Perché sei un
essere speciale… ed io avrò cura di te…
“I vostri figli non sono
figli vostri: sono i figli e le figlie della forza della Vita. Nascono per
mezzo di voi e tuttavia non vi appartengono, dimorano con voi e tuttavia non vi
appartengono. Potete dare loro il vostro amore ma non le vostre idee. Potete
dare una casa al loro corpo ma non alla loro anima, perché la loro anima abita
la casa dell'avvenire che voi non potete visitare nemmeno nei vostri sogni. Potete
sforzarvi di tenere il loro passo ma non pretendete di renderli simili a voi
perché la vita non torna indietro ne' può fermarsi a ieri. Voi siete l'arco dal
quale, come frecce vive i vostri figli sono lanciati in avanti.”
Se sono vere le parole di Gibran
Kahlil non importa da dove venga il proprio figlio, non importa se questo e'
generato da altri o se ha una sua storia di cui non si fa parte, perché il
ruolo di genitore e' quello di fornire ai propri figli gli strumenti necessari
per permettere loro di costruirsi un futuro indipendentemente da ogni legame,
anche da quello di sangue. Poi però capita di parlare con una donna che non può
conoscere ciò che viene definita ''maternità''' e basta guardare i suoi occhi
per capire che in fondo non e' proprio così, che alla fine quel legame un po'
di peso ce l'ha… Adozione. Pur essendo un tema molto dibattuto - recentemente a
riguardo della sua legittimazione all'interno delle coppie di fatto - spesso ci
si trova in difficoltà a parlarne e menzionandola ci si dimentica delle
innumerevoli difficoltà che questa procedura comporta e non solo a livello
pratico. Il nuovo procedimento di adozione internazionale si ispira ad alcuni
principi generali contenuti nella convenzione dell'Aja del 1993 e nelle nostre
leggi nazionali e alle successive modifiche apportate nel 2001. Secondo queste
normative l'adozione e' permessa ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre
anni tra i quali non sussista separazione personale (neppure di fatto) e che
siano idonei a educare, istruire e in grado di mantenere i minori che intendono
adottare. Il conseguimento di idoneità e' solo il primo passo, e anche solo il
riuscire a ottenerlo non e' così facile. Infatti invece di una semplice
verifica formale occorre una valutazione ''di merito”, che viene promossa dai
Tribunali per i Minori e compiuta a opera dei servizi assistenziali degli enti
locali in collaborazione con le aziende sanitarie.
Inoltre la nuova legge pone
fine al ''fai da te”: in passato veniva così indicato il sistema che consentiva
di scegliere liberamente il proprio ''intermediario'': poteva trattarsi di un
legale, di una qualsiasi associazione, di un missionario.
A questo sistema era però
legato un mercato delle adozioni, che non tutelava ne' i diritti del minore ne'
la famiglia da situazioni rischiose. La nuova legge pone fine a tutto questo:
solo Enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali sono
legittimati a occuparsi delle pratiche e il loro intervento e' obbligatorio.
La prima fase: l’attesa
Nonostante in merito alle
adozione siano stati fatti molti passi in avanti e il livello di informazione
generale sia sensibilmente aumentato, restano ancora tante le implicazioni
psicologiche da considerare sia per la coppia che decide di vivere questo
percorso, sia.
Una coppia con problemi di
sterilità, infatti, spesso arriva all'adozione portando i segni di una profonda
ferita: non poter generare un figlio e' un dolore che ha bisogno di tempo per
essere metabolizzato e che durante questa procedura spesso riaffiora. A questo
si aggiunge, con molta frequenza, la stanchezza per l'altalena dei sentimenti
legata ai tentativi di fecondazione assistita cui le coppie si sottopongono
come ultima alternativa: con l'aiuto delle nuove tecnologie sperimentali molti
tentano di spingersi al di là dei limiti imposti dalla natura.
La fecondazione assistita
assume l'aspetto di un intervento medico che con la sua riuscita comporta il
raggiungimento della tanto voluta gravidanza ma porta allo stesso tempo a
un'alternanza di depressione e speranza, in particolare per la donna che vive
in prima persona interventi anche molto invasivi.
Il film sotterraneo vede una
donna che sente di avere un problema o anche di essere il problema, vive “il
tradimento del corpo”. Adattarsi a dei limiti (l’infertilità), è distruttivo
anche per la coppia, e soprattutto mina l’identità personale.
Quando l’infertilità è
dell’uomo spesso si assiste ad una reazione che prevede un miglioramento a
livello fisico, facendo maggiore attività fisica o curando di più il proprio
corpo, tutto ciò rimane comunque un palliativo.
