sabato 30 marzo 2013

CICLO DI VITA DELLA FAMIGLIA


Sindrome del nido vuoto


La cosiddetta sindrome del nido vuoto è in realtà un momento di disagio individuale o di coppia che può verificarsi in corrispondenza con il momento del ciclo di vita della famiglia che corrisponde all’uscita di casa dei figli. I dati statistici riportano che questo momento è ritardato di quasi un decennio rispetto al passato, cioè l’uscita di casa dei figli, che vanno a vivere autonomamente con o senza un partner, si colloca nella maggior parte dei casi dopo i trent’anni. 
Si riferisce a sentimenti di depressione, ristezza, e/o dolore sperimentato dai genito nel momento in cui i figli iniziano a lasciare” la casa genitoriale. Questo talvolta può accadere quando i figli da bambini iniziano ad andare a scuola oppure, di solito quando raggiunta la maturità, decidono di andare via e sposarsi.
Le madri hanno maggiore probabilità di essere colpite rispetto ai padri, perchè spesso, il momento in cui il “nido” si svuota coincide per le donne con momenti altrettanto difficili e significativi della vita come ad esempio la menopausa o la cura dei genitori anziani, quindi lo stress è certamente più alto.
Fortunatamente la stragrande maggioranza delle madri oggigiorno lavora, pertanto, avverte in maniera meno forte il vuoto che i figli lasciano nell’andare via di casa.
Inoltre , un numero sempre crescente di giovani adulti tra 25 e 34 vive ancora in casa.
Psicologo Allan Scheinberg definisce questi ragazzi "figli boomerang" vuole a dire che seppur i genitori offrono loro la possibilità di abbandonare il nido familiare, a causa della limitata responsabilità appresa nell’infanzia e grazie ai privilegi che il restare in casa con i genitori offrono, quasi sempre questi ragazzi, esattamente come boomerang, dopo brevi sperimentazioni di
distanza tendono a rientrare in casa non appena incontrano le prime difficoltà.

Sintomi
Sentimenti di tristezza sono normali in questo momento. È anche normale trascorrere del tempo nella cameretta per sentirsi più vicini al proprio figlio, ma è fondamentale controllare le proprie reazioni e la loro durata. Se si sente che la propria vita è inutile, o se si piange continuamente o si è così angosciati fino al punto da non desiderare vedere amici o andare al lavoro, si dovrebbe considerare la possibilità di richiedere un aiuto professionale.


Cause
In genere le famiglie rendono possibile e facilitano il processo fisiologico di uscita di casa dei figli, mentre ciò può risultare problematico nelle cosiddette famiglie invischiate: per esempio se la presenza del figlio in casa è ciò che consente di eludere il conflitto tra i genitori allora l’abbandono del tetto da parte del figlio provocherebbe uno squilibrio che l’intera famiglia non sarebbe in grado di fronteggiare. In alcuni casi, come dice Haley, un esperto di dinamiche familiari, è il figlio stesso a sviluppare un qualche tipo di problema, ad esempio un comportamento sintomatico o un fallimento nell’inserimento professionale, tanto da renderlo necessariamente bisognoso della famiglia ed impossibilitato a separarsene.

Generalmente quello che viene consigliato alle coppie che restano nuovamente sole, come quando erano senza figli, è di re-investire energie emotive e fisiche nella relazione di coppia, se questa relazione funziona: quindi l’ideale sarebbe quello di crearsi dei nuovi interessi, dedicarsi ad attività che a causa delle necessità dei figli sono sempre state rinviate, come viaggiare, iscriversi ad un corso di ballo, riscoprire l’intimità e le relazioni amicali. E naturalmente rappresentare per i figli un punto di riferimento certo, seppur distinto.

Se la relazione di coppia invece è già da tempo problematica l’uscita di casa dei figli può funzionare da detonatore della conflittualità, poichè se restare uniti poteva essere sensato in presenza dei figli, anche se adulti, è facile che si possa andare incontro all’eventualità di una separazione nel momento in cui anche il figlio più piccolo ha lasciato il nido. In questo caso però incolpare l’indipendenza dei figli del fallimento della relazione è un meccanismo patologico e soprattutto improduttivo.
Per affrontare l’eventuale rinegoziazione della relazione coniugale può essere utile pensare di intraprendere una psicoterapia di coppia, mentre in caso di separazione si può decidere di affrontare lo stress di questo evento attraverso un aiuto individuale.
Recenti ricerche indicano che la qualità del rapporto genitore-figlio può vere importanti conseguenze in un momento così delicato come quello all’abbandono della casa genitoriale. Estreme ostilità, conflitti, o drastici distacchi nella relazione padre-figlio possono ridurre la sensazione di sostegno necessario per la maggior parte dei giovani durante la prima età adulta rendendo più doloroso e difficile l’abbandono ed acutizzando i sentimenti di colpa e disagio nella madre, la quale si sente inevitabilmente fra due fuochi.
Le donne sono particolarmente vulnerabili alla depressione quando i figli lasciano la casa, attraversano infatti una profonda perdita di identità e di finalità. Tuttavia, gli studi non indicano alcun aumento della malattia depressiva tra le donne in questa fase della vita.

Trattamento
Parlare dei propri sentimenti, con un professionista e ritrovare tutti quegli aspetti positivi che una maggiore libertà può offrire. Nel frattempo, è importante frequentare gli amici, avvicinarsi al proprio partner, riscoprire interessi messi tempo prima nel cassetto.
Questo può favorire anche il processo di adeguamento al nuovo ruolo ed identità di genitore. Il rapporto con il proprio figlio può diventare più paritario e diretto. Risulta utile ad evitare lo svilupparsi di tale sindrome,tenere sempre un “posto vuoto” nel nido mentre i figli vivono ancora in casa.
Sviluppare amicizie, hobby, carriera, e di opportunità ludiche. Fare piani con la famiglia, mentre sono ancora tutti sotto lo stesso tetto, piani specifici per una parte extra di denaro da spendere solo per gratificare e “coccolare”se stessi (viaggi, piccoli regali…) nel momento in cui si resterà soli.

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