La seconda fase: l’ingresso
Il momento dell'incontro è reso difficile
da un'estraneità reciproca (entrambi hanno stili di vita, abitudini, modi
di vedere la realtà diversi). Essi hanno anche, come abbiamo visto, elaborato
aspettative, timori nei confronti dell'altro: i genitori attraverso
un'immagine di bambino desiderato ed idealizzato e il bambino attraverso
un'immagine di adulto che è frutto della sua esperienza precedente.
Quindi è richiesto un adattamento reciproco,
determinato dalla graduale conoscenza reciproca, ma anche dal tentativo di
entrambi di verificare le proprie aspettative e timori. La difficoltà
iniziale non sarà, allora, solo di stabilire un rapporto fra persone che
non si conoscono e che sono diverse, ma anche di sostituire le immagini
fantasticate con le persone reali. Ma è fondamentale che ciò avvenga da
parte di entrambi.
Da parte dei genitori la discrepanza non è
solo fra bambino desiderato e bambino reale ma anche fra una loro immagine
di sé come genitori e il loro atteggiamento verso il figlio adottivo. Per
il bambino va considerato che l'adozione, se da una parte, gli dà
la sensazione di essere desiderato da qualcuno, nello stesso tempo gli dà
la certezza del rifiuto da parte dei genitori naturali. Il bambino si
sente abbandonato, ma spesso non ne conosce il motivo e si sente in
qualche modo responsabile, per questo ha paura di essere nuovamente
abbandonato e, siccome non si fida ancora dei suoi nuovi genitori, li sfida per
vedere se veramente loro gli vogliono bene, attraverso comportamenti
aggressivi o minacce di abbandono.
Tali comportamenti aggressivi, se da una
parte, possono essere un mezzo per negare realtà dolorose e minacciose, dall'altra
possono, però, generare sensi di colpa e il timore di essere nuovamente
abbandonato. Questo fa sì che inizialmente il bambino alterni momenti di
rivalsa e momenti di richiesta di affetto che possono stupire gli
adottanti. Un altro comportamento che può sconcertare i genitori è il
ricordare frequentemente da parte del bambino le sue origini, per non
perdere la propria identità.
Egli così racconta dei suoi genitori
naturali, magari idealizzandoli, per dare una definizione di sé,
all'interno di un ambiente per lui assolutamente sconosciuto.
L'inserimento di una persona in un nucleo
familiare crea sempre dei problemi di adattamento. Infatti un evento così
importante come la nascita di un figlio provoca radicali cambiamenti
nell'organizzazione familiare: i genitori devono dividersi i compiti per
adeguarsi ai bisogni del nuovo nato.
In sostanza, a seconda delle fasi del ciclo
vitale, la famiglia deve adattarsi e ristrutturarsi, e ciò richiede da
parte dei familiari un continuo accomodamento.(Minuchin,1976)
"La famiglia deve affrontare la
problematica causata dal cambiamento sia interno che esterno pur
mantenendo la sua continuità, e deve sostenere e incoraggiare la crescita
dei suoi membri, pur adeguandosi a una società in transizione".(Minuchin,
1976)
Anche nell'adozione la ricostruzione di un
nuovo equilibrio familiare avviene spesso con difficoltà. E ciò dipende
dalla motivazione all'adozione. Infatti spesso viene adottato un bambino
per la donna, non solo per riempire le sue giornate, ma per dare un senso
alla sua vita. Capita così che il marito acconsenta all'adozione, ma non senta
questa decisione come qualcosa che lo coinvolge e che implica un
cambiamento di vita e delle relazioni familiari. Egli non sempre accetta
il bambino e talvolta arriva a viverlo come un rivale.
In questo modo il padre adottivo si trova
coinvolto in un rapporto in cui non pensava di esserlo e questo può far sì
che i problemi che il bambino presenta vengano da lui ingigantiti.
In questo modo se il rapporto di coppia era
retto da un equilibrio precario o da intese solo formali l'ingresso del
bambino può veramente creare delle forti tensioni.
