Terza fase: il periodo adolescenziale nelle famiglie adottive
Gli adolescenti si trovano in un periodo di cambiamento di ruolo
sociale; cambiamento che comporta
un processo di autonomizzazione dalle figure genitoriali
e l'assumersi maggiori responsabilità all'interno della società.
La maggiore autonomia porta il giovane a voler prendere da sé le
proprie decisioni e a voler rispettare anche le proprie opinioni
personali.
Il rapporto con i genitori si fa più
difficile, perchè l'adolescente non gradisce le loro ingerenze in rapporto
alle amicizie, alla sua vita privata, ma nello stesso tempo ciò non
impedisce che sia proprio lui a chiedere consiglio per questioni personali. Nel
corso dell'adolescenza cambia l'immagine che i giovani hanno dei
propri genitori, rispetto al periodo precedente, li vedono più come
persone che possono sbagliare.
La maggiore autonomia comporta che gli
adolescenti si distacchino dalla famiglia anche da un punto di vista
emotivo e che cerchino di stringere nuove relazioni sociali. Entrare in
altri ambienti implica anche doversi confrontare con le attese in essi esistenti.
La natura della relazione fra genitori e bambino prima
dell'adolescenza contribuisce a determinare in che misura l'adolescente
sia preparato ai compiti legati allo sviluppo psicosociale.
La famiglia risulta importante per
trasmettere valori e per veicolare le fondamenta di uno stile di vita. Le
figure genitoriali sono in grado di rispondere a molti
bisogni dell'adolescente. Un bisogno di fondo per l'adolescente è quello
di avere una buona comunicazione con i genitori, essenziale per negoziare
con loro, prendere decisioni, esprimere preoccupazioni e, in parte, per
avere il riconoscimento del proprio nuovo status all'interno della famiglia.
L'adolescenza è, quindi, il periodo in cui
le spinte all'autoaffermazione e all'autonomia si fanno più pressanti. Ma
è anche il momento in cui affiora la coscienza di essere una persona:
l'adolescente tende a chiedersi " chi sono?" e tale
interrogativo lo pone in un confronto al suo futuro ma anche al suo
passato, a quello che è stato.
Nelle famiglie adottive spesso con
l'adolescenza del figlio emergono problemi relazionali, talvolta anche
drammatici. La crisi coinvolge sia il ragazzo, soprattutto quando in famiglia
sono stati accantonati i problemi relativi alla separazione dai
genitori naturali e all'origine, attraverso mistificazioni della verità,
segreti, sia i genitori che vivono con preoccupazione i tentativi di
svincolo del figlio, perchè evoca in loro la paura dell'abbandono.
Nell'adolescenza, parallelamente alla
ricerca dell'identità del figlio, possono emerge problemi relativi alla
percezione genitoriale, ai vissuti di inadeguatezza e di autovalutazione
circa l'impossibilità di generare, la mancata elaborazione della
sterilità, l'insicurezza riguardo le proprie capacità educative ed
affettive. Inoltre la volontà del figlio adottato di ricercare le proprie
origini, fenomeno assolutamente normale, può essere vissuto dai genitori
come rifiuto di un presente sentito come poco gratificante.
Questi fenomeni richiedono alla famiglia la
capacità di mettere in discussione la propria organizzazione relazionale.
In alcuni genitori c'è una difficoltà a favorire il naturale processo di
autonomizzazione per le angosce connesse alla separazione e al temuto distacco
affettivo definitivo. Difficoltà che portano i genitori a mostrarsi
iperprotettivi, rendendo difficoltoso per i figli un processo di distacco
e di individuazione.
Questo atteggiamento è presente soprattutto
nelle famiglie in cui il figlio adottato è stato sentito come qualcosa che
colmava un grande vuoto e quindi il timore di perdere il figlio è molto
marcato.
