giovedì 23 giugno 2016

I TIMORI DEI 30 ANNI

Nel 1963 Francoise Hardy, cantante francese, sulle note di un 45 giri (L’età dell’amore) canta:

“È l'età dell'amor, l'età degli amici e dell'avventura... E un bel giorno così, il cuore va più in fretta
Sei felice perché è giunto fino a te, il vero amor... Non ci sono pensieri, il tempo che va...”



Arriva un momento, però, dove questo tempo rallenta, i pensieri si affollano e le preoccupazioni aumentano. Il passaggio tra la fine degli studi e l’inizio della vita individuale è piuttosto carica di inquietudini, turbolenze esistenziali e dubbi. Segnali di un passaggio da una fase all’altra della vita che richiede spesso  un riposizionamento del proprio essere. Per molti, questa età – cerniera, come viene definita in Psicologia, si configura come un vero e proprio momento di crisi, dove  vengono abbandonate certe modalità dell’essere per assumerne altre. Vengono passati al vaglio tutti gli obiettivi raggiunti e quelli futuri, chiedendosi se è stata fatta la scelta giusta. Spesso i sentimenti che accompagnano questo momento di passaggio sono: angoscia e ansia.

Il problema è rappresentato dalla coerenza o meno del progetto di vita individuato per sé stessi.
La domanda che ci si pone è: “voglio davvero quello che desideravo prima?” E, soprattutto: “questo progetto corrisponde alla realtà?
Ed ecco che entra in gioco la flessibilità. Questa caratteristica ricopre un ruolo fondamentale perché passate le fantasie e la visione rosea sul mondo, ci si accorge che esso non è necessariamente come noi lo vorremmo e che nel realizzare i propri desideri bisogna tenere conto anche delle sorprese che possono esserci. Si pensi ad esempio a tutti i cambiamenti sociali che ci sono oggi. Viviamo in un momento storico caratterizzato dalla precarietà del lavoro, degli affetti, ogni cosa viene posticipata e di certo tutto ciò non agevola la crescita personale. Si è costretti a domandarsi quanto il proprio progetto di vita sia “personale” o quanto sia stato in qualche modo influenzato dalla cultura in cui si vive.
Da questo momento in poi domande su domande affollano la mente fino ad entrare in crisi e aver voglia di scappare.


L’errore qual è? Arrivati a questo punto molti agiscono in modalità aut-aut, o una cosa o l’altra. Così facendo l’effetto potrebbe essere racchiuso nella parola fuga: fuga dalle relazioni, fuga dal lavoro, fuga dal partner fino a ritrovarsi un giorno insoddisfatti della propria vita.
Un ulteriore effetto collaterale è rappresentato dalla cristallizzazione delle relazioni e del lavoro, dove non appare mai nessuna novità cadendo così in un senso di vuoto e di monotonia.
Entrambe queste situazioni possono essere modificate, basta non aver paura della crisi, ma al contrario imparare da essa ad ascoltare e ad esprimere il proprio volere, solo così si può essere liberi di vivere ed esprimere la propria creatività.

Mi piacerebbe lasciarvi con queste righe:

“Sono stupendi i trent’anni... perché sono liberi, ribelli, fuorilegge, perché è finita l’angoscia dell’attesa, non è incominciata la malinconia del declino, perché siamo lucidi, finalmente, a trent’anni! Se siamo religiosi, siamo religiosi convinti. Se siamo atei, siamo atei convinti. Se siamo dubbiosi, siamo dubbiosi senza vergogna... I conti non dobbiamo più farli con la maestra di scuola e non dobbiamo ancora farli col prete dell’olio santo. Li facciamo con noi stessi e basta...Siamo un campo di grano maturo, a trent’anni, non più acerbi e non ancora secchi: la linfa scorre in noi con la pressione giusta, gonfia di vita... Abbiamo raggiunto la cima della montagna e tutto è chiaro là in cima: la strada per cui siamo saliti, la strada per cui scenderemo. Un po’ ansimanti e tuttavia freschi, non succederà più di sederci nel mezzo a guardare indietro e in avanti, a meditare sulla nostra fortuna”

(Oriana Fallaci, “Se il Sole Muore”)

Dott.ssa Luisana Di Martino
Laureta in Psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara

mercoledì 22 giugno 2016

SOLO QUI PUOI ESSERE FELICE


“E’ la nostra mente a causare i nostri problemi, non le altre persone, non il mondo esterno. E’ la nostra mente, con il suo flusso di pensieri pressoché costante, che pensa al passato e si preoccupa del futuro” 
(Eckhart Tolle)



Avendo una concezione lineare del tempo, tendiamo sempre a vivere o preoccupandoci di quello che accadrà nel futuro  o rimuginando su quello che è stato il nostro passato. In entrambi i casi non diamo spazio a quello che è l’unico momento su cui abbiamo potere: il presente.