Inoltre se i genitori non saranno in grado
di riconoscere il bisogno duplice del bambino, di protezione e di affetto,
ma anche di rendersi gradatamente autonomo, sperimentando nuovi spazi,
egli dovrà rinunciare a definirsi in modo autonomo all'interno del nucleo
familiare. Tali rinunce saranno più evidenti nei bambini più grandi, ma anche
nel bambino più piccolo si noterà un adeguamento passivo agli schemi
familiari.
"Le possibilità di adattamento e di
crescita del bambino nel nucleo adottivo appaiono così legate alla capacità dei
genitori di rendersi disponibili alla modifica dei rapporti familiari in
funzione dei bisogni reali del bambino e quindi anche al cambiamento di
aspettative e di prospettive elaborate durante l'attesa".
(Dell'Antonio, 1986)
Infatti è necessario che chi adotta un
bambino assuma un ruolo genitoriale nei suoi confronti, accentandolo per
quello che è, con i bisogni che porta ma anche con i suoi conflitti e
difficoltà.
Quindi poiché il bambino adottato porta con
sé un nome, una storia, una cultura e un corpo, la famiglia, tutta, deve essere pronta ad accettarli.
L’ingresso di questo bambino rende reali le
fantasie e le attese create su di lui che aumentano in base all’età ed al sesso
del bambino.
Infatti un neonato è destorizzato e il
processo di accoglienza e di educazione rende questo nuovo nucleo familiare più
simile ad una famiglia naturale. Se il bambino è già abbastanza grande, la
coppia vive un nuovo lutto che è la fase di accudimento del neonato e quindi
anche il processo di attaccamento; la tendenza in queste situazione è di
infantilizzare il bambino, per non privarsi di quei momenti che invece hanno
perso. Ma il bambino ha bisogno di costruirsi una memoria positiva di ciò che
gli sta accadendo e spesso non è disponibile da subito al contatto fisico che
risulta anzi non gradito. Il senso di accoglienza per lui si accresce
attraverso segnali emotivi e non verbali.
Il bonding nel bambino adottato è stato
prematuramente interrotto da una separazione dalla madre di nascita, producendo
un’esperienza di perdita che si imprime in maniera indelebile nella mente e nel
cuore e generando così la cosiddetta ferita primaria.
I comportamenti di attaccamento includono
anche la rappresentazione del mondo e di se stessi; i bambini si percepiscono
come tranquilli e sicuri di loro stessi perché hanno sperimentato un mondo
positivo e accogliente attraverso l’attaccamento. La ferita primaria porta
invece il bambino a sentirsi indegno di essere amato e scatenando rabbia e
disperazione, rendendogli difficile partire da una base sicura e introiettare
una relazione con la madre di nascita sufficientemente buona, che gli permetta
di avere fiducia nel mondo e nelle sue potenzialità.
La relazione che si instaura fra la mamma e
il suo bimbo nei primi anni di vita può essere paragonata ad una danza che, se
interrotta, provoca chiusura e dolore. I passi di questa danza interrotta
possono però essere recuperati, imparati di nuovo grazie ad una nuova musica
che la famiglia adottiva compone insieme al suo bambino.
Un fattore positivo di questo
momento del processo adottivo è rappresentato da una partenza alla pari di
entrambi i genitori al contrario di un parto naturale in cui il legame
biologicamente più forte tra madre e nascituro porta a posizionare il padre in
maniera periferica con i conseguenti sentimenti di esclusione.
Dal punto di vista del bambino
Il bambino adottato convive con il doloroso
fatto che i genitori biologici non hanno potuto (voluto) tenerlo con loro e
questo lo espone alla prematura ferita della perdita. La famiglia adottiva
genera il bambino nel suo essere figlio a partire dall’esperienza
dell’abbandono.
Spesso questi bambini sono considerati
difficili, estremamente problematici proprio a causa dell’esperienza che hanno
vissuto; sperimentano difficoltà di concentrazione, di astrazione, di
linguaggio, percezione visuo-spaziale alterata, rad (reactive attachment
disorder-sindrome di non attaccamento), blocco emotivo, bassa autostima anche a
causa degli episodi di bullismo di cui spesso sono vittime.
