Mi è successo di vedere le sue foto
su Facebook, tra uno scatto ironico e uno più serio dei suoi.
Mi sono chiesta: come ha fatto a
rappresentare così bene l’angoscia e la solitudine di un mondo così inquietante, ed ancora troppo sconosciuto, come quello di chi soffre di malattie mentali?
Io e Mario ci siamo conosciuti
parecchi anni fa, proprio in un ambiente psichiatrico, un posto dove tocchi con
mano la sofferenza e rischi di venirne travolto. Qualcosa resta dentro di
quelle sensazioni e Mario, attraverso la sua sensibilità e la sua estrosità, è
riuscito a farle riaffiorare attraverso il suo lavoro.
“El sueno de la racìon produce monstrus” è il titolo di questo
progetto, rintracciabile QUI
Ho voluto fargli qualche domanda, ed
ecco il risultato.
I: Ciao Mario, vorrei partire con la
tua presentazione… “Chi è Mario Siega?”
M: “Ciao!, sono Mario Siega, ho 32
anni ed ho studiato Psicologia. Mi piace definirmi una persona amante delle
persone, sono un voyeurista, nel senso che sono sempre alla ricerca di emozioni
che cerco di catturare attraverso la mia Reflex”.
I: “Di solito le emozioni vanno
sentite, le tue si possono chiamare Emozioni da guardare?”
M: “Si, emozioni da guardare.
Emozioni che normalmente sfuggono o passano inosservate. Quei piccoli gesti del
quotidiano che passano come gesti automatici e senza importanza, ma che in
realtà sono fondamentali.
I: “Che altro puoi dire di te?”
M: “Adesso sono una persona un po’
in frantumi, non sto raccogliendo i pezzi. Voglio aggiungere una citazione di
Chuck Palaniuk che dice: dimenticare il
dolore è difficilissimo, ma ricordar la quiete lo è ancor di più.; la felicità
non lascia cicatrici da mostrare, dalla quiete impariamo cosi poco. Quindi
appositamente mi lascio ancora nel dolore, per vedere fino a quando riesco a
rimanere sano.”
I: “Una sfida con te stesso quindi?”
M: “No, in realtà non è una sfida. I
cocci si rimetteranno a posto da soli. In realtà cerco di sfruttare questa
situazione, altrimenti i cocci rotti e lasciati a terra sono fini a se stessi.
“
I: “Stai dicendo quindi che i cocci
a terra ti rendono più creativo?”
M: “Penso che ogni singola foto non
c’è l’oggetto ma in realtà è il fotografo. Perché Tu vedi la realtà attraverso
l’occhio di chi scatta. Lo si vede nei miei scatti: se sono felice lo scatto in
qualche modo esprime questa felicità. Lo stesso accade se sono triste”.
I: “Che cosa fai nella vita? Di cosa
ti occupi?”
M: “Lavoro nel sociale come
insegnate di sostegno alle scuole superiori. Cerco di insegnare ai ragazzi con
problematiche più gravi perché riesco a lavorarci meglio, riesco a trovare una
particolare sintonia. Poi mi occupo di fotografia.
Nel corso degli anni mi sono
occupato di tantissime cose, però riesco a lavorare solo facendo cose che mi
piacciono. Comunque tutte le esperienze che ho fatto sono state collegate tra
di loro.”
I: “Nel campo della fotografia quale
ambito preferisci?”
M: “Mi piace fotografare un po’ tutto,
poi il lavoro retribuito non hai molto
margine di scelta. Il cliente decide quello che vuole; ce ne sono alcuni più
esigenti di altri i quali limitano in un certo senso la mia creatività.
Tuttavia lo ritengo naturale perché c’è una committenza”.
I: “Da cosa è nato questo progetto
fotografico dal titolo El sueno de la
racìon produce monstrus?”
M: “Penso che ogni artista debba
avere un’ispirazione, una musa ecco.“
I: “La tua musa è la follia?”
