finalmente si allontanava; se sei ricco, giochi cinquanta milioni senza tremare, resti lucido. E vinci. Se invece affidi a quattro soldi tutto te stesso, perché sei pieno di debiti, e vincere è la tua sola speranza...allora crolli, ti fai prendere dall’angoscia. Proprio come sta accadendo a me, ora».

Si tratta di una delle testimonianze raccolte da Silvana Mazzocchi in una struttura della ASL addetta al trattamento di ex giocatori d’azzardo patologici.
Ci sono molte tipologie di giocatori e molteplici fattori che inducono alla scelta di questa via di sfogo dei propri impulsi, ma di questo parlerò nelle pagine seguenti.

Introduzione al gioco d’azzardo
  
Il gioco trasferisce ricchezza senza produrne.
Il volume ufficiale del gioco d’azzardo è un iceberg che allude a un altro mostro sommerso, fatto di gioco clandestino o non dichiarato. Di anno in anno le cifre aumentano e nonostante la punta si faccia più evidente, ciò che rimane sommerso batte ogni fervida immaginazione. Sostituisce la speranza, e se la realtà del giocatore si fa intrisa di speranza allora accade che non si necessita più di un oggetto di compensazione ed i volumi si abbassano temporaneamente per riemergere al variare delle circostanze.                                                                                                                                                                                                                                             
Negli anni varia anche la modalità di introduzione di nuovi giochi. Inizialmente tutto si fondava sulla speranza di forti vincite ottenute con piccole somme di denaro; “vincere un terno al lotto o fare tredici” sono espressioni divenute sinonimi del linguaggio comune di un imprevisto colpo di fortuna.
È noto che la psicologia profonda del giocatore è segnata dal divieto interno di vincere. Questo divieto assicura che le piccole quote vinte così spesso nei giochi istantanei vengano immediatamente reinvestite in acquisti di altri biglietti.
La ripetizione del gioco nasconde la ri-petizione della speranza e del suo tempo da parte del giocatore. Con la coazione a ripetere il giocatore curva il tempo, trasforma il futuro in vigilia e si dissocia dal presente poiché con l’illusione si inganna il reale. Un’estrazione, l’arrivo di una corsa di ippica, l’ultima monetina, rappresentano il capolinea di questa operazione emotiva ma anche il giro di boa da cui poter ricominciare.
Quell’illusione che inganna il reale però è anche un espediente vitale proprio perché consente di sopravvivere. Il gioco insomma è vizio, ma anche espediente vitale di sopravvivenza ed è denuncia implicita delle carenze del mondo anche se in definitiva serve anche ad ammortizzare la povertà dal punto di vista sociale.
Il gesto è antichissimo: la dea è bendata e si chiede alla dea di essere visti  e graziati. Il costo del biglietto equivale ad un’offerta votiva per impetrare la sua attenzione. La coazione a ripetere ha facile gioco e sull’altare della dea le piccole vincite si bruciano come candele.
Giocare insegna fin da piccoli a stare bene con gli altri e a sviluppare la creatività. Ma quando diventa un vizio produce una dipendenza che deve essere curata.
I piccoli giocano per apprendere e attraverso questo mezzo crescono.
Nell’adulto invece, è un atto volontario, che ha spesso uno scopo ben preciso e si svolge sotto la guida dell’intelligenza; solitamente nel gioco i grandi esprimono i sentimenti e tendono a dare un fine all’attività. Giocare bene è fondamentale perché aiuta a sperimentare situazioni nuove, a vivere meglio ed è sinonimo di immaginazione creativa. La fantasia e il gioco hanno anche funzione terapeutica, insegnano a stare bene con gli altri, ad affrontare situazioni nuove, aiutano a compensare le frustrazioni e a difendere da ansia e insicurezze. Sono un'ottima cura per i disturbi del carattere e le conflittualità.
Il gioco d’azzardo nasce sulla base della propensione umana che spinge ad associare il gioco al rischio dei propri soldi e beni. Nella storia si sono sviluppate numerose tipologie di giochi a rischio che si associano alla casualità, le cui tracce sono riscontrabili sia nei reperti archeologici sia nei vecchi manoscritti provenienti dalla Cina, Giappone, Grecia ed Egitto.
Anche nell’antica Roma non erano rare le scommesse sui combattimenti dei gladiatori, le cui puntate erano chiamate “munera”.La parola azzardo deriva dal francese “hasard” e dall’arabo “azzahr” che significava dado, uno degli oggetti più vecchi legati alla tradizione ludica (del gioco). Il gioco di azzardo si diffonde poi con la vasta gamma di tipologie di giochi, sempre più legalizzati, così che i giocatori si dividono tra slot machine nei casinò, videogiochi reperibili nei bar e negli esercizi pubblici e lotterie popolari.
Il giocatore d’azzardo solitamente è una persona che usa il gioco come passatempo occasionale o abituale senza mai perdere il controllo e non necessariamente si trasforma in “dipendente”.
Lo sviluppo sociale del problema del gioco d’azzardo è in parte favorita anche dalle crescenti possibilità di scelta tra una vasta gamma di tipologie di gioco, ormai sempre più legalizzate, che riescono a rispondere alle simpatie dei giocatori con diverse propensioni e con differenti personalità. Così i giocatori d’azzardo vanno dagli amanti della trasgressione da gran salone, come quella dei giochi da Casinò e delle slot-machine, agli appassionati dei videogiochi che si lasciano conquistare dai sempre più diffusi videopoker, agli appassionati dei giochi d’azzardo popolari, come le lotterie, il gioco di numeri e di schedine, fino al Bingo, la moderna trasformazione del gioco della tombola, che riesce a conquistare anche interi gruppi grazie al suo profondo legame con il vissuto di una concessa usanza festiva a dimensione familiare.
Esistono almeno tre funzioni svolte dal gioco. Una prima, esistenziale o biologica, serve a compensare la realtà per convivere con essa. Questa vocazione psicologica trasferita sul piano pubblico e collettivo diviene un importante ammortizzatore sociale delle crisi. Il gioco ha una sua predisposizione interna che supera le barriere geografiche, limiti temporali e specificità culturali. Questa funzione è stata chiamata biologica proprio per la sua centralità esistenziale.
Una seconda funzione è quella pubblica - ludica in cui c’è l’esplicitazione del benessere, diversa dalla prima che serve alla compensazione di un malessere.
Mentre una terza è rappresentata dalla funzione regressiva del gioco per eccesso d’uso della funzione biologica, come se la benefica modulazione della distanza dalla realtà divenisse una vera e propria fuga o separazione dal reale. Si ha quindi quando la funzione biologica non è più un’opzione ma una necessità, inevitabile e obbligata come un senso unico.

Quando diventa patologia

Dal 1980 la letteratura psichiatrica ha riconosciuto la dipendenza da gioco come patologia psichiatrica.
Circa l’eziologia, il G.A.P. è una malattia mentale che è stata classificata dall'APA (American Psychiatric Association) all'interno dei "Disturbi del controllo degli impulsi" e che ha grande affinità con il gruppo dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi (DOC) e soprattutto con i comportamenti d'abuso e le dipendenze. Questo disturbo può presentare infatti caratteristiche comuni con la patologia ossessivo-compulsiva, che consistono principalmente nella tendenza al ritualismo, nell’attenzione per il numero e il calcolo, in elementi di pensiero magico-superstizioso; del comportamento compulsivo manca però l’elemento dell’egodistonia. Maggiori invece le affinità, come il craving, la tolleranza e la difficoltà a interrompere, con le patologie da dipendenza, a tal riguardo il G.A.P. è stato spesso definito "dipendenza non farmacologica”. Lo stato di euforia e di eccitazione del giocatore d’azzardo durante il gioco è paragonabile a quello prodotto dall’assunzione di droghe, e come avviene per la dipendenza da droghe anche i giocatori d’azzardo possono soffrire di crisi di astinenza, ansia, sudorazione, nausea, vomito e tachicardia.
Si parla di dipendenza proprio quando l’orizzonte si restringe attorno all’oggetto su cui la persona si concentra o su cui sente di poter riflettere tutti i suoi desideri e tutti i suoi bisogni. Scegliendo un comportamento rischioso come il gioco d’azzardo o cercando in maniera esagerata conferme basate sull’ammirazione degli altri la persona mostra uno squilibrio personale reso stabilmente drammatico dall’incontro con “l’oggetto delle mie brame” o con l’abitudine di cui la persona diventerà dipendente.
In generale una persona soffre di questo disturbo se, quando cerca di interrompere il gioco, diventa particolarmente irritabile e irrequieta, se ha bisogno di giocare sempre di più, se incomincia a raccontare bugie in famiglia e agli altri e se arriva a commettere azioni illegali pur di giocare mettendo a rischio anche il proprio lavoro.
Il processo per diventare giocatori patologici è piuttosto lento, pericoloso e costituito da varie fasi.
Inizialmente il gioco è occasionale, un passatempo in compagnia di amici e famigliari e il giocatore vince più spesso delle volte che perde; di solito vince grosse somme così che in lui si instilla l’idea di essere più abile rispetto agli altri. La persona a questo punto inizia a dedicare sempre più tempo e denaro nel gioco e passa alla fase successiva, caratterizzata da un numero superiore di perdite rispetto alle vincite. Il giocatore viene a questo punto spinto da un turbinio, che lo invoglia a scommettere sempre di più nel tentativo di recuperare il denaro perduto; comincia a chiedere prestiti, a indebitarsi e entra in uno stato di disperazione, con conseguente esaurimento emotivo. Alla fine perde la speranza, si susseguono liti e crisi familiari, e molto spesso iniziano i guai con la giustizia. Dalla prima all’ultima fase possono trascorrere anche più di dieci anni.
È una delle prime forme di “dipendenza senza droga” studiate che ha ben presto attratto l’interesse della psicologia e della psichiatria, ma anche dei mezzi di comunicazione di massa, degli scrittori e dei registi, al punto che si continua spesso a riparlarne in relazione alle sue conseguenze piuttosto serie sulla salute ed in particolare sull’equilibrio mentale che questo tipo di problema è in grado di produrre. Nella ludodipendenza il vero senso del gioco, attraverso cui si può costruire e scoprire il Sé - quello che vuol dire libertà, creatività, apprendimento di regole e ruoli, sospendendo le conseguenze reali - viene completamente ribaltato per trasformare la cosiddetta “oasi della gioia” in una “gabbia del Sé”, fatta di schiavitù, ossessione, ripetitività.

Dott.ssa I. Siena