Il Burnout nell’insegnamento
L’insegnante oggi vive una dinamica di ruolo estremamente
articolata perché parte di un sistema ricco di tensioni e mutamenti, quale
quello della scuola.
I numerosi cambiamenti che investono il sistema istruzione uniti
ai cambiamenti della popolazione studentesca pongono l’insegnante di fronte
alla possibilità di sperimentare in continuazione l’esperienza dell’inefficacia
del proprio intervento educativo.
Il fallimento rappresenta una costante minaccia nella percezione
di sé e del sentimento di autostima personale e sociale; tale fenomeno è
potenzialmente in grado di generare situazioni di distress professionale
(disagio) che incidono sulla prestazione lavorativa e sull’equilibrio
psicologico.
Le cause di maggior disagio professionale sono:
• La peculiarità della professione (relazione d’aiuto)
• Lo scarso riconoscimento sociale e istituzionale della
professione
• Il numero elevato di studenti per classe
• La maggior partecipazione degli studenti alle decisioni e
conseguente
livellamento dei ruoli con i docenti
• L’inadeguata retribuzione
• Le conflittualità tra colleghi (passaggio critico dall’individualismo
al
lavoro d’equipe)
• Il rapporto con i genitori e con gli studenti
• L’evoluzione scientifica (avvento dell’era informatica e delle
nuove tecnologie
di comunicazione elettronica)
• Il susseguirsi continuo di riforme
Gli insegnanti, che esercitano appieno una professione
riconosciuta come
relazione di aiuto (helping profession), sono maggiormente a
rischio di sviluppare la sindrome del burnout, a causa dello stress cronico e
prolungato.
Il Burnout è “un processo nel quale un professionista
precedentemente impegnato, si disimpegna dal proprio lavoro in risposta allo
stress e alla tensione sperimentata”.
Secondo Maslach, una delle maggiori studiose del fenomeno in
questione, il nucleo della sindrome del burnout è uno schema di
sovraccarico emozionale seguito da esaurimento emozionale.
Autorevoli studi hanno accertato che tale affezione rappresenta
un fenomeno di portata internazionale, che ricorre frequentemente tra gli
insegnanti. Secondo Maslach e Jackson, una o più condizioni stressogene, se
particolarmente intense o protratte nel tempo, possono indurre l’insorgenza di
tale sindrome.
Secondo il modello di Maslach, che a tutto’oggi è quello
maggiormente condiviso, la sindrome del burnout si caratterizza con:
• particolari stati d’animo (quali ansia, irritabilità, esaurimento fisico,
panico, agitazione, senso di colpa, negativismo, ridotte
autostima, empatia
e capacità d’ascolto, ecc.),
• somatizzazioni (emicrania,
sudorazioni, insonnia, disturbi gastrointestinali, parestesie, ecc.)
• reazioni comportamentali (assenze o ritardi frequenti sul posto di lavoro, chiusura
difensiva al dialogo, distacco emotivo dall’interlocutore, ridotta creatività,
ricorso a comportamenti stereotipati).
Il repertorio comportamentale che viene descritto da questo
modello si declina attraverso vissuti di:
1. Esaurimento emotivo: la sensazione di essere in
continua tensione, emotivamente inariditi dal rapporto con gli altri. Essa si
caratterizza per la mancanza dell’energia necessaria per affrontare la realtà
quotidiana e per la prevalenza di sentimenti di apatia e distacco emotivo, nei
confronti del lavoro. Il soggetto si sente svuotato, sfinito, le sue risorse
emozionali sono esaurite. Le conseguenze dell’esaurimento emotivo
possono essere sia fisiche (insonnia o disturbi nel sonno, emicrania, problemi
gastrointestinali) che interpersonali (stanchezza, affaticamento, vuoto
mentale, sensazione di fallimento, ansia, depressione, rabbia, scoraggiamento,
tendenza all’isolamento e al ritiro.
2. Depersonalizzazione: la risposta negativa nei
confronti delle persone che ricevono la prestazione professionale. Viene rappresentata
da un atteggiamento caratterizzato da distacco e ostilità che coinvolgono
primariamente la relazione professionale, vissuta con fastidio, freddezza e
cinismo. La persona tenta di sottrarsi al coinvolgimento, limitando la quantità
e la qualità dei propri interventi professionali al punto da rispondere
evasivamente alle richieste e sottovalutare o negare i problemi dell’utente.
Crollate le aspettative, cadono anche le convinzioni personali riguardo alle
proprie capacità ed alle proprie competenze: “non sono capace di fare il mio
lavoro!”, “non valgo niente!”.
Le conseguenze della depersonalizzazione possono essere
lavorative (bassa produttività lavorativa con sensazione di mancata
realizzazione dei propri obiettivi, assenteismo, rigidità e resistenza al
cambiamento, ripetitività passiva e acritica del proprio lavoro) e
interpersonali (cinismo, aggressività, sospettosità, incapacità d’ascolto e
relazione d’aiuto).
3. Ridotta realizzazione professionale: la sensazione che nel lavoro a contatto con gli altri la propria
competenza e il proprio desiderio di successo stiano venendo meno. Il soggetto
si sente perennemente fallito da un punto di vista professionale e
inadeguato per il tipo di lavoro svolto. Tale stato è inoltre aggravato dalla
consapevolezza del disinteresse e dell’intolleranza verso gli altri. Ciò
comporta pesanti sensi di colpa per le modalità relazionali impersonali e
disumanizzate che si è, in qualche modo, costretti ad utilizzare nella relazione
con altri. Mentre in passato il lavoratore trovava nel lavoro stimoli e
caratteristiche che, se pur in vario modo, rispondevano alle attese personali e
alle motivazioni di scelta del lavoro, successivamente prevale la routine, la monotonia
e tutto diventa più pesante e gravoso.
Le conseguenze della ridotta realizzazione professionale
intaccano il complesso di sensazioni relative alla propria competenza e abilità
professionale. Ne risente, senz’altro, anche il desiderio ed il piacere di
lavorare con gli altri, condividendo le esperienze acquisite.
La sindrome del burnout può essere riconosciuta attraverso la
presenza di
quattro elementi principali:
1. Affaticamento fisico
ed emotivo (emotional exhaustion and fatigue);
2. Atteggiamento distaccato e apatico nei confronti di studenti,
colleghi e neirapporti interpersonali (depersonalisation and cynical
attitude);
3. Sentimento di frustrazione dovuto alla mancata realizzazione
delle proprie aspettative (lack of personal accomplishment);
4. Perdita della capacità del controllo, smarrimento cioè di
quel senso critico che consente di attribuire all’esperienza lavorativa la
dimensione giusta. La professione finisce per assumere un’importanza smisurata
nell’ambito della vita di relazione e l’individuo non riesce a “staccare”
mentalmente tendendo a lasciarsi andare anche a reazioni emotive, impulsive e
violente.
In altri termini psicologici individuali e interpersonali, nella
sindrome del
burnout si instaura una situazione conflittuale tra il modello
ideale che ciascuno ha del suo lavoro (come è stato desiderato e quindi
scelto), tra il ruolo lavorativo così com’è e quello effettivamente svolto e il
ruolo burocratico (così com’è imposto dalla istituzione).
La conseguenza è che si “spersonalizza” il rapporto con l’utente
e si riduce la motivazione ad intraprendere azioni finalizzate alla soluzione
di problemi, impedendo l’elaborazione di azioni creative e originali.
Ciò implica dei rischi per la salute mentale dell’individuo, che
vive il rapporto con l’istituzione attraverso emozioni di rabbia, senso di impotenza,
depressione, ansia e tutto questo determina disistima, richiami, censure e,
nei casi più gravi, provvedimenti disciplinari).
A fare fronte a questi sintomi e a queste percezioni spiacevoli
in grado di condizionare pesantemente il tono dell’umore e la qualità della
vita dell’individuo nel suo contesto, intervengono le cosiddette Strategie di
Coping (Coping Strategies).
In uno studio effettuato nel Regno Unito su 2.638 direttori
scolastici viene suggerita una classificazione delle strategie di coping messe
in atto:
• Azioni dirette (direct), miranti cioè ad
affrontare positivamente la situazione
• Diversive (diversionary), cioè tese a
schivare l’evento assumendo un atteggiamento
apatico, impersonale, distaccato nei confronti di terzi
• Di fuga (withdrawal) o abbandono dell’attività,
per sottrarsi alla situazione
stressogena
• Palliative (palliative) cioè incentrate
sul ricorso a sostanze come caffè, fumo, alcool, farmaci.
Intervento psicologico
Da molti anni l’interesse della
psicologia al mondo della scuola è in aumento, anche se lo psicologo non è una
figura istituzionalizzata e riconosciuta nelle scuole di ogni ordine e grado.
Negli ultimi anni, accanto ai
temi finora trattati dalla psicologia, è emersa la necessità di considerare lo
stress professionale del corpo docente e la sindrome del burnout, come oggetto
d’interesse.
La psicologia scolastica è una
disciplina che si occupa di produrre salute e mira al benessere del docente,
inteso anche come la capacità di trovare nuove strategie di adattamento in
situazioni di disagio professionale, consentendo una crescita individuale e
sistemica che coinvolga l’identità personale e professionale del docente. E’
una materia che mira alla scoperta e al potenziamento di quelle parti sane dell’individuo,
inteso come persona che fa parte di un contesto di appartenenza e dotato di una
mente relazionale, in grado di crescere in maniera ecologica e parallela rispetto
agli altri individui del gruppo di lavoro.
L’ultima edizione del Giornale
“La Professione di Psicologo”, organo ufficiale dell’Ordine Nazionale degli
Psicologi è stata interamente dedicata alla Scuola e intitolata “I Servizi
Psicologici per la Scuola”.
All’interno di questa edizione è
stata realizzata un’intervista al Prof. Guido Petter e troviamo stimolante, per
una riflessione attuale e futura, riportare alcune sue parole.
Alla domanda sulla riscoperta e
sulla rivalutazione del ruolo della passione per la professione di insegnante,
il professore ha risposto:
“Avere passione per il mestiere
che si esercita è certo importante nel caso di tutte le professioni, perché
significa, per una persona, identificarsi con l’attività che svolge, sentirsi
realizzata attraverso di essa, trovare in essa continui motivi di soddisfazione
e di crescita (e purtroppo molte volte non è così, quando per esempio si è
costretti ad accettare un lavoro che proprio non piace e al quale ci si sente
estranei).
Nel caso delle cosiddette
“professioni d’aiuto” [...] questa “passione” assume un ruolo anche più
rilevante, perché non ha allora solo una ricaduta personale [...] ma anche
un’importante ricaduta sociale.
Infatti, un insegnante che ha
passione per il proprio lavoro tende costantemente a migliorare la propria
preparazione, ad acquisire sempre nuove conoscenze e abilità, e ciò si riflette
positivamente sugli allievi, con i quali svolge la sua attività educativa.
Inoltre, questi ultimi avvertono
il suo entusiasmo e ne vengono facilmente coinvolti. E, in qualche misura, lo
avvertono anche i genitori, che più facilmente possono allora impegnarsi nelle
direzioni da lui indicate.
E lo avvertono anche i colleghi:
è un dato di fatto che, quando in una scuola opera un piccolo nucleo di
insegnanti “appassionati”, anche gli altri si lasciano coinvolgere in
iniziative educativamente importanti, e il tono di
tutta la scuola si alza”. Riteniamo
che, in linea con il titolo e l’obiettivo del corso, i gruppi hanno contribuito
ad un’iniziale modifica dell’atteggiamento dei docenti e dei dirigenti verso le
problematiche emotive, con la sfida di muoversi tutti verso una “Scuola di
Salute e Condivisione”.
Fonte: "L’approccio psicologico al disagio mentale professionale e al Burnout: orientarsi dal problema alla gestione proficua del conflitto attraverso strategie personali e di gruppo"
Centro di Psicoterapia Familiare
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