La coppia è indebolita, il
patto indiretto costituito all’inizio si è rotto e la sessualità viene
inevitabilmente compromessa. Il principio di base del sesso è il procreare,
pertanto se l’obiettivo non può essere raggiunto il letto diventa acquista un
significato simbolico del fallimento e quindi evitato. In tale situazione è
necessario che gli interessati riscoprano la sessualità fatta solo per piacere
senza il fine procreativo.
Non in tutte le famiglie si può
poi affrontare questa problematica liberamente: scatta la caccia al colpevole
che spinge la coppia a chiudersi nel silenzio o addirittura nel senso di colpa
se in precedenza sono stati utilizzati contraccettivi che potrebbero in qualche
modo aver influito sulla infertilità.
E' quindi importante che la
coppia arrivi all'adozione avendo superato questo dolore per non correre il
rischio di chiedere, anche inconsapevolmente, al bambino adottato di riempire
un vuoto, di sostituirsi a un bambino mai nato.
Quindi a partire dall’attesa
mentale di un figlio che poi non arriva si passa all’attesa stremante dei
tentativi di fecondazione di cui si è parlato precedentemente fino ad arrivare
all’attesa altrettanto deleteria costituita dall’iter burocratico da
affrontare: i colloqui che le coppie effettuano con gli psicologi hanno lo
scopo di valutare l'idoneità' ad adottare ma si propongono anche di
accompagnare i futuri genitori in un cammino fatto di impegni e verifiche che
riaccendono frustrazioni, rabbia e dolore.
Per affrontare questa
situazione sono stai istituiti molti centri di supporto e informazione che
accompagnano la famiglia adottiva nel loro cammino.
Sono migliaia le testimonianze
di sofferenza, dolore e infine gioia che queste persone hanno affrontato
continuando coraggiosamente ad andare avanti anche là dove le speranze sono
poche, l'insicurezza perenne. La coppia è spinta a chiedersi se anche gli altri
genitori adottivi abbiano dovuto subire tali valutazioni, e addirittura se
anche quelle che hanno abbandonato il bambino ne abbiano subito di simili. Da
qui la trasformazione della sofferenza
in danno con il rischio di una
depressione.
Le aspettative e i timori dei coniugi che ricorrono all'adozione
Come abbiamo visto, i genitori adottivi giungono
all'adozione con una situazione personale che, spesso, non è stata risolta
perchè sono rimaste aperte le problematiche che hanno portato la coppia alla
decisione di adottare, soprattutto nel caso di coppie sterili.
Spesso rimane nei coniugi la convinzione, a
livello inconscio, che la genitorialità adottiva sia inferiore a quella
naturale e questo porta loro a pensare che, nonostante tutto, il bambino
appartenga ai genitori naturali e che le cose che verrano fatte per lui non
saranno mai sufficienti a rendere i genitori adottivi "uguali" agli
altri (Dell'Antonio, 1986). In questo modo si spiegherebbe la reticenza dei
genitori adottivi a non rivelare l'origine del bambino non solo all'ambiente
che li circonda, ma anche al bambino stesso e la loro richiesta che nessuno
parli al bambino della sua nascita.
Essi, attraverso questi comportamenti,
evitano di turbare il bambino, ma in questo modo percepiscono il bambino
diverso da quello naturale e hanno paura che lui, intuendo tale diversità, si
possa sentire a disagio. Ma essi hanno bisogno di questo bambino, perchè la sua
presenza li rende genitori e ciò realizza il loro desiderio di genitorialità,
ma garantisce loro anche un ruolo sociale adeguato. Pensiamo infatti come sia ancora ben
radicata nella popolazione l'idea di famiglia composta dalla coppia genitoriale
e dai figli. Un altro problema è rappresentato dall'immagine che i genitori si
costruiscono del bambino adottato: cercano di pensare a come sarà sia
fisicamente sia caratterialmente. Ciò capita anche ai genitori che aspettano un
figlio proprio, ma nei genitori adottivi l'immagine è meno rassicurante perchè
inevitabilmente si interrogano su cosa abbia ereditato dai genitori naturali,
sul tipo di ambiente in cui è vissuto (se non è un neonato). Tali preoccupazioni
rimangono senza risposta perchè non si sa nulla del bambino che adotteranno.
Quindi l'immagine che i genitori adottivi si costruiscono, spesso non
corrisponde alla realtà, ma alle loro aspettative. Tale immagine diventerà
determinante nel futuro rapporto genitore-figlio. Potrà avvenire, per esempio,
che l'immagine del bambino vero e quella del bambino immaginato verrano
confrontate e non sempre quella reale viene considerata la migliore.
Il figlio immaginato presenta in parte
delle caratteristiche che sono legate ad esigenze personali dei genitori
adottanti e in parte caratteristiche che corrispondono a bisogni comuni,
indotti da stereotipi culturali. E' infatti frequente immaginare il bambino
senza una sua storia; storia che incomincia nel momento in cui viene adottato,
tralasciando l'esperienza precedente, che non deve fare parte della loro vita.
