domenica 3 marzo 2013

AUTOSTIMA E BENESSERE


Social-specchio



Svegliarsi una domenica mattina di sole, fare colazione in compagnia della tv. Incappare in Catfish, un programma in onda sul canale RealTime del digitale terrestre, già noto per l’originalità e la veridicità dei temi che propone nelle trasmissioni del suo palinsesto.  Star di questo reality Nev Schulman, un “poco più che ragazzo” che ha avuto un’esperienza di relazione virtuale sul web, conclusa con la scoperta che la donna dall’altra parte dello schermo, non fosse poi esattamente chi diceva di essere. 
Le domande, legittime, che pone questo programma sono poi le stesse che ogni persona amante dei social network si pone: Quali sono i rischi di una relazione nata su un social network o su una chat? In una storia d'amore online, chi si cela davvero dietro lo schermo? In ogni episodio di questa serie Nev, il protagonista , accompagna un partner a conoscere di persona il suo o la sua amata in un emozionante viaggio alla scoperta della verità…
Incuriosita dall’argomento sono rimasta a guardare la puntata. Una ragazza, Trina 24 anni, parla da più di un anno al telefono con un ragazzo, Scorpio 27anni, di cui è riuscita ad avere ben tre foto! Foto in cui lui è ritratto aitante e seminudo in posa plastica da modello. Tra i due si instaura un rapporto di confidenza e scambio reciproco quotidiano che entrambi considerano una vera e propria relazione d’amore. La ragazza, per quanto possa apparire frivola, parla di aspettative e progetti comuni e nomina addirittura la parola matrimonio. C’è solo un piccolissimo problema, rappresentato dal fatto che il ragazzo, Scorpio, non “può”,  o non vuole, per vari motivi, incontrarla. Dalle indagini si scopre che il ragazzo non è quello ritratto nella foto, che non ha 27 anni, ma 32, che ha quattro figli con una donna, alla quale non è più legato sentimentalmente, e che fisicamente non corrisponde al modello per cui si spacciava, ma che è invece leggermente in sovrappeso.
Il problema dell’autostima quindi si ripropone costantemente quando si parla di social network. Lo schermo, il filtro, è uno strumento duttile, dalle molteplici funzioni, utilizzato ad arte per essere da un lato “Me stesso”, a dispetto di un mondo reale che impone una maschera, e dall’altro essere l’opposto di Me, dove invece sono “Io” il più severo giudice di me stesso. Alla base di tutto questo modo virtuale di porsi e comunicare c’è ad ogni modo un concetto ampio di conformismo e accettazione. Il conformismo mi fa pensare alle regole del vivere quotidiano, che hanno a che fare con azioni, costumi, a volte anche pensiero “adeguati” alla cultura e al tempo che si sta vivendo. L’accettazione di questi fattori però spesso provoca insoddisfazione, come anche il sentirsi diversi rispetto ad essi. Riconoscere quindi le proprie peculiarità, mette in crisi di fronte alla scelta di porsi per ciò che realmente si è rispetto a ciò che si dovrebbe essere.
Il senso di identità si costruisce con le esperienze, le prove, le conferme che ciascuno vive. Riformulare le proprie risorse emotive ed affettive necessita di un lavoro di rinforzo continuo per sostenere il confronto positivo con gli altri della propria specie.  Quando le conferme esterne non sono sempre così positive l’autostima si abbassa rendendo l’individuo più vulnerabile e costretto alla ricerca di mezzi compensativi per sentirsi accettato.
È quello che è successo nell’esempio riportato dal programma televisivo. Il ragazzo infatti si è creato una realtà di sé alternativa che lo rendesse maggiormente appetibile agli occhi della ragazza, in attesa che lei potesse apprezzarlo per altre sue caratteristiche, differenti dal quelle esteriori che lui stesso non percepiva come positive. Il tempo trascorso tra telefonate e conversazioni via chat ha rappresentato un palliativo per la sua autostima che però non gli ha permesso di “viversi” concretamente il rapporto e che lo ha portato ad avere la conferma che qualcosa in lui è sbagliato, visto l’esito negativo del loro incontro reale.
La scoperta della propria identità è un processo dai tempi soggettivi che dovrebbe muoversi attraverso la ricerca dell’armonia tra l’immagine di sé e le proprie aspettative, un viaggio tra percezione personale e realtà che tenga però in mente l’obiettivo finale che è il benessere acquisito una volta che si riesce ad uscire dal personaggio per diventare persona.