M: “La scelta di immortalare la
follia è la conseguenza di numerose vicissitudini. Ho voluto analizzare la
follia perché credo che in questo momento della mia vita mi ritrovo molto vicino
al concetto di follia, sia in prima persona che come spettatore. E quindi ho
voluto analizzarla. Mi è venuto in mente il titolo di un dipinto di Francesco
Goya: Il sonno della ragione genera mostri. Io questa frase la interpreto così:
quando mettiamo a tacere la ragione o usiamo troppo la ragione i mostri poi
prendono il sopravvento, creando una realtà alternativa che è comunque una
realtà, perché la follia è una realtà.
Molti associano la parola follia alla parola creatività dandole un’accezione
positiva, ma la vera follia è sofferenza quindi non si può desiderare di essere
folli solo per risultare creativi o geniali. Tutti i miei ultimi scatti
vogliono lanciare un messaggio diretto come questo”
I: “Che cos’è per te la follia?”
M: “Se parliamo di follia proprio
intesa come patologia, tipo la Schizofrenia, è un discorso a parte. La follia è
un senso di non realtà. Quando vivi in una realtà che ti sei creato ad hoc per
te.”
I: “Perché rappresentarla con il
nudo?”
M: “Perché la foto deve avere un
senso. Il tema del nudo è perché così sei a nudo. Sei tu, con le tue
imperfezioni, con le tue perfezioni, con le tue insicurezze. Sei tu. Sei indifeso
e nudo davanti a tutti.
I: “Attraverso l’ambientazione che
cosa volevi trasmettere?”
M: “Quest’ambientazione è a Chieti,
è l’ex ospedale S.Camillo che è in disuso. Mi sono trovato li due anni fa cosi
per caso. Sono attratto dai luoghi abbandonati. Poi questo in particolare è un
luogo che trasmette molto. Ci sono state persone malate e sofferenti.”
I: “Quindi volevi trasmettere questo
senso di malattia”
M: “più che altro è che questo è un
posto angusto, che parla molto. Purtroppo abbiamo passato li un pomeriggio e
poi il sole ha iniziato a scendere, altrimenti nel giardino avremmo fatto altri
scatti. Le foto sono state fatte quasi tutte con luce ambientale.”
I: “Cosa ti ha colpito di più di
questa esperienza?”
M: “Mi ha fatto molto piacere
conoscere bene il ragazzo che ho fotografato, Jimmi Fascina. L’ho trovato molto
interessante come persona e di grande cultura. Un po’ per lavoro, un po’ per esperienza sono attratto dalle
persone complicate. C’è stato questo feeling ed ho pensato potesse essere il
soggetto ideale.”
I: “Hai mai vissuto esperienze che
riguardano l’ambiente psicotico?”
M: “Si sono tanti anni che lavoro in
ambienti psichiatrici ed ho fatto tante esperienze. Sono stato alla Lilium, ho
lavorato a Roma in una comunità di tossicodipendenza. Molto bella e con
soggetti molto interessanti. C’erano anche persone che dovevano scontare molti
anni di carcere. Una sfida lavorare con persone che hanno alle spalle dei
crimini molto importanti. Devo dire che sono stato riconosciuto subito, infatti
mi hanno proposto quasi subito un contratto. ”
I: “Stai ricercando qualcosa
attraverso questo progetto?”
M: “No, io cerco solo di rendere
utile ogni cosa che mi succede, o in cui mi reputo bravo. La sofferenza aiuta a
crescere ma poi cerco di andare oltre. Che posso fare io? Che mezzi ho per
rappresentarla? E cerco di rappresentarla con i miei mezzi. Quindi questo
lavoro, il mio libro e le foto.
Quando mi accadrà qualcosa di
importante e che mi toccherà molto forse uscirà qualcos’altro di altrettanto
importante.”
I: “Grazie Mario”
M: “Grazie a te, è stato un
piacere.”
Dott.ssa Ivana Siena