In questo modo ci condanniamo ad un’esistenza caratterizzata da ansia e tristezza. Pensare continuamente al futuro, a quello che potrebbe accadere o arrivare, al come e al perché, ci porta inevitabilmente ad affrontare ogni giornata all’insegna dell’angoscia e della preoccupazione, ma se ci riflettiamo bene ci rendiamo conto che il futuro è qualcosa che non esiste, che non sappiamo come sarà. L’unica cosa che sappiamo è che esso dipende da come viviamo nel qui ed ora, dalle intenzioni, dai pensieri e dai sentimenti che nell’oggi seminiamo. 
Il passato invece è qualcosa di andato, finito, terminato. È sicuramente importante fare tesoro di ciò che abbiamo vissuto, ma senza far diventare queste esperienze un peso che condiziona il momento presente. Possiamo lasciare andare il nostro passato, consapevoli che tutto ciò che abbiamo sperimentato e provato era adatto a ciò che eravamo in quel momento; ma si cresce, si cambia e le esperienze passate divengono inadatte, un blocco alla crescita personale.
Non ci rimane che vivere totalmente e interamente nel presente, come se non esistessero nè passato nè futuro: riappropriamoci della nostra vita, delle nostre risorse, dei nostri sentimenti e delle nostre azioni e riversarsiamoli in ciò che la vita ogni giorno, ogni singolo istante ci mette innanzi. 

Siamo noi quindi a dover fare il passo, a muoverci: metterci in uno stato di attesa di qualcosa che potrebbe succedere non fa altro che creare conflitti inconsci tra quello che siamo e abbiamo nel qui e ora e quello che vorremmo essere o avere, qualcosa di  immaginato e proiettato solo nella nostra mente. Questo meccanismo influenza negativamente la qualità della nostra vita, in quanto rischia di farci perdere di vista l’oggi, l’unico momento in cui possiamo realmente realizzarci e raggiungere quello che vogliamo essere o avere.
Ansia,tristezza, depressione, angoscia, all’apparenza elementi negativi, in realtà sono strumenti importanti, campanelli d’allarme che ci segnalano bisogni trascurati. Ci insegnano ad osservare cosa avviene dentro di noi e a conoscerci meglio, ad essere più consapevoli di noi stessi, delle nostre percezioni e del nostro corpo. Quindi, imparando a riconoscere, ascoltare ed apprezzare le nostre emozioni, cioè a viverle a pieno e nel momento presente, saremo in grado di aprirci maggiormente a noi stessi e di conseguenza agli altri.
Imparando ad esistere, in modo più consapevole e totale, potremo apprezzare la realtà, le esperienze che giorno per giorno andremo ad affrontare, alleggeriti da quel senso di angoscia e preoccupazione che derivano dal pensare a ieri e a domani e inondati dall’energia che viene dall’assaporare il nostro oggi.

Dott.ssa Alessandra Di Domenico

Laureata in Psicologia, tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus




mercoledì 1 giugno 2016

PERCHÉ MI HAI TRADITO?


La domanda che nessuno di noi vorrebbe pronunciare è proprio questa: "Perché mi hai tradito?" e non solo in una relazione di coppia, ma in tutte quelle relazioni in cui investiamo i nostri sentimenti. 
Essere traditi  è un brutto colpo, l'autostima finisce per abbassarsi, la fiducia negli altri diminuisce a dismisura, si avverte una mancanza di rispetto. Il tradito agli occhi degli altri e per ristabilire un proprio equilibrio interno spesso, indossa i panni della vittima e  trasforma l'altro in carnefice. Delle responsabilità si fa carico chi tradisce e il tradito diventa la vittima innocente che non riesce a comprendere il gesto subito. La maggior parte delle volte i tentativi di dialogo sono evitati e la relazione si chiude.
Sarebbe sicuramente più giusto, ma sicuramente per se stessi e socialmente meno accettabile se anche il tradito si facesse carico delle proprie responsabilità in modo tale da uscire dal ruolo di vittima ed essere in grado di fare i conti con la realtà.
E se il tradimento fosse solo la goccia che fa traboccare il vaso? Se fosse solo il segnale che questa coppia non funziona?

Cosa spinge il traditore?

In psicologia il tradimento di solito è visto come una segnalazione,cioè un modo per mettere in evidenza un malessere. È evidente che se nella relazione non ci fosse un effettivo problema, non si avrebbe la voglia di cercare supporto altrove. Questa non è una giustificazione al tradimento, ma solo un punto di vista che a volte viene sottovalutato. La mancanza di rispetto che è alla base del tradimento è sicuramente un punto chiave e forse molto spesso un punto di non ritorno, ma allo stesso tempo sono da tenere in considerazione gli aspetti che si celano dietro questa mancanza. Spesso non riusiamo ad esprimere realmente il nostro essere, i nostri sentimenti perché imprigionati in delle regole che non riusciamo a trasgredire. Il giudizio degli altri diventa il motore delle nostre azioni. Restiamo imprigionati in una relazione perché ci fa paura lasciare l'altro quando non lo si ama più. Ogni giorno si notano difetti nell'altro, incomprensioni, mancanze, ma pur di evitare il giudizio si evita di parlarne, si finge,ci si tradisce. 


La comunicazione che dovrebbe  essere il motore di ogni relazione perché permette un'ottima conoscenza dell'altro e l'evitamento delle incomprensioni diventa una sconosciuta o addirittura un mezzo per ferire l'altro. Il tradimento diventa a volte una valvola di sfogo l'espressione della vera individualità, nel nuovo partner si cerca di stabilire degli equilibri che mancano, di sopperire a delle mancanze, anche se a volte si ricade nella stessa trappola.
Alla luce di tutto ciò siamo ancora convinti che esistano vittime e carnefici quando c'è un tradimento?

 Dott.ssa Francesca Cappabianca

Tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara