L'OROLOGIO PSICOLOGICO MASCHILE
In Italia l'età media degli uomini che
si apprestano al matrimonio è pari a 34 anni e quella delle donne a 31 anni.
Leggendo questi dati appare chiaro che aumentando l’età dei coniugi che
convolano a nozze, di conseguenza anche l’esperienza della genitorialità
diventa più tardiva.
Il matrimonio non è, però, l’unico
indice da considerare nell’analisi dei fattori che influenzano la decisione di
avere un figlio in quanto, come sappiamo, molti bambini nascono da genitori che
scelgono di portare avanti una convivenza piuttosto che legarsi formalmente
attraverso il vincolo matrimoniale. Tuttavia anche in questi casi l’età dei
partner resta comunque molto alta.
Nelle donne come negli uomini il
desiderio di diventare genitore mette di fronte ad un cambiamento radicale
della propria vita, delle proprie abitudini e dei propri spazi. Se nei tempi
antichi i figli erano considerati la maggiore risorsa in termini di aiuto
domestico e di forza lavoro, oggi sono frutto di una libera scelta che
asseconda un desiderio di sottofondo da un lato di dare vita al proprio
concetto interno di famiglia, dall’altro lato, in maniera più narcisistica, di
lasciare la propria “impronta digitale” nel mondo.
Se per la donna un’ulteriore spinta a procreare
è data dall’orologio biologico, si può asserire che per l’uomo, il quale non è
soggetto invece agli stessi limiti, l’orologio è di tipo “psicologico”.
Questo orologio psicologico scandisce
un tempo più lento che si trasforma in un’esperienza di tardiva paternità.
Esistono però due tipologie di uomini che vivono una paternità tardiva:
Uomini tra i 50 e i 60 anni che vivono
un secondo matrimonio con donne più giovani ed accettano quindi di assecondare
un’esigenza più della compagna che propria, soprattutto se hanno già avuto
figli durante il precedente matrimonio. Un altro figlio diventa quindi la
testimonianza della nuova vita che si sta intraprendendo.
Uomini che si sono dedicati
esclusivamente alla vita lavorativa che vivono quindi la paternità come
l’ultima tessera mancante di un puzzle dagli incastri perfetti. Le priorità, in
questo caso, sono quindi legate alla conquista della stabilità e al raggiungimento
di una sicurezza finanziaria.
Qualora si tratti del primo figlio,
inoltre, questo “nuovo arrivo”
rappresenta un momento di transizione tra due fasi del ciclo della vita:
- creazione di una coppia da un lato;
- trasformazione in “famiglia”, intesa
come condivisione di un progetto comune di vita, dall’altro.
Come per ogni transizione anche questa crea
una rottura dell’equilibrio raggiunto fino a quel momento, il che significa per
il neo papà un ridimensionamento dei propri spazi personali, aumento delle
responsabilità, riduzione dello spazio di coppia e dell’intimità, adeguamento
dei propri tempi a quelli del bambino e necessità di fare rinunce in campo
professionale e personale, tutti fattori che necessitano di un grosso impegno
per essere riadattati alla nuova situazione a tre.
Se è vero che per l’uomo un figlio in
età matura significa da un lato perdere qualcosa, è anche vero che, laddove
vissuto come scelta pienamente consapevole e desiderata, significa aumentare la
propria autostima, imparare a gestire in modo creativo nuove situazioni, evolversi
nel modo di approcciarsi a agli affetti, nell’espressione dei sentimenti e delle
emozioni, significa quindi guadagnare. Tutto ciò diventa il trampolino di lancio nel percorso di
sviluppo psico-fisico del nascituro, nonché elemento di crescita per lo stesso
padre.
Articolo dal quale viene tratta l'intervista del quotidiano "Il Centro" di Pescara (PE) i-papa-invecchiano-primo-pupo-a-35-anni
Dott.ssa Ivana Siena
Psicologa e Psicoterapeuta
Centro di Psicoterapia Familiare