Dott.ssa Ivana Siena

PROBLEM SOLVING


Raggiungere l'obiettivo


Problem Solving significa letteralmente “risolvere problemi”. Il termine, nato in ambito matematico, si è diffuso negli ultimi anni in riferimento alle abilità e ai processi implicati nell’affrontare problemi di qualsiasi tipo, da quelli pratici a quelli interpersonali o psicologici.
Oggi il Problem Solving viene insegnato e applicato con successo in vari ambiti, ad esempio, in azienda e nel counselling come metodo di lavoro per migliorare la capacità di risolvere i problemi.
Anche se gli strumenti di Problem Solving si differenziano a seconda delle diverse aree di applicazione, i principi di base rimangono gli stessi.
Si potrebbe obiettare che risolvere problemi e inventare soluzioni siano attività quotidiane di tutti. Alcuni danno perfino l’impressione di riuscire a cavarsela in qualsiasi circostanza.
Capita però che certi problemi siano particolarmente complessi, oppure che le conoscenze e le esperienze passate sedimentino in noi presupposti sbagliati, pregiudizi che ci ostacolano nella ricerca della soluzione. Altre volte ancora siamo così assorbiti dal nostro malessere da non riuscire a focalizzare il vero problema.
In tutti questi casi diventa utile applicare un metodo che ci aiuti a inquadrare correttamente i problemi e a trovare soluzioni creative e realistiche, riducendo al minimo stress, contrasti, stallo o pericolo di rinuncia.
Un problema è un invito al cambiamento per raggiungere i nostri obiettivi
Un problema esiste quando c’è un ostacolo al raggiungimento di un obiettivo.
Un esempio: stiamo percorrendo una strada di montagna con la nostra auto. Ad un tratto incontriamo un albero caduto che ci sbarra la via. Il nostro obiettivo è andare avanti ma l’albero non si può spostare. Però, con un po’ di attenzione, è possibile aggirarlo uscendo dalla strada asfaltata per un breve tratto per poi ritornare in carreggiata.
In questo caso il problema è stato risolto senza rimuovere l’ostacolo sul nostro cammino: semplicemente abbiamo modificato il percorso.
Il problema, dunque, non corrisponde all’ostacolo, ma a una condizione in cui, a causa della presenza di ostacoli o impedimenti, siamo costretti a individuare nuove azioni, chiamate soluzioni, per raggiungere i nostri obiettivi.
In presenza di un ostacolo non possiamo raggiungere i nostri obiettivi procedendo secondo le conoscenze o le esperienze precedenti. Dunque, per arrivare alla soluzione, è necessario un cambiamento nel nostro modo di vedere e sentire le cose o nei nostri comportamenti, che ci consenta di raggiungere gli obiettivi.
Il Problem Solving ci aiuta a individuare di quale cambiamento abbiamo bisogno e a metterlo in atto.
Rimuovere, aggirare o utilizzare l’ostacolo?
Non sempre il cambiamento richiesto dalla situazione corrisponde alla rimozione dell’impedimento. Esistono infatti diversi modi per affrontare un ostacolo:
- rimuoverlo
Per alcuni problemi la soluzione più semplice, se praticabile, è rimuovere l’ostacolo in quanto rappresenta un peso inutile. Ad esempio, ci togliamo il maglione se abbiamo troppo caldo, ci documentiamo se dobbiamo tenere una lezione su un argomento che non conosciamo approfonditamente.
- aggirarlo
In altri casi, è più proficuo non tenere conto dell’ostacolo, praticando altre strade. Ad esempio, se il nostro lavoro non ci fa guadagnare abbastanza, cerchiamo un altro lavoro o dei lavoretti saltuari per arrotondare.
- utilizzarlo
Alcuni ostacoli non possono essere eliminati o aggirati ma, se osservati da un’altra prospettiva, possono addirittura diventare una risorsa: una piccola azienda che non è in grado di espandersi può decidere di puntare sulla qualità del suo prodotto.
Le fasi del Problem Solving
Il processo di Problem Solving si suddivide in quattro fasi, che si articolano in vari passaggi intrecciati fra loro. Vediamole in sintesi:
FASE 1: Identifichiamo il problema e il nostro obiettivo:
  • Definizione dell’obiettivo.
  • Analisi degli ostacoli.
FASE 2: Generiamo le possibili soluzioni:
  • Generazione delle idee (brain storming).
  • Trasformazione delle idee in soluzioni.
FASE 3: Scegliamo, valutiamo e pianifichiamo la soluzione:
  • Valutazione di efficacia, fattibilità e conseguenze.
  • Scelta della soluzione
  • Pianificazione (cosa, quando, come e con quali risorse)
FASE 4: Mettiamo in pratica:
  • Esecuzione del piano.
  • Valutazione dei risultati.
Le quattro fasi sono consequenziali: seguirle nella loro progressione ci consente di impostare correttamente il problema e di chiarire alcuni atteggiamenti o aspetti che ci confondono, impedendoci di trovare delle soluzioni.
Non pensiamo però che il Problem Solving sia un processo interamente razionale e lineare, come una specie di “catena di montaggio del pensiero”. Al contrario lo scopo del Problem Solving è aiutarci a integrare le nostre risorse, sia quelle logiche e critiche, sia quelle creative indispensabili per arrivare alla soluzione.
In particolare la creatività e l’intuizione sono il cuore della seconda fase: dopo aver identificato i nostri obiettivi e i reali ostacoli al loro raggiungimento, dobbiamo lasciare la mente libera di creare idee, immagini, collegamenti, prendendo nota di tutto ciò che ci passa per la testa senza criticarlo o analizzarlo (brain storming). Solo dopo ci preoccuperemo di come le idee potranno essere effettivamente realizzate e di tutti i possibili limiti e problemi del progetto.
Problem Solving per problemi emotivi e interpersonali
Anche quando non si tratta di problemi pratici ma emotivi o interpersonali, i principi fondamentali del Problem Solving rimangono, con alcuni adattamenti, gli stessi.
I problemi interpersonali nascono dalle difficoltà di relazione con gli altri. Ad esempio, si possono verificare quando non esprimiamo con chiarezza i nostri obiettivi, quando questi non sono condivisi da altre persone, oppure nei casi in cui non riconosciamo agli altri il diritto di volere qualcosa.
I problemi emotivi sono quelli in cui sentiamo un forte senso di disagio e abbiamo bisogno di eliminarlo o ridurlo almeno in parte: ad esempio, quando ci sentiamo depressi, ansiosi oppure abbiamo paura di parlare in pubblico o non accettiamo il nostro aspetto.
Una delle ragioni per cui facciamo fatica a risolvere i problemi emotivi e interpersonali è la confusione tra problema e disagio: il problema non è il disagio. Il malessere che sentiamo è piuttosto un segnale dell’esistenza del problema, l’espressione di bisogni o difficoltà che, non trovando soluzioni migliori, si manifestano appunto attraverso le emozioni sgradevoli o dolorose. E’ per questo motivo che quando ci proponiamo di non provare una certa emozione, ad esempio la paura o l’imbarazzo, il più delle volte non riusciamo nel nostro intento. Dunque, è importante riuscire a identificare quali esigenze profonde si celano dietro le emozioni per arrivare a porci gli obiettivi giusti. Obiettivi positivi, non semplici negazioni dell’ostacolo.
Individuare obiettivi e ostacoli
Data la complessità delle emozioni e dei rapporti umani, spesso non è facile identificare l’obiettivo e gli ostacoli al suo raggiungimento ma il Problem Solving può venirci in aiuto con numerose tecniche.
Una di queste è la “domanda del miracolo” ideata da alcuni ricercatori inglesi per focalizzare gli obiettivi. Consiste nell’immaginare la seguente situazione:
Se domani mattina mi svegliassi e, per miracolo, il problema non esistesse più, come me ne accorgerei? Come vedrei il mondo? Cosa farei nel corso della giornata? Che progetti farei per il futuro? Come mi descriverei in questa nuova situazione?