E’ fondamentale sapere che questi bambini
hanno potenzialità inutilizzate enormi, sopite fortemente dall’instabilità
della situazione da cui arrivano, dalla mancanza di punti di riferimento
affettivi e cognitivi; l’importante è non considerare queste difficoltà come
tratti di personalità, per non imbrigliare il bambino emotivamente e
cognitivamente ancora di più nella sua storia ferita.
Nell’adozione si può pensare
all’integrazione a diversi livelli. In particolare se ne possono considerare due:
socio-culturale e psico-educativo.
1) Livello socio-culturale
Nella quotidianità, nella scuola, nel tempo
libero, nelle amicizie.
Parlare dell’adozione trattandola come una
delle possibili esperienze di vita.
La scuola in questo ambito può fare tanto
già a partire dalla scuola materna. Ecco alcune attività che si possono
proporre: leggere fiabe che parlino di adozione, drammatizzazione dell’andare
all’aeroporto a ricevere il fratellino o la sorellina adottati, preparare la
casa per il bimbo adottato.
E’ indispensabile inoltre un lavoro sul
pregiudizio nei confronti di chi non appartiene ad una famiglia tradizionale
(non solo con bambini adottati ma anche figli di genitori separati).
Lavoro sull’apertura del campo mentale,
aiutando i bambini a considerare diverse fonti di informazione, prendendo in
considerazione anche esperienze e percorsi di vita a cui non sono abituati. E’
necessario che i bambini imparino a costruire realtà esperite derivanti
dall’incontro vero con l’altro e con la sua storia, soprattutto se dolorosa.
2) Livello psico - educativo
Per integrazione possiamo intendere inoltre
il graduale sviluppo delle funzioni del sistema nervoso secondo un ordine
biologico che tende al creare un’unità. In psicologia si usa il termine
integrazione anche per indicare l’avvenuto processo di assimilazione e
accomodamento di nuove esperienze e nuovi elementi nella struttura psichica
della persona, oltre all’adattamento al sistema sociale e socioculturale
esistenti.
I bambini adottati vivono una profonda
disunità e una percezione spesso episodica della realtà; per loro è molto
difficile collegare la storia attuale ad eventi precedenti, se non attraverso
la sofferenza del ricordo negativo di alcuni episodi traumatici dell’infanzia.
Spesso la capacità di assimilazione e di connessione fra gli eventi è alterata
dall’esperienza in Istituto, che confina spesso i bambini in giornate senza
avvenimenti significativi che le scandiscano e che aiutino a strutturare il
senso del ritmo del tempo.
E’ necessario far riscoprire al bambino la
potenza del suo pensiero, della sua mente, per permettergli di spendere i molti
talenti a sua disposizione, mettersi in gioco per superare le difficoltà e
realizzare i suoi obiettivi.
Un’altra mediazione fondamentale è quella
dell’individualità e della differenziazione psicologica: il bambino adottato
deve sperimentare relazioni finalmente positive in cui rispecchiarsi, per poter
cogliere la propria unicità, le caratteristiche peculiari di se stesso
attraverso le quali poter arrivare all’autonomia. L’individualità può essere
paragonata all’impronta digitale, che è differente per ogni persona. .
Opportuno è stimolare anche la certezza della modificabilità, per aiutare il bimbo a comprendere che le cose possono cambiare e migliorare, a partire proprio da quello che non va e che ci crea difficoltà; individuare il potenziale positivo insito nel cambiamento permette di gioire di ciò che inizialmente destabilizza.
Opportuno è stimolare anche la certezza della modificabilità, per aiutare il bimbo a comprendere che le cose possono cambiare e migliorare, a partire proprio da quello che non va e che ci crea difficoltà; individuare il potenziale positivo insito nel cambiamento permette di gioire di ciò che inizialmente destabilizza.
Infine, importantissima è la mediazione del
senso di appartenenza ad un gruppo, ad un paese, ad una comunità in modo da
potersi sentire parte di ambienti che permettano di dare significati condivisi
e risposte di senso, di dare e ricevere amore e amicizia.
Non ci sono risposte ai dubbi
forse l'unica si trova nel sorriso di una donna che stringe a sé un bambino di
cui non e' la mamma ma la madre, e che salvandolo, si e' salvata.
