sabato 2 febbraio 2013

DISABILITA'


In attesa di un bambino "imperfetto"




Nella società moderna ogni famiglia, intesa come “organizzazione di persone in continuo cambiamento e crescita”, è impegnata a portare a termine diversi compiti di sviluppo nel corso del suo ciclo di vitale. Essa attraversa una successione di quattro fasi, delimitate da alcuni eventi critici, che introducono, significative trasformazioni di ordine strutturale, relazionale, psicologico e organizzativo.
Dal momento iniziale in cui viene a crearsi la nuova coppia, si entra nella fase di procreazione in cui si assiste alla crescita dei figli fino allo svincolo; l’ultima fase è detta dell’invecchiamento con la conseguente morte di uno dei coniugi. È risaputo che alla nascita di un figlio sono connesse profonde aspettative di gratificazione personale e sociale. Se il figlio nasce con un handicap, l’evento si trasforma in angosciante e luttuoso. È dalla seconda fase quindi che si evidenziano le maggiori problematiche interne alla famiglia: il bambino nato non corrisponde a quell’ideale che si attendeva, mentre il figlio portatore di handicap  realizza i fantasmi del bambino “anormale”, presente nell’immaginario di tutte le donne incinte.
La famiglia in cui vive un bambino disabile è una famiglia a rischio: sono state rilevate alte percentuali di separazioni, di distacco dalla vita attiva e di relazione, sono frequenti depressioni della madre e pressoché costanti situazioni di nevrosi e di disadattamento dei fratelli. Ogni  famiglia è però costretta al conformismo e deve fare riferimento ossessivamente ai ruoli e alle tappe evolutive che la nostra cultura definisce per il bambino normodotato, ma molti indici di normalità cadono drammaticamente.
Le famiglie con un bambino disabile (evento imprevedibile e non scelto), cominciano a differenziarsi dalle altre a partire dalla nascita del figlio includendo problemi di accettazione, percezione dell’handicap, compiti di cura, riorganizzazione della coppia.
Il suo trauma, che condiziona tutti i rapporti successivi, è costituito anche dalla modalità con cui la famiglia viene informata e prende conoscenza dell’handicap del figlio. La scoperta può essere immediata o tardiva ma quasi sempre avviene nella solitudine dei genitori senza un appoggio medico-psicologico che dia consapevolezza sui deficit e sulle possibilità di recupero. La carenza e la distorsione delle notizie rende difficile soprattutto l’intervento attivo dei familiari nel processo della riabilitazione, il cui fallimento costituirà una permanente diffidenza per gli ulteriori interventi educativi, riabilitativi e di socializzazione nei confronti del figlio.
Pertanto un concreto intervento di supporto psicologico sarebbe auspicabile sin dai primi momenti in cui si viene a conoscenza di un eventuale handicap del nascituro, con il fine di far emergere, in tutti i membri della famiglia, le risorse necessarie per condurre una vita il più regolare possibile.

 Dott.ssa Ivana Siena

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