martedì 9 dicembre 2014

LA PAZIENZA


Se invitate la gente a dire che cosa le viene in mente pensando alla pazienza, ottenete risposte del genere: << Una donna rassegnata, un bue, una persona anziana che fa passare il tempo >>. Invece, all’impazienza: << Un giovane vivace, un capo che da ordini in modo imperioso, una donna bella e capricciosa >>. Ci sono poi molti che considerano la pazienza e l’impazienza due qualità innate, come sarebbero il colore degli occhi o la lunghezza del naso. Alcuni addirittura si vantano dell’impazienza del marito o della moglie. << Non riesce a star ferma un momento, non sopporta le lungaggini >> dicono, come se fosse una prova di vivacità intellettuale o di forza di carattere. Sono invece convinto che la pazienza sia una virtù fondamentale. E, tanto per cominciare, non è affatto innata. La pazienza si apprende, si costruisce col ferreo esercizio della volontà. Il bambino è impaziente. Se ha fame piange, se non c’è la mamma si dispera. L’adolescente è impaziente, morde il freno per stare qualche ora fermo a scuola. Ma anche il bambino, anche il ragazzo, se vogliono riuscire in uno sport, dal calcio alla pesca, devono subito disciplinare i loro impulsi. Devono imparare a stare immobili, attenti, e poi scattare quando è il momento, né un istante prima, né un istante dopo. Devono ripetere pazientemente centinaia di volte lo stesso gesto per perfezionarlo. Molta gente confonde la pazienza con la pigrizia, il disinteresse, l’apatia. Stati psichici caratterizzati dalla mancanza di energia vitale. Invece la pazienza è la capacità di controllare una grande energia vitale senza farsene travolgere, ma indirizzandola a un fine. Nei momenti difficili della vita noi dobbiamo essere capaci di perseguire tenacemente una meta, di volerla con tutta la forza del nostro animo, eppure dobbiamo anche saper aspettare. Come è più facile dare in escandescenze, sbattere una porta! Difficile è sopportare la prima, la seconda, la terza sconfitta e, ogni volta, ricominciare, ritessere le file, cercando nuove strade, nuove alleanze. Tutte le volte che dobbiamo affrontare una grave prova, come un concorso, un affare, una malattia, ma anche un amore, la vera difficoltà è saper resistere giorni e giorni, mesi e mesi, alla più atroce incertezza. La pazienza, in questi casi, è il nome che diamo al coraggio. Il coraggio è la virtù del cominciamento. La pazienza è la virtù del ricominciamento. Perché deve rinascere ogni mattina, ogni ora, ogni minuto. Per <<tener duro>> bisogna  ricominciare a farlo infinite volte. I giovani, finché sono in famiglia, possono permettersi di essere impazienti, cioè di comportarsi come bambini protetti dai loro genitori. Il momento della verità viene quando incominciano a lavorare. Allora, con stupore, si accorgono che nessuno più corregge le loro intemperanze. E che ogni errore devono pagarlo. E, da quel momento, ogni progresso professionale dipende dalla loro capacità di osservare gli altri, di studiarli, di capirli. Siano essi i colleghi, i clienti o i dirigenti. E anche quando viene il momento di parlare, di dire le proprie ragioni, devono sapersi controllare, agire con prudenza e pazienza. L’impazienza crea sempre panico e disagio attorno a sé e, alla fine, si fa tutti nemici. Il padre padrone che, quando torna a casa, urla ad ogni ritardo, il capoufficio che sbraita con la segretaria, il dirigente che strapazza i suoi collaboratori. Costoro usano l’impazienza come strumento di dispotismo e avvelenano la vita e il lavoro degli altri. Chi vuole riuscire non può permettersi questi capricci. A cominciare dal venditore che deve porsi dal punto di vista del cliente, sempre gentile, sempre paziente. Ma anche il grande manager, se vuole ottenere il consenso dei suoi collaboratori, se vuole motivarli davvero, deve essere pronto ad ascoltarli, a parlare, a spiegare, a giustificare, come fa l’allenatore di una squadra. Deve mettercela tutta, e prodigarsi, prodigarsi; e ne deve avere di pazienza!




Tratto da “L’ottimismo” di Francesco Alberoni. Fabri editori- Corriere della Sera 1995.

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