domenica 14 aprile 2013

PSICOLOGIA DELLO SPORT




“Le aspettative degli adulti verso i giovani giocatori o atleti” è un tema importante che pone l’accento su ciò che si cela dietro la scelta, più o meno deliberata, di intraprendere questo tipo di carriera sportiva. Complici i sogni irrealizzati e le aspettative sempre più alte dei genitori, i bambini di oggi sono, già dalle scuole elementari  impegnati in una media di tre attività extrascolastiche di cui almeno una ha a che fare con il mondo dello sport.
I maschietti dai cinque ai dodici anni devono essere bravi a scuola, devono suonare la chitarra o il pianoforte, parlare le lingue e  giocare bene a calcio, spesso a prescindere dal reale talento espresso. Nasce così un vero e proprio business di scuole calcio, alimentato dal fanatismo dei genitori, basti pensare che quelle riconosciute dalla Federazione sono circa settemila ed alcune di loro rappresentano un vivaio per squadre ufficiali. Questa frenetica corsa al successo personale è mossa dallo stereotipo della vita del calciatore, soldi, popolarità e potere in certi casi, che comunemente viene intesa come il raggiungimento dell’autorealizzazione, apice della scala di bisogni di ogni essere umano.
Dietro questo modello ideale di vita si nasconde però un limite che è rappresentato dall’impossibilità concreta di proseguire un corretto percorso di studi che permetta al ragazzo, calcisticamente talentuoso, di sperimentarsi in altre abilità per cui è portato. È da tener presente che la carriera calcistica è relativamente breve, pertanto un calciatore di trentacinque anni, non necessariamente di serie A, si ritrova a reinventare la sua vita post carriera, investendo i soldi guadagnati in attività che rilascino comunque un profitto, ma che non sempre portano ad una reale soddisfazione personale, incorrendo così in rischi patologici gravi.
È d’obbligo una distinzione tra i calciatori italiani e quelli di altri paesi del mondo che hanno un sistema educativo diverso. È risaputo infatti che determinati calciatori stranieri, provenienti da paesi più poveri dell’Italia, imparano a giocare a calcio per strada, luogo d’elezione per riempire il tempo laddove non è concesso loro il privilegio di accedere ad una istruzione adeguata alla loro età. Senza contare che spesso il calcio diventa, in questi casi, una valida alternativa a deviazioni verso strade delinquenziali ed autodistruttive.
In questi paesi non esiste il concetto di Intelligenze Multiple (come definito da Gardner) ad esempio, dove per intelligenza è inteso il potenziale biologico che può essere più o meno sviluppato, a seconda delle opportunità disponibili e delle decisioni personali prese dagli individui di una cultura specifica. Così come definite dall’autore, le Intelligenze Multiple sono otto: linguistica, logico-matematica, musicale, spaziale, corporeo-cinestesica, interpersonale, intrapersonale e naturalista, tutti ambiti che vengono riconosciuti e potenziati attraverso l’istruzione scolastica. Quella corporeo-cinestesica, lo dice la parola stessa, ha a che fare con le abilità motorie ed è pertanto quella maggiormente potenziata dai calciatori e dagli atleti in generale. Le altre intelligenze restano nel patrimonio genetico più o meno sviluppate.
Ove un adolescente capace decida di proseguire nella carriera da calciatore, potrebbe trovarsi a riporre in un angolo le altre abilità possedute e ad incentrare ogni energia a livello corporeo, tralasciando la possibilità di professioni alternative. Da ciò nasce il pregiudizio secondo cui i calciatori sono ignoranti, ingrati, sbruffoni; molti di loro confermano le loro carenze linguistiche durante le interviste post partita. Un pregiudizio negativo, seppur fondato, va a travolgere tutta una categoria, lasciando invisibili i personaggi che rappresentano l’eccezione alla regola. Un esempio è rappresentato da Guglielmo Stendardo, 31 anni, calciatore oggi dell’Atalanta, con un passato nella Lazio e prima ancora nella Juventus. Proprio lui, come altri, ha scelto di impegnarsi negli studi universitari in Giurisprudenza, e pochi mesi fa ha sollevato polemiche con la sua richiesta di partecipare all’esame di abilitazione, penalizzando la sua presenza in un incontro di Coppa Italia contro la Roma. L’allenatore Colantuono lo ha punito, lasciando trapelare una conferma al pensiero secondo cui “un professionista strapagato non ha l’impellenza di svolgere un’altra professione”.  
Oggi esiste un progetto ideato dall’Associazione Italiana Calciatori, “Ancora in carriera”, già alla seconda edizione, con l’obiettivo di sviluppare le competenze professionali dei calciatori a fine carriera per consentire loro un pieno inserimento nel mondo del lavoro dentro e fuori dallo sport.
Spesso il nutrire pregiudizi relativamente a determinate categorie di persone porta a modificare il proprio comportamento sulla base delle credenze socialmente condivise, con la conseguenza di creare condizioni tali per cui si va a confermare tale pensiero, ad esempio scegliendo di sacrificare gli studi in nome della carriera (una profezia auto avverante).  Chissà cosa ne penserebbe Pietro Mennea, con le sue quattro lauree, le sue docenze universitarie, i suoi venti libri scritti e il suo record mondiale imbattuto per ben diciassette anni! 
Dott.ssa Ivana Siena

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