Per questo motivo tendenzialmente vengono preferiti per l'adozione i bambini
molto piccoli, che non hanno alle spalle una loro storia. Anche chi adotta
bambini più grandi spesso desidera non ricordare il passato.
Ma il rischio di tale atteggiamento è
rappresentato dal fatto che non fare alcun riferimento al passato del bambino
significa costringerlo a perdere contatto con una parte di sé stesso. Infatti,
anche se i rapporti del bambino con i genitori naturali sono stati conflittuali
o negativi, rivestono comunque una grande importanza per lui e sono comunque i
suoi iniziali punti di riferimento nella costruzione dell'immagine di sé e
degli altri.
Un altro timore dei genitori è che il
figlio non si affezioni a loro, soprattutto se non è piccolissimo ed ha avuto
contatti con i genitori naturali e che , una volta grande, il bambino voglia
riallacciare i rapporti con loro. Il pensare alla ricerca delle origini da
parte del figlio li mette su un piano di competizione con i genitori naturali e
fa loro temere che alla fine siano questi i preferiti. Tali fantasie vengono
vissute con un senso di fallimento personale: i genitori adottivi non riescono
a considerare la "curiosità genealogica", comune negli adolescenti
adottati, come una tappa fisiologica e normale. Tale senso di fallimento
implica un alto grado di autosvalutazione e, talvolta, può portare alla
fantasia di avere sfidato il loro destino tragico di genitori sterili.
Ma la paura che il figlio non si affezioni
e che non riesca a diventare "veramente" loro figlio può portare i
genitori adottivi ad avere con lui un legame molto intenso e quasi esclusivo,
scoraggiando talvolta un'apertura verso il mondo esterno, soprattutto con i
coetanei.
Un altra aspettativa è rivolta alla
riuscita del bambino, una volta raggiunta l'età adulta: in questo senso essi
temono eventuali difficoltà legate a fattori ereditari o a carenze affettive.
Quindi per la scelta per l'adozione diventa fondamentale il potenziale
intellettivo, considerato un importante fattore per la riuscita del bambino. Ma
anche la presenza di tratti caratteriali nel bambino può pregiudicare la buona
riuscita sociale dello stesso. E anche per questo motivo vengono privilegiati
bambini più piccoli.
Spesso i coniugi tendono a non parlare
delle loro ansie e timori sul futuro del bambino, sulla riuscita dell'adozione,
sulle proprie capacità, non solo agli altri ma anche fra di loro. La tattica
del non parlare con il figlio è una tecnica che usano per primi loro stessi. Ma
il mancato confronto dei propri timori con quelli del partner può portare alla
costituzione di immagini diverse del bambino e alla elaborazione di aspettative
diverse nei suoi confronti.
Guidi e Tosi utilizzano il termine
"romanzo familiare", mutuato dalla psicoanalisi (il bisogno
dell'adolescente di costruirsi, attraverso un processo fantasmatico, un'origine
adottiva che lo possa distanziare dai propri genitori, aiutandolo a crescere)
per indicare "la storia reale adottiva co-costruita da quella famiglia
" (Guidi, Tosi,1996).
In questo modo la trasposizione della
storia del bambino nella storia della coppia modifica il "romanzo
familiare" della famiglia adottiva, costruendo e dando una nuova cornice di
significato anche per il passato. Nella spiegazione al figlio delle proprie
origini, definita "verità narrabile", devono essere fornite le
necessarie informazioni sui genitori naturali, rispettando gli eventi reali
precedenti l'adozione. La verità narrabile che verrà co-costruita dalla
famiglia conterrà tutto ciò che riguarda il bambino.
Troveranno posto, quindi, la spiegazione
della rinuncia o dell'incapacità che hanno legittimato la perdita della
funzione genitoriale di coloro che li hanno generati; il desiderio dei
genitori adottivi di diventare genitori, quindi il rivelare un'eventuale
sterilità; le difficoltà incontrate e il riconoscimento da parte del
Tribunale dell'idoneità.
"Il romanzo familiare adottivo verrà,
quindi, a disporsi in sequenze temporali che dispiegano il susseguirsi dei
vari cicli di vita, interessati dalla verità narrabile." La verità
narrabile si completerà attraverso il trascorrere del tempo, rispondendo
ai bisogni esplicitati di un bambino più grande, con la spiegazione, se si conosce,
della rinuncia genitoriale.
"La verità narrabile rispecchia le
premesse delle persone che la co-costruiscono, cioè della famiglia che la
esprime. In essa, essendo "romanzo familiare" trova posto la
storia degli eventi, delle emozioni e dei significati attribuiti, così
come sono presenti nell'immagine del mondo dei genitori"(Guidi,
Tosi, 1996).
i genitori sono coloro che crescono i figli, non coloro che li mettono al mondo. (opinione personale)
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