domenica 22 marzo 2015

E ALLA FINE....MUSICA!!!






"Ma cosa fare di fronte a un mai più
 se non cercare ininterrottamente
nelle furtive note?"
(M.Barbery)



Riuscite a immaginare la vostra vita senza la musica come vostra fedele "compagna di viaggio"?
Ognuno di noi ha tante e tante canzoni che fanno da sfondo ai propri momenti di vita, questo perché la musica è profondamente legata al nostro evolverci come persona, un legame che diventa indispensabile nel momento in cui le esperienze e le emozioni che si vivono hanno una forza dirompente  nella nostra esistenza.
La musica è sempre dalla nostra parte pronta ad aiutarci; basta pensare alla nostra infanzia e alla sua capacità di alleviare e accompagnare i sentimenti di paura, come quando le ninne-nanne fungevano da filo conduttore per mantenere un contatto con i propri genitori anche dopo aver chiuso gli occhi, procedendo verso una sorta di separazione per gradi.
Da un punto di vista fisico, infatti, il suono è qualcosa che accade nell’aria, qualcosa che è in grado di stabilire un contatto fisico a distanza tra una sorgente di vibrazioni ed il nostro corpo.
I momenti "critici" che ogni bambino vive quando si allontana dalla figura materna possono presentare delle piccole analogie con la situazione di dolore in cui ci si trova al momento della perdita di una persona cara, e la musica anche in questo caso può essere usata come strumento per lenire e affrontare le sofferenze connesse alla morte.
Morire è un'esperienza complessa e fortemente destrutturante sia  per la persona che muore, sia per la famiglia, ma oltre ad essere un evento terribile che costringe ad affrontare molti e dolorosi cambiamenti, può diventare anche un momento di calda ed intima condivisione.
È da tener presente che il paziente oncologico ha un insieme di necessità fisiche, spirituali ed emotive del tutto peculiari e spesso, purtroppo, vive un abbandono assistenziale.
Ma la musica grazie alla sua capacità di dar voce a tutto ciò che spesso fatica a trovare parola, di esprimere il dolore e la bellezza simultaneamente, e di trasportare in un altro tempo e in un altro spazio, offre un nuovo tipo d'aiuto ai pazienti in fase terminale e alle loro famiglie per affrontare la malattia, diventa "curativa".
Ecco che oggi appare ancora più chiara l'importanza dell'introduzione e del riconoscimento di nuove tecniche terapeutiche, come la Musicoterapia, la quale non nasce come uno strumento alternativo di cura, ma integrativo alle essenziali terapie mediche e farmacologiche.
Ma che cos'è la Musicoterapia?
Tale metodologia di intervento viene definita come un processo interpersonale in cui il terapeuta usa la musica in tutti i suoi aspetti – fisici, emotivi, mentali, sociali, estetici e spirituali – per aiutare i pazienti a migliorare, recuperare o mantenere la salute; il suo approccio è globale ed agisce in una concezione olistica che va a considerare l'unità indissolubile del corpo-cervello-mente.
Nel trattamento musicoterapico, si vuole sviluppare l’ascolto dell’altro attraverso improvvisazioni libere, la scelta condivisa di musiche e canzoni da ascoltare o da cantare insieme, la scrittura di testi e, quando il paziente non può o non vuole suonare direttamente, è importante suonare per lui.
La musicoterapia con i pazienti terminali può essere un valido strumento per aiutare ad avvicinarsi alla morte, consente di aprirsi agli altri in maniera insolita, di entrare così intimamente nella vita di qualcuno, proprio quando questa si avvicina alla fine.
L'intervento agisce fondamentalmente in due modi:
-In primo luogo può essere utilizzato per raggiungere obiettivi come la riduzione dell’ansia e del dolore, aspetti cardine nella malattia oncologica, e favorisce il rafforzamento del concetto di sé;
-In secondo luogo può essere fonte di interazione profonda e significativa.
L'esperienza musicale offre infatti la possibilità di esprimesi e di far emergere sentimenti e reazioni rimaste fino a quel momento sopite, può aiutare anche ad accettare i limiti imposti dalla malattia e ad incoraggiare la comunicazione, ma è anche una fonte di divertimento, offrendo un periodo di "tregua" dalle sofferenze e permettendo così di "ricaricare le batterie" ed affrontare al meglio le situazioni dolorose alle quali la persona dovrà andare incontro.
Questo tipo di terapia permette di acquisire inoltre autonomia nelle decisioni, ciò aiuta anche a mantenere il senso della dignità, della realizzazione e della valorizzazione di sé, facilita l’evocazione di ricordi significativi, legati a persone care oppure ad eventi importanti della vita e permette anche alle famiglie di conservare ricordi positivi dell’ultima fase della vita del malato.
Molte ricerche hanno ampiamente confermato come la musica migliori fortemente la qualità di vita di ogni singolo persona, l'uomo può essere definito a tutti gli effetti un "animale musicale" e questo è ancora più chiaro quando ci si imbatte in esperienze di vita con un forte impatto emotivo. 
Ricordano le parole di Oliver Sacks, neurologo, scrittore e chimico britannico: “Il potere della musica è di integrare e curare… è un elemento essenziale; è il più completo farmaco non chimico”.

Dott.ssa Valentina D'Alessio

Laureata in Psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara





sabato 21 marzo 2015

“NON VOGLIO PIU’ INNAMORARMI…..L’AMORE FA MALE”





Può succedere che nel corso della propria vita uomini e donne incontrino alcune difficoltà per innamorarsi, soprattutto se ad esempio hanno passato molto tempo da soli o se hanno vissuto esperienze di coppia negative.
A molti di noi magari sarà capitato di dire almeno una volta “non voglio più innamorarmi, perché l’amore fa male”. Tuttavia poi la maggior parte delle persone riesce di nuovo a stringere relazioni e a vivere le emozioni dell’innamoramento.
C'è però una categoria di persone che considera l'amore come un sentimento negativo, qualcosa di cui aver paura. C’è chi soffre perché non è in grado di lasciarsi andare, c’è chi, quando si trova di fronte all’occasione di poter instaurare un rapporto con una persona, in preda all’ansia e al panico, fugge, trovandosi così a sviluppare, con il tempo, una vera e propria fobia, la “philofobia”. 
La philofobia, appunto, è definita come la paura persistente, ingiustificata ed anormale di innamorarsi o di amare una persona e, seppure non presente sui manuali dei disturbi conclamati, crea un forte disagio alla persona che la vive.
Infatti, il soggetto philofobico può provare attacchi di depressione caratterizzati dalla paura che in futuro possa essere ferito dall'altro soggetto verso il quale prova amore, ma allo stesso tempo prova un senso di attrazione fisica e morale nei confronti dell'uomo o della donna.
Nelle sue fasi acute questa paura può presentare dispnea, nausea, tachicardia, agitazione ed altri sintomi tipici dell’ansia o dell’attacco di panico.
La persona che soffre di philofobia, a volte può essere anche consapevole  dell’infondatezza della propria paura, ma nonostante questo non riesce a fare a meno di fuggire dalle relazioni, da un lato per la paura di lasciarsi andare ai propri sentimenti e a quelli del partner, e dall’altro per scappare, per placare l’ansia e il forte stato di tensione che finiscono col prendere il sopravvento.
Ma se l’amore può avere delle conseguenze  sia positive che negative, i philofobi si sentono inadeguati e impauriti e tendono a focalizzarsi solo sulle situazioni negative dell'amore: abbandono, delusioni, sofferenza.
Di solito questi soggetti tendono ad avere difficoltà a lasciarsi andare in molte altre situazioni della vita, non si fidano degli altri e sono persone molto introverse.
Chi ha paura di amare, normalmente, sceglie alcuni comportamenti tipici, come innamorarsi di persone impossibili, così invece di riconoscere le loro paure, si ripetono di essere innamorati ma che il loro amore è impossibile; oppure stabilisce relazioni destinate al fallimento perchè i due non hanno niente in comune; si ritrovano così ad essere gli artefici di una profezia che si autorealizzerà.
Generalmente alla base di questa paura esiste più di una causa e il timore non rappresenta nient’altro se non un meccanismo di difesa, del tipo “non amiamo per non soffrire”.
La philofobia può essere determinata da cause riconducibili alla nostra infanzia, nel rapporto con i nostri genitori, come  ad esempio richieste d'affetto ai propri genitori che non trovano risposta, oppure può essere dovuta a interazioni primarie madre-figlio frustranti o traumatiche.
In altre situazioni tra le cause è possibile trovare ad esempio una passata e profonda delusione sentimentale che ha decisamente ferito il soggetto al punto di non volerne più sapere d'innamorarsi per paura di soffrire di nuovo o di essere delusi una seconda volta. 
Le persone che hanno paura di amare dovrebbero tenere presente che la fuga non fà sparire la paura ma piuttosto la rafforza. Per questo, se esiste la possibilità di vivere una storia d’amore, non vi è motivo di sottrarsi.
Inoltre bisogna cercar di vivere la relazione senza anticipare gli eventi e senza paragonarla alle relazioni vissute in passato, in quanto ogni storia è diversa e unica.
Inoltre potrebbe essere importante rendere il partner partecipe delle proprie paure. Condividere timori e ansie può essere d’aiuto per placarle e per ricevere comprensione dall’altro. Solo così la relazione potrà funzionare e l’altra persona potrà comprendere alcuni dei comportamenti tipici di chi soffre di philofobia, che all’apparenza potrebbero sembrare privi di significato.
Ma quando la paura è troppo intensa, si raccomanda comunque di consultare uno specialista al fine di lavorare insieme per affrontare la paura ed eliminarla.

 Dott.ssa Antonia Malpede

Laureata in Psicologia presso l'Università G. D'Annunzio di Chieti e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus