lunedì 14 aprile 2014

IL MAL D’ASILO

ASILO SI O ASILO NO: I MESSAGGI DI DISAGIO MANDATI DAI BAMBINI


L’asilo è un servizio educativo che ha una funzione sociale, finalizzato a favorire la promozione del benessere fisico del bambino. Gli asili offrono al bambino degli stimoli che favoriscono la sua crescita e sviluppo, sperimenta la condivisione di giochi, spazi, esperienze con i coetanei, è un posto in cui il bambino si confronta con tempi precisi e condivisi. La frequenza dell’asilo favorisce lo sviluppo della personalità del bambino, e ne promuove l’autonomia e la socializzazione. Si tratta di un contesto socio-educativo in cui i bambini fanno delle esperienze formative (punto di vista didattico e vita personale).

L’ingresso al nido prevede due fasi l’accoglienza e l’inserimento.

Accogliere un bambino al nido significa trovare delle strategie di rapporto tra nido e famiglia, modulare la separazione del bambino dal proprio ambiente, mantenere una continuità con l’esperienza maturata nel suo ambiente di vita naturale. Gli aspetti psicologici sono: ansia del genitore rispetto alla nuova esperienza, difficoltà del bambino a causa di ansia da separazione e tensione che potrebbe avvertire dai genitori, ansia dell’educatore rispetto al coinvolgimento emotivo richiesto.
La fase dell’inserimento rappresenta la fase iniziale in cui il bambino esprime il suo disagio all’interno dell’asilo nido (solo in alcuni casi), lancia un messaggio per far capire che non riesce ad inserirsi all’interno del nido, esistono vari sintomi per manifestare questo disagio.
E’ un evento psicologico e pedagogico centrale nella pratica educativa. I genitori nell’evento separazione sono attraversati da emozioni intense, dolorose, complesse e ambivalenti. 

L’inserimento presuppone una particolare attenzione e consapevolezza dell’importanza e del ruolo della “relazione primaria” per la qualità dell’esperienza emotiva del bambino e per la strutturazione della sua identità, del suo pensiero, della sua mente. (Bowlby, 1972).

La fase dell’inserimento dura dalle due alle tre settimane, (questo a seconda dell’asilo che il genitore sceglie), giorno dopo giorno si potrebbero notare le trasformazioni comportamentali adottate dal bambino nell’asilo. All’inizio nella maggior parte dei casi, secondo me, i bambini manifestano dei comportamenti negativi che con il passare del tempo potrebbero diventare positivi, pochi bambini potrebbero iniziare in modo positivo e portare a termine il percorso in tutta serenità. Questo processo coinvolge direttamente gli adulti che stanno intorno al bambino, comprese le educatrici, il processo richiede la partecipazione attiva e armonica degli adulti all’interno di un sistema organizzato di spazi, tempi e situazioni.
Il primo giorno il bambino e la mamma si trattengono per circa mezzora all’interno dell’asilo: a volte basta far entrare il bambino nella stanza dei giochi per distrarlo e inserirlo subito e senza traumi, altre volte il distacco dalla mamma richiederà un po’ più di tempo e sarà necessario un inserimento graduale che dura per più giorni.
Il secondo giorno le mamme aspettano fuori dalla stanza, tenendo sempre sott’occhio il bambino in caso di pianto e ricerca disperata della figura materna, questo per permettere al bambino di scoprire il nuovo ambiente e fare conoscenza con i nuovi amici e le educatrici.
Dal terzo giorno in poi la mamma può allontanarsi, se il bambino è sereno, ma deve garantire la reperibilità. Il bambino si trattiene per tre ore, i genitori per affrontare il distacco si devono mostrare tranquilli per trasmettere al bambino un sentimento di sicurezza.
E’ necessaria collaborazione e fiducia tra genitori e insegnanti, se viene a mancare questa sicurezza nel bambino si crea confusione, paura, e la permanenza al nido diventa fonte di sofferenza. Alcuni genitori vivono un senso di colpa nel lasciare il bambino al nido, ma se questo senso di colpa viene percepito dal bambino alimenta e conferma la sua paura di abbandono. E’ importante la presenza costante dei genitori all’uscita dal nido, perché il bambino non viva un sentimento di abbandono, questa presenza costante da al bambino la sicurezza del distacco. Bisogna salutare sempre il bambino prima di uscire dall’asilo in modo che lui si abitua al fatto che la mamma va via ma che poi torna a riprenderlo, è opportuno confortarlo verbalmente. I genitori non dovrebbero sostare troppo all’interno dell’asilo dopo aver consegnato il bambino perché questo potrebbe provocare in lui una nuova crisi. Una crisi di pianto forte è normale che ci sia nel momento del distacco, in tutti i periodi di interruzione della frequenza. La crisi dell’inserimento può anche non manifestarsi subito, ma anche dopo alcuni mesi. La frustrazione del distacco è positiva perché serve al bambino per crescere, bisogna dimostrarsi sereni di fronte al bambino che piange perché avverte le emozioni dei genitori, se loro sono tranquilli, il bambino lo sente e si tranquillizza. Non bisogna introdurre nuovi cambiamenti nella vita del bambino durante l’inserimento: il ciuccio può servire a consolare il bambino, non togliere il pannolino e il seno perché l’allattamento rappresenta la possibilità di ristabilire un contatto con la mamma, è anche un modo per tranquillizzarsi e scaricare lo stress del distacco. Se il bambino ha un oggetto preferito (cuscino, copertina, peluche, giocattolo, etc.) che porta sempre con sé o che richiede più volte al giorno perché ha il potere di tranquillizzarlo (oggetto transazionale) portatelo al nido.

Nella maggior parte dei casi si manifestano al nido d’infanzia dei segni più comuni di disagio. Il disagio infantile può presentarsi in diverse situazioni e momenti della vita del nido: si può realizzare nel momento dell’entrata o dell’uscita dall’asilo, nel momento delle attività, della routine quotidiana, durante il gioco libero. I segni di disagio vengono suddivisi in base alle situazioni in cui si generano:

- i primi avvengono durante i momenti istituzionali, queste situazioni determinano difficoltà da parte dei bambini e dei genitori nella separazione, soprattutto se il processo d’attaccamento tra genitore e figlio è molto forte, questo genera nel bambino modalità per esprimere, nascondere o negare la propria sofferenza;

- difficoltà di separazione dai familiari e di entrata all’asilo al nido: è un momento difficile per il bambino e per la famiglia, rappresenta il primo distacco ufficiale dal proprio nido familiare per poter partecipare alla vita sociale che lo circonda, composta da adulti e coetanei. Nel primo periodo i bambini provano dispiacere e tristezza nel separarsi dai propri genitori, ma questo si identifica come un reale disagio nel momento in cui il bambino dopo un tempo molto prolungato dalla separazione continua a piangere e restare tra le braccia dell’educatrice opponendosi completamente allo svolgimento delle attività proposte, nel caso in cui l’educatrice non riesce a consolarlo e le sue proposte di gioco non vengono minimamente accettate allora si parla di reale disagio da distacco parentale;

- attraversamento iperattivo o blocco motorio: nel primo il bambino si precipita dentro lo spazio del nido schizzando in giro con il rischio di farsi male o di fare male a qualcuno, questo comportamento rappresenta un forte disagio legato alla elaborazione psichica della separazione, sembrerebbe che il movimento, lo spazio e il corpo nel loro iperinvestimento abbiano lo scopo di negare la sofferenza più che di attualizzarla e incarnarla. Si tratta di un meccanismo di difesa, è il classico darsi da fare per mascherare l’incapacità di stare all’interno di un certo contesto, contenente determinate regole, o per nascondere una difficoltà o il risultato di un trauma subito in passato (ad esempio aver subito un abuso, potrebbe aver vissuto sin dalla nascita all’interno di un istituto magari lontano dalla madre, etc.). Il blocco motorio, rappresenta la reazione opposta, in questo caso il bambino reagisce alla separazione dai caregivers familiari attraverso un blocco fisico per non sentire alcun dolore. Il bambino/a resta immobile, bloccato/a nel corpo o nell’espressione finché qualcuno non si occupa di lui o di lei;

- rifiuto del cibo: non si tratta di inappetenza o difficoltà nel mangiare autonomamente, in questo caso s’intende un rifiuto evidente, totale e sofferto dell’atto del mangiare in sé. L’educatrice non deve agitarsi di fronte al rifiuto del bambino, perché il rifiuto non riguarda lui a livello personale, ma il ruolo professionale che riveste. Utilizzando le sue difese istituzionali il nido dovrà fare da schermo all’invasione di tali ansie, in modo che il piccolo possa, attraverso la presenza dell’insegnante, sperimentare delle modalità relazionali diverse durante il pasto;
- difficoltà nell’utilizzo del bagno: con questo non s’intende l’eventuale ritardo riguardo all’autonomia del controllo sfinterico, anche perché all’asilo nido i bambini portano ancora il pannolino, ma ai momenti di sofferenza, angoscia o paura che alcuni bambini possono manifestare al momento della defecazione. Le ragioni di questa crisi d’angoscia possono avere origini diverse, ad esempio la conseguenza di dolore provocato dai momenti di stitichezza, i quali sono aggravati dalla paura con la complicazione relazionale quando la madre è costretta a manovre invasive. Sono momenti che vanno osservati con attenzione perché rappresentano le basi strutturali dell’autonomia del bambino. L’educatrice potrebbe intervenire con il gioco utilizzandolo come uno strumento utile per allontanare il disagio fisiologico;
- ricongiungimento molto difficoltoso: nel momento di conclusione della giornata al nido vi è il ricongiungimento, a volte questo ritrovo non avviene nei migliori