Cerchiamo di rispondere immedesimandoci il più possibile in questa ipotetica liberazione dal problema. Saranno le sensazioni provate a farci capire se quello che abbiamo immaginato ci soddisfa veramente e dunque rappresenta l’obiettivo o se in realtà stiamo cercando qualcosa di diverso.
Un’altra tecnica, questa volta per individuare gli ostacoli, consiste nell’identificare delle “situazioni tipo” in cui sperimentiamo il problema con i suoi ostacoli e nel cercare di descriverle in termini di immagini, sensazioni corporee e dialoghi interni.
Ad esempio, se riteniamo che il nostro problema sia parlare in pubblico, possiamo pensare a cosa succede quando ci capita di farlo durante una riunione di lavoro. La descrizione potrebbe essere pressappoco così: “quando prendo la parola e tutti iniziano a guardarmi, le gambe cominciano a tremare, sento un gran caldo e la fronte si copre di sudore.
Mi imbarazza sapere che gli altri mi osservano mentre sono tutto sudato, ma cerco di far finta di niente per non evidenziarlo ancora di più. Quasi involontariamente, abbasso il tono della voce e faccio fatica a trovare le parole per esprimere anche i concetti più semplici…”.
Come si può vedere, più la descrizione è particolareggiata e attenta ai segnali lanciati dal corpo, più diventa semplice individuare i vari ostacoli che aggiungono stress al problema: ad esempio, lo sguardo degli altri puntato su di noi o la reazione psicofisica del sudare, con l’imbarazzo che ne consegue.
E la soluzione?
Anche per quanto riguarda la ricerca delle soluzioni, il Problem Solving mette a disposizione varie tecniche la cui scelta può dipendere dal tipo di problema e dalla personalità di chi si trova ad affrontarlo.
E’ importante precisare che le soluzioni a problemi emotivi e interpersonali non sono solamente azioni da compiere, ma delle vere e proprie rielaborazioni del nostro modo di vivere alcune esperienze. Per questo motivo, in alcuni casi l’impiego del Problem Solving acquisisce efficacia nell’ambito di un intervento di counselling che può fornire a chi vive un profondo disagio il supporto adeguato per superare la confusione emotiva e la dispersione delle energie.
Cambiamo le convinzioni o i comportamenti?
Come abbiamo detto, la chiave per arrivare alla soluzione si trova in un cambiamento nel nostro modo di vivere certe esperienze. Ma da dove cominciare per realizzare un tale cambiamento? Non esiste una risposta assoluta: in alcuni casi il cambiamento potrebbe partire dalle convinzioni che influenzano le nostre emozioni e comportamenti.
Ad esempio, per chi si considera una persona incapace la soluzione potrebbe trovarsi nel lavorare sulla propria autostima. In altre situazioni, potremmo invece iniziare modificando il comportamento, le risposte corporee per arrivare a un cambiamento nelle convinzioni.
Ad esempio, il sentirsi ansiosi quando ci troviamo in posti nuovi o in mezzo a persone che non conosciamo potrebbe dipendere dalla convinzione inconsapevole che “siamo in pericolo”. In tal caso può essere utile superare questa idea negativa partendo dal corpo, addestrandoci a rilassarci proprio nelle situazioni che temiamo.
Il cambiamento avvenuto nella nostra reazione automatica (l’esserci rilassati) può produrre un cambiamento nella cognizione, che diventerà, appunto, “sono al sicuro”.
In conclusione
Abbiamo visto che, nei problemi emotivi e interpersonali, la risoluzione è soprattutto un percorso di ascolto e di dialogo interno. Il sovraccarico emotivo rende queste situazioni particolarmente difficili da affrontare, spesso genera confusione ma, allo stesso tempo, è un forte segnale che ci spinge a cambiare qualcosa.
Con il Problem Solving, nell’ambito di un aiuto professionale, possiamo individuare le nostre vere esigenze, mettere ordine a pensieri e comportamenti e arrivare più facilmente a una soluzione che ci consenta di star bene con noi stessi e con gli altri.

Fonte: P. SPAGNULO, Problem solving. L’arte di trovare soluzioni, ECOMIND

Centro di Psicoterapia Familiare