Il supporto alla nuova famiglia
La coppia che si apre all’adozione ha
spesso anche un doloroso bagaglio fatto di una costellazione di fattori
bisognosi di trovare un ambiente in cui confrontarsi serenamente, senza troppe
remore e dando il nome giusto alle esperienze.
Un papà che ha accolto una bambina e segue
ora gli iter di coppie adottive ha riletto con originalità la sua esperienza
etichettandola “Sindrome di Stoccolma post-adottiva” . Con ironia viene
spiegato di uno strano fenomeno che colpisce le coppie adottive appena possono
finalmente stringere fra le braccia il bambino o la bambina tanto attesi, dopo
un lungo e doloroso iter. Inebriati dalla gioia, i genitori iniziano
inconsciamente a rileggere tutta la esperienza che li ha condotti fino a quel
bambino che ora è entrato anche fisicamente nella loro vita e tutto
improvvisamente diventa positivo e quasi magico, soprattutto le cose negative.
Quindi i tempi, spesso lunghissimi, di attesa, le pratiche, i tanti documenti,
gli incontri con i Servizi Sociali, il dolore dell’attesa protratta, l’incontro
con il bambino che poi si doveva lasciare in Istituto per diversi altri mesi
tutto cambia assumendo colori pastello, tinte delicate, profumi deliziosi,
scrive l’autore. La Sindrome
di Stoccolma post-adottiva placa forse la durezza dell’esperienza, ma è
necessario conservare un po’ di rabbia storica funzionale allo scatto che si
deve fare per integrare pienamente l’esperienza traumatica dell’attesa nella
propria storia di vita. L’ascolto di un mediatore può essere utile a questo
scopo, attraverso l’importante mediazione di significato, di trascendenza, di
condivisione e di sentimento di appartenenza.
La richiesta da parte dei genitori adottivi
di una consulenza psicologica riflette il loro bisogno di "fare sempre
qualcosa" per i figli, come se fosse una loro missione, che, a volte, può
anche non esaurirsi, neanche con il passaggio del figlio all'età adulta (Prieur,
1988).
Tale bisogno può essere un'affermazione del
sentimento di onnipotenza educativa di questi genitori che, se da un lato, può
soddisfare la loro identificazione narcisistica, dall'altro serve a distruggere
l'immagine della madre naturale e a creare un bambino nuovo, che non ha una
storia, un passato.
Questo confronto con la madre naturale può
avvenire da parte dei genitori adottivi, per esempio, aggredendo verbalmente il
figlio adottivo quando questo in qualche modo li delude.
Inoltre in alcune famiglie adottive accade
una "rottura del tempo", perchè c'è uno sforzo comune, sia da parte
dei genitori sia da parte dell'adottato, di dimenticare un passato che spesso è
molto doloroso.
Le "famiglie riuscite", quindi,
sarebbero quelle che conservano la memoria del periodo precedente l'adozione e
ciò darebbe loro modo di ritrovare una continuità del tempo, in quanto se non
si possiede un passato può risultare difficile avere un futuro.
Ma c'è un'altra dimenticanza che i genitori
operano: la loro storia prima dell'adozione che, nel caso di coppie sterili, è
una storia costellata di grandi sofferenze. Spesso, infatti, nelle
famiglie adottive non si parla con i figli di cosa ha motivato l'adozione, del
perchè si è operata questa scelta. I genitori, in genere, poi, sottolineano che il
passato del figlio è molto più doloroso del loro e quindi evitano di parlarne.
Ma questo loro "segreto" può avere delle gravi ripercussioni sul
rapporto genitori-figli.
E' indispensabile, infatti, che i coniugi
riescano ad elaborare i propri vissuti di lutto e di frustrazione biologica.
Questo processo che si snoda nel tempo è molto importante per la coppia
genitoriale e per la riuscita del processo adottivo.
In queste famiglie l'iter che porta
all'adozione è raramente vissuto come doloroso perchè probabilmente nelle loro
premesse (inconsapevoli) c'è la convinzione che per ottenere un bambino bisogna
pagare un prezzo molto alto e tale prezzo è appunto il dolore. Una coppia,
infatti, quando scopre di essere sterile si sottopone ad un lungo iter: prima a
vari interventi medici a connotazione sessuale, in seguito, quando opta per
l'adozione, viene sottoposta ad una serie di colloqui con gli operatori (psicologi,
assistenti sociali) per essere dichiarata idonea all'adozione; poi l'attesa, le
pratiche burocratiche da sbrigare, e, a volte, i viaggi all'estero. Deve
subire, quindi, una forte e massiccia invasione da parte degli operatori della
propria sfera privata, che può mettere a dura prova il loro desiderio di
adottare un bambino. I genitori adottivi che non hanno problemi con i loro
figli adottivi sono arrivati "ad una biforcazione nel doppio destino
tragico dell'adozione, quello, congiunto del bambino adottato e dei suoi
genitori"(Prieur, 1988).
Il destino tragico del bambino è quello di
un bambino che ha vissuto una situazione alle spalle, spesso, di abbandono. Un
bambino nei confronti del quale il desiderio non si è potuto esprimere e ciò
può provocare nello stesso una svalorizzazione del sé. Ma anche il destino dei
genitori, come abbiamo sottolineato, non è meno tragico. Quindi "nella
coesistenza di questi due destini tragici, l'adozione può offrire una
possibilità di biforcazione che può essere quella di correre il rischio
dell'incerto per costruire una nuova famiglia".
Per l'approccio sistemico, infatti, un
sistema ha bisogno dell'alternanza di regolazione, intesa come stabilità, e di
biforcazione, intesa come fonte di trasformazione del sistema. La vita delle
famiglie adottive è piena di incertezze e biforcazioni e allora compito del
terapeuta è fare accettare le inevitabili biforcazioni, ma anche riuscire a
legare il destino tragico del bambino con quello dei genitori.
Il processo di
autonomizzazione : verso la costruzione dell'identità
Passato il periodo difficile
dell'adattamento reciproco, il bambino deve essere messo in grado di
riuscire a proseguire verso il processo di autonomizzazione dai genitori,
deve riuscire a sviluppare la propria individualità. Ma per far ciò deve
sentirsi capace e autonomo e, in questo, deve essere aiutato dai suoi
genitori.
Tale processo viene ostacolato quando i
genitori mettono a confronto le capacità del figlio con quelle di altri
bambini o del bambino idealizzato e invitano il figlio a migliorare per
essere più apprezzato da loro. Si sa quanto sia importante nella costruzione
dell'immagine del sé l'opinione che hanno i genitori: se questa sarà
negativa, il bambino si considererà cattivo, incapace e ciò potrà compromettere
il processo di individualizzazione e creare maggiore dipendenza nei
confronti dei genitori.
Ma ciò che impedisce un processo di
autonomizzazione è la tendenza dei genitori, fin dall'inizio, a tenere
tutto per sé il bambino per superare l'iniziale sentimento di estraneità e
a scoraggiare la naturale esigenza del bambino di esplorare il mondo.
D'altra parte il bambino rinforza questo atteggiamento perchè
vuole attaccarsi ai nuovi genitori. Diventa quindi estremamente difficile
arrivare ad un progressivo distacco se permane nel bambino o nei genitori
la paura di essere abbandonato dall'altro (il bambino perchè può non
sentirsi del tutto accettato nel nuovo nucleo; i genitori perchè non si sentono
degni di essere genitori, in quanto genitori adottivi e non biologici, o
perchè hanno paura di perdere un bambino che hanno tanto desiderato).
Inoltre il non affrontare l'argomento delle
origini del bambino non parlandone mai e il manipolare i ricordi può creare un
ambiente artificiale in cui vi è una dipendenza reciproca perchè si cerca
di salvaguardare l'altro dal ricordare esperienze dolorose. Ma affinché il
bambino giunga ad essere autonomo e a costruire un adeguato senso di
identità è necessario che egli non rifiuti nulla del suo passato e che, parlandone
con i genitori adottivi, possa inserirli nella sua storia personale, dando
alla sua origine e al suo passato il giusto risalto. Tutto ciò solo se il genitore potrà
parlargliene in modo sereno.