Inoltre l'adolescenza del figlio viene
spesso vissuta come prima verifica, da parte dei genitori, di ciò che si è
seminato e, da parte del figlio, di ciò che si è ricevuto. Nel fare ciò il
figlio si rivolge spesso al passato, alla ricerca di un punto di
riferimento. Quindi la ricerca delle proprie origini è conseguente alla ricerca di un identità. Infatti se il ragazzo non
riesce a trovare nel presente elementi che
lo aiutino a definirla, egli sarà costretto a ricercarli nel passato.
Spesso la ricerca dei propri genitori si
esaurisce magari quando essa sta per avere esito positivo, perchè
l'adolescente adottato sembra aver più bisogno di un'immagine di genitore
naturale buono, rassicurante, che del genitore reale, per esorcizzare le
fantasie di abbandono e di senso di vuoto che attraversa in questo
periodo.
Si può manifestare in alcuni genitori anche
la tendenza a vedere la diversità del figlio come frutto di un fattore
ereditario che è temuto e che risveglia vissuti di estraneità. Ma
atteggiamenti provocatori e aggressivi del ragazzo sono solo l'espressione,
come al momento del primo abbandono, di paure e timori. Pertanto
l'adolescenza richiede che la famiglia sia in grado di rimettere in
discussione i propri modelli transazionali. In particolare i genitori devono
essere disposti a cambiare i propri schemi educativi e a distinguere tra
bisogni reali e bisogni presunti del figlio.
L'adolescente, infatti, può risolvere le
sue difficoltà e continuare a crescere soltanto se si sente pienamente
accettato e se ha fiducia nelle proprie capacità di diventare autonomo.
Ciò sarà legato naturalmente a come i genitori adottivi hanno vissuto la
sua origine e l'adozione stessa.
Rivestono particolare importanza nelle
famiglie adottive in cui ci sono adolescenti le entrate e le uscite dei
membri familiari, in quanto modificano profondamente non solo la struttura
ma anche il funzionamento familiare. Secondo quest'ottica, attraverso
l'adozione, si acquisisce un membro "sui generis" perchè
stabilisce un legame di parentela, pur non essendoci un legame di
consanguineità.
In un'ottica sistemica, infatti, l'adozione
viene definita come un evento "non normativo" o
"paranormativo", perchè a differenza dell'adolescenza, che è un
evento normativo, non rientra negli eventi che normalmente vengono vissuti
e affrontati dal nucleo familiare. Ma è comunque un evento che è stato scelto e
programmato: questo consente ai genitori un maggiore controllo di una
situazione che è a rischio, essi possono infatti prevedere i vantaggi e
gli svantaggi di questa decisione, anticiparne le conseguenze e attivare
adeguate strategie di coping. Come tutte le situazioni che presentano dei
rischi, però, il superamento dell'evento adottivo non è automatico e neanche
scontato. E per essere vissuto come momento di crescita e di sviluppo per tutti
i membri coinvolti è necessario che vengano attivate risorse non
solo personali ma anche familiari e sociali.
"Il compito evolutivo che genitori e
figli si trovano a dover affrontare potrebbe essere sintetizzato nel
seguente modo: "costruire una continuità tra le generazioni senza
negare le differenti origini".
Si tratta cioè di trovare un equilibrio
dinamico tra due poli altrettanto "rischiosi": da una parte
l'assimilazione al figlio biologico che nega la peculiarità della
condizione di figlio adottivo, dall'altra l'accentuazione della differenza
che non riesce ad integrare il figlio adottivo nella storia familiare,
fino ad espellerlo. La configurazione relazionale delle famiglie adottive è, in
questo caso, sui generis e richiede una specifica costruzione congiunta di
"confini" tra i membri delle varie generazioni" (R.
Rosnati, 1996).
Fattori di rischio e fattori protettivi nel "patto
adottivo"
Bramanti e Rosnati, attraverso una ricerca
condotta su un campione di adolescenti adottati, convalidando l'ipotesi di
una maggiore vulnerabilità psicologica degli stessi rispetto ai loro
coetanei non adottati, hanno cercato di individuare i fattori protettivi
che incidono sull'adattamento dei minori adottati.(Bramanti, Rosnati,
1998).
In particolare le autrici si sono chieste
come mai alcuni adolescenti adottati evolvono verso un normale adattamento
e altri verso il disadattamento, o anche verso la patologia.
Un concetto molto importante che hanno
evidenziato è quello di rischio, inteso, in senso evolutivo, non solo come
ostacolo da superare, ma anche come opportunità di cambiamento. Secondo le
autrici, infatti, il rischio è lo sbilanciamento fra sfide e risorse.
Esso, infatti, diventa ostacolo quando le sfide che devono
essere affrontate superano le risorse che si hanno a disposizione.
In questo senso l'adozione è una situazione
che presenta dei rischi che le famiglie devono essere in grado di gestire
per accogliere la sfida che la scelta di adottare necessariamente
comporta. Solo in questo caso essa potrà diventare un momento di crescita
per l'intero nucleo familiare.
Le autrici individuano tre ambiti in cui si
manifesta la situazione di rischio psicosociale per l'adolescente:
l'autostima, la socializzazione e il rendimento scolastico.
Mentre i fattori protettivi nello sviluppo
psicologico dell'adolescente adottato sono la qualità della comunicazione
con i genitori, e in particolare con la madre, e il senso di appartenenza
alla famiglia adottiva. Secondo le autrici la costruzione del legame adottivo
fra la madre e il figlio è il punto centrale dell'intera vicenda adottiva.
Attraverso questo legame, infatti, si gioca la riuscita o il fallimento
dell'adozione, la possibilità del bambino di integrarsi nel nucleo
adottivo. Compete alla madre il compito di costruire quell'anello tra le
generazioni che lega il figlio alla famiglia e lo inserisce nella storia
delle generazioni.
Un altro fattore protettivo è la percezione
da parte dei genitori adottivi del figlio con risorse o senza risorse. Se,
infatti, al primo incontro il bambino verrà visto come qualcosa di
prezioso, riconoscendone le risorse, i genitori entreranno in relazione
con lui non solo come creditori, ma anche come debitori, sarà una
relazione alla pari. Se, invece, il figlio verrà percepito solo nei suoi
aspetti carenti, malati, l'immagine che il genitore avrà di se stesso sarà
un'immagine salvifica e onnipotente, con cui il genitore cercherà di
sostituire quella di genitore sterile, cioè mancante. Se tale immagine non
si modificherà con il tempo, il figlio verrà imprigionato nella figura del
creditore. Così ciò che il figlio restituirà ai genitori, per loro non
sarà mai abbastanza, perchè essi gli hanno fatto un dono grandissimo,
adottandolo, che difficilmente potrà essere ripagato. Altro fattore è
rappresentato dalla presenza accogliente della famiglia estesa. I nonni
infatti rivestono un ruolo molto importante durante tutto il percorso
adottivo.
All'interno di ogni famiglia in cui ci sia
uno o più figli adottati viene stipulato il cosiddetto "patto
adottivo" che è il frutto di un assetto relazionale in cui vengono
rispettati sia i bisogni sia le aspettative di ciascuno dei protagonisti: la
coppia e il minore.
Tale patto non è immodificabile, ma si
snoda nel tempo.
Dalla ricerca presentata da Bramanti e
Rosnati, che suddivide le famiglie del campione secondo cinque tipologie
di patti, emerge che le famiglie in cui l'adozione è "riuscita"
hanno stipulato patti in cui c'è un riconoscimento e valorizzazione delle
differenze. Mentre nelle famiglie dove c'è un patto riuscito solo a metà,
in cui i rapporti fra genitori-figli sono molto conflittuali, la
situazione appare piuttosto critica. Le ultime due tipologie evidenziate
fanno riferimento a patti in cui le differenze o sono state negate (patto
di negazione) o sono troppo insistite (patto impossibile). Secondo le
autrici le famiglie che hanno stipulato patti simili sono a forte rischio
di patologia.
Fonte: D'ANDREA A. “I tempi dell'attesa. Come vivono l'attesa dell'adozione il bambino, la coppia e gli operatori”. Franco Angeli - 2000
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