domenica 14 aprile 2013

SEMINARIO GRATUITO


SEMINARIO GRATUITO - L'APPROCCIO SISTEMICO NELLA PSICOLOGIA DELLA FAMIGLIA


 La famiglia è un sistema vivente, un’organizzazione di persone in continua crescita e cambiamento, impegnate reciprocamente a portare a termine i diversi compiti di sviluppo nel corso della vita. È proprio l’assunzione di precise responsabilità e compiti di sviluppo che consente alla famiglia di far fronte alla riorganizzazione dei ruoli di ogni membro al suo interno.
A partire dalla fase iniziale in cui due persone si scelgono e decidono poi di dare vita ad una coppia stabile, continuando attraverso le varie tappe evolutive, la famiglia deve far fronte a  particolari eventi che riguardano principalmente l'ingresso, l'aggiunta di un nuovo membro (ad esempio la nascita di un figlio) e l'uscita o la perdita di un suo componente (come l'uscita di casa dei figli per una vita propria o il decesso di un suo componente).
Inoltre, eventi cosiddetti paranormativi (incidenti, malattie ecc.), minacciano l’equilibrio familiare proprio perché caratterizzati da drammaticità ed imprevedibilità.
Sono momenti critici di vita che necessitano la messa in campo delle risorse che la famiglia ha a disposizione per raggiungere un nuovo soddisfacente equilibrio che le permetta di passare alla fase evolutiva successiva del ciclo vitale.
L’obiettivo del seminario è quello di fornire conoscenze sulle fasi del ciclo vitale della famiglia con particolare attenzione ai momenti critici di cui sono composte e alle possibili risorse familiari da attivare.





DESTINATARI


Il seminario è aperto agli operatori del settore e agli studenti (Insegnanti, pedagogisti, educatori, medici, psicologi, mediatori familiari, assistenti sociali) e a chiunque fosse interessato all'acquisizione di competenze relative al tema proposto.




CONDUTTRICE
Dott.ssa Siena Ivana, Psicologa, Psicoterapeuta ad orientamento Sistemico – Relazionale, Direttrice del Centro di Psicoterapia Familiare di Pescara, Coordinatrice dell’Associazione Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara.






DOVE E QUANDO
L'incontro si svolgerà a Pescara presso la sede di Igea, Via Pisa 6, il 24 MAGGIO dalle 18.00 alle 19.30.




ISCRIZIONI E COSTI
La partecipazione al seminario è gratuita e riservata ai soli soci.
Per partecipare è necessario associarsi a Igea (per chi non fosse già socio): la tessera associativa della validità di 12 mesi - in alcun modo vincolante per gli anni successivi - prevede il versamento della quota associativa di 10 euro.

E' necessaria la prenotazione entro e non oltre il 13 maggio.

Verrà rilasciato attestato di partecipazione.