L'adozione internazionale: quando il figlio proviene da un altro Paese
Negli ultimi anni il numero di adozioni
internazionali è in costante aumento (sono infatti circa 6000 le coppie
all'anno che ricorrono all'adozione). Pertanto l'adozione internazionale
sta diventando un fenomeno sociale.
In generale il ricorso all'adozione è
determinato da vari fattori, quali l'aumento della sterilità nelle coppie,
la decisione, sempre più diffusa, di posticipare la data del matrimonio in
età matura, e, di conseguenza, la scelta della coppia di procrastinare la
nascita del primo figlio.
Nello specifico si ricorre ad un'adozione
internazionale perchè la procedura è notevolmente più veloce rispetto a
quella nazionale. E' quindi, talvolta, una scelta di ripiego dettata dalla
fretta e dalla scarsa consapevolezza e rispetto per la soggettività del
bambino, per la sua cultura e le sue origini.
Ultimamente, però, essa si connota anche
come una scelta di solidarietà, considerata la maggiore sensibilità della
popolazione nei confronti di Paesi in cui i bambini si trovano spesso in
condizioni di estrema indigenza. Ma il processo che porta alla costruzione
di una identità definita risulta essere ancora più difficile se il bambino
adottivo appartiene ad un'altra razza. Innanzitutto da parte dei genitori
adottivi deve esserci un'accettazione dell'etnia da cui proviene il
bambino, soprattutto nel caso di bambini di pelle diversa.
Da parte di alcuni genitori adottivi,
invece, c'è la convinzione che la loro sia una razza superiore ed è per
questo motivo che essi minimizzano e negano talvolta le differenze
somatiche e del colore della pelle del bambino adottato, cercando di farlo
sentire bianco. Inoltre per evitare al figlio situazioni frustranti all'esterno
(quali giudizi negativi sulla sua etnia) tendono a proteggerlo molto.
Tuttavia questa negazione al bambino della sua origine non può durare
molto perchè egli ben presto si accorge di essere diverso e ciò rinforzerà
la sua sensazione di appartenere ad una razza socialmente non accettata.
In questi casi i genitori adottivi si
comportano come se il bambino fosse uguale a loro, facendo in modo che
egli diventi al più presto parte della loro famiglia e del loro contesto
socio-culturale, negando, però,l'importanza della sua appartenenza ad un'altra
etnia ed evitando di valorizzare gli aspetti positivi della sua diversità,
impedendogli, quindi, un'integrazione nella comunità in cui vive. Ci sono, per
contro, genitori che insistono sulle differenze: essi non solo riconoscono
le differenze legate all'adozione, ma le enfatizzano al punto da
attribuire alla differenza genetica ogni problema nel
rapporto genitori-figli.
Nell'adozione internazionale il
"conflitto cruciale "sta nell'attribuire "valore" al
simile e di attribuire, invece, "disvalore" al differente. In alcuni
Paesi poveri, infatti, il bambino che viene dato in adozione diventa una merce
(perché può essere comprato e venduto) e quindi un oggetto senza valore.
L'atteggiamento auspicabile dovrebbe tenere
presente che questi bambini, una volta adulti, si sentiranno appartenenti
ad una minoranza che è svalorizzata sul piano culturale. In questo senso
la famiglia adottiva deve accettare di definirsi una famiglia
interrazziale e ciò comporta che i genitori adottivi prendano contatto con
la cultura del Paese d'origine e ne conoscano le tradizioni, cogliendone
gli aspetti positivi e cercando di trasmetterli al bambino come suoi punti
di riferimento. In secondo luogo essi dovrebbero favorire i contatti del
bambino con persone appartenenti alla sua razza di origine.
"L'importante è che il nuovo nucleo
possa
assumere quelle caratteristiche di
interrazzialità che permette a tutti di accettarsi reciprocamente senza dover perdere nulla dei propri valori
e della propria storia" (Dell'Antonio, 1986).
Fonte: D'ANDREA A. “I tempi dell'attesa. Come vivono
l'attesa dell'adozione il bambino, la coppia e gli operatori”. Franco Angeli - 2000
Vedi anche: ADOZIONE: I PARTE
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