PER PRENOTAZIONI: IGEACPS

PSICOLOGIA DELLO SPORT




“Le aspettative degli adulti verso i giovani giocatori o atleti” è un tema importante che pone l’accento su ciò che si cela dietro la scelta, più o meno deliberata, di intraprendere questo tipo di carriera sportiva. Complici i sogni irrealizzati e le aspettative sempre più alte dei genitori, i bambini di oggi sono, già dalle scuole elementari  impegnati in una media di tre attività extrascolastiche di cui almeno una ha a che fare con il mondo dello sport.
I maschietti dai cinque ai dodici anni devono essere bravi a scuola, devono suonare la chitarra o il pianoforte, parlare le lingue e  giocare bene a calcio, spesso a prescindere dal reale talento espresso. Nasce così un vero e proprio business di scuole calcio, alimentato dal fanatismo dei genitori, basti pensare che quelle riconosciute dalla Federazione sono circa settemila ed alcune di loro rappresentano un vivaio per squadre ufficiali. Questa frenetica corsa al successo personale è mossa dallo stereotipo della vita del calciatore, soldi, popolarità e potere in certi casi, che comunemente viene intesa come il raggiungimento dell’autorealizzazione, apice della scala di bisogni di ogni essere umano.
Dietro questo modello ideale di vita si nasconde però un limite che è rappresentato dall’impossibilità concreta di proseguire un corretto percorso di studi che permetta al ragazzo, calcisticamente talentuoso, di sperimentarsi in altre abilità per cui è portato. È da tener presente che la carriera calcistica è relativamente breve, pertanto un calciatore di trentacinque anni, non necessariamente di serie A, si ritrova a reinventare la sua vita post carriera, investendo i soldi guadagnati in attività che rilascino comunque un profitto, ma che non sempre portano ad una reale soddisfazione personale, incorrendo così in rischi patologici gravi.
È d’obbligo una distinzione tra i calciatori italiani e quelli di altri paesi del mondo che hanno un sistema educativo diverso. È risaputo infatti che determinati calciatori stranieri, provenienti da paesi più poveri dell’Italia, imparano a giocare a calcio per strada, luogo d’elezione per riempire il tempo laddove non è concesso loro il privilegio di accedere ad una istruzione adeguata alla loro età. Senza contare che spesso il calcio diventa, in questi casi, una valida alternativa a deviazioni verso strade delinquenziali ed autodistruttive.
In questi paesi non esiste il concetto di Intelligenze Multiple (come definito da Gardner) ad esempio, dove per intelligenza è inteso il potenziale biologico che può essere più o meno sviluppato, a seconda delle opportunità disponibili e delle decisioni personali prese dagli individui di una cultura specifica. Così come definite dall’autore, le Intelligenze Multiple sono otto: linguistica, logico-matematica, musicale, spaziale, corporeo-cinestesica, interpersonale, intrapersonale e naturalista, tutti ambiti che vengono riconosciuti e potenziati attraverso l’istruzione scolastica. Quella corporeo-cinestesica, lo dice la parola stessa, ha a che fare con le abilità motorie ed è pertanto quella maggiormente potenziata dai calciatori e dagli atleti in generale. Le altre intelligenze restano nel patrimonio genetico più o meno sviluppate.
Ove un adolescente capace decida di proseguire nella carriera da calciatore, potrebbe trovarsi a riporre in un angolo le altre abilità possedute e ad incentrare ogni energia a livello corporeo, tralasciando la possibilità di professioni alternative. Da ciò nasce il pregiudizio secondo cui i calciatori sono ignoranti, ingrati, sbruffoni; molti di loro confermano le loro carenze linguistiche durante le interviste post partita. Un pregiudizio negativo, seppur fondato, va a travolgere tutta una categoria, lasciando invisibili i personaggi che rappresentano l’eccezione alla regola. Un esempio è rappresentato da Guglielmo Stendardo, 31 anni, calciatore oggi dell’Atalanta, con un passato nella Lazio e prima ancora nella Juventus. Proprio lui, come altri, ha scelto di impegnarsi negli studi universitari in Giurisprudenza, e pochi mesi fa ha sollevato polemiche con la sua richiesta di partecipare all’esame di abilitazione, penalizzando la sua presenza in un incontro di Coppa Italia contro la Roma. L’allenatore Colantuono lo ha punito, lasciando trapelare una conferma al pensiero secondo cui “un professionista strapagato non ha l’impellenza di svolgere un’altra professione”.  
Oggi esiste un progetto ideato dall’Associazione Italiana Calciatori, “Ancora in carriera”, già alla seconda edizione, con l’obiettivo di sviluppare le competenze professionali dei calciatori a fine carriera per consentire loro un pieno inserimento nel mondo del lavoro dentro e fuori dallo sport.
Spesso il nutrire pregiudizi relativamente a determinate categorie di persone porta a modificare il proprio comportamento sulla base delle credenze socialmente condivise, con la conseguenza di creare condizioni tali per cui si va a confermare tale pensiero, ad esempio scegliendo di sacrificare gli studi in nome della carriera (una profezia auto avverante).  Chissà cosa ne penserebbe Pietro Mennea, con le sue quattro lauree, le sue docenze universitarie, i suoi venti libri scritti e il suo record mondiale imbattuto per ben diciassette anni! 
Dott.ssa Ivana Siena

PSICOLOGIA DELLO SPORT





“Quella tra l’allenatore e la sua squadra è una vera e propria relazione amorosa". È una storia d’amore d’altri tempi in cui la donna (squadra) veniva allevata, cresciuta ed educata da genitori severi ed esigenti (Società Calcistica) che hanno trasfuso in lei morale, dedizione e senso del dovere nei confronti di un progetto di vita essenziale: la prosecuzione della  famiglia in nome del rispetto e della dignità del casato. Come nei tempi antichi  la donna doveva occuparsi della casa e dei figli, da sempre nello sport e nel calcio, la squadra è la gestante che mette alla luce, di volta in volta, piccoli e grandi traguardi intesi come investimenti per il futuro. Alte quindi erano all’epoca le aspettative dei suoi genitori e ardua risultava essere la scelta del consorte adeguato a portare avanti questo progetto di vita comune.
La scelta dell’uomo perfetto per questo connubio era influenzata dalle decisioni del padre della sposa, che prediligeva il prestigio e l’onore di cui quest’uomo godeva, da tramandare poi alla prole. Tale scelta verteva quindi su un uomo più anziano, scevro dagli ardori giovanili, ma con competenze provate a livello fisico e mentale. I due partner si incontravano poco prima del matrimonio, suggellavano il loro patto attraverso uno scambio di doni e fedeltà reciproca trovandosi a gestire la loro unione pur avendo una conoscenza poco approfondita l’uno dell’altra, impegnati a far aumentare le loro affinità e a superare le loro divergenze che si potevano ripercuotere sulla nascita dei figli (performance).
La donna è sempre stata la portatrice della dote familiare, che nel paragone calcistico è rappresentata dall’insieme dei talenti che si esprimono nella squadra. La dote era messa a totale disposizione del consorte che se ne doveva prendere cura,  nel tentativo di potenziarla ed arricchirla. Seppur trattandosi di un matrimonio combinato non era escluso che il sentimento autentico dell’amore potesse nascere e consolidarsi nella procreazione di numerosi figli a cui affidare la decorosa sopravvivenza della stirpe.
L’allenatore e la sua squadra diventano tutt’uno nel loro matrimonio calcistico, ma come accade nella vita quotidiana, l’amore per poter divenire “eterno” non può rimanere solo un sentimento provato, bensì deve divenire un “atto di volontà”, una decisione consapevole di voler unire la propria vita a quella di un altro. Necessita di impegno, passione e intimità, tre componenti che vengono costantemente minacciate dalle difficoltà che si incontrano sul cammino. Gli insuccessi, la supervisione costante dei “genitori della sposa”, gli attacchi psicologici dei familiari stretti (la stampa) nonché il giudizio e la disapprovazione della gente esterna ma comunque influente (la tifoseria), mettono a gran rischio la stabilità di questa relazione. Un allenatore, in quanto marito, porta con sé la grande responsabilità di gestire la sua famiglia, di prendere le decisioni più adatte alla sopravvivenza di questo nucleo, di proteggerlo dai pericoli esterni e, non meno importante, di provvedere al sostentamento e alla realizzazione dei suoi figli. Quando tutto questo sistema di compiti evolutivi non funziona come dovrebbe e calano i livelli di passione, intimità ed impegno reciproco,  si può andare incontro ad uno scioglimento del patto matrimoniale.
L’allenatore può abbandonare il tetto coniugale dimettendosi dopo una serie di fallimenti di cui si attribuisce la responsabilità, può “tradire” rincorrendo un vecchio amore che fino a quel momento non ha avuto l’opportunità di coltivare, o può essere esonerato dal “padre della sposa” per inadempienza dei suoi doveri coniugali.
Sempre la Società Calcistica si occupa in sua assenza di provvedere a riempirne il vuoto, nella speranza di ricreare una nuova coppia soddisfacente e più funzionale.  Tuttavia un amore, seppur nato da basi di convenienza, spesso si trasforma nella conferma di quella prima scelta e, nonostante la crisi che attraversa, lascia dei profondi segni della sua importanza. Un ritorno a casa del primo marito, per quanto possa sembrare un errore, può in determinati casi rappresentare un nuovo inizio, soprattutto laddove l’intensità di quel sentimento provato viene testimoniata anche da chi sta intorno alla coppia, oppure quando i figli, frutto di quell’amore, hanno sì continuato a crescere, ma senza crearsi una vera identità che necessita dalla presenza di entrambi i genitori che li hanno messi al mondo. Guardare alla crisi come un’opportunità per rivedere se stessi, il proprio contesto di appartenenza e per migliorarsi è una risorsa fondamentale per l’evoluzione di ogni sistema, anche quello calcistico. Con questa visuale è possibile pensare agli errori commessi come insegnamenti, al perdono come strumento per riavviare il nastro inceppato e al “ritorno” come possibile punto di partenza”.
Dott.ssa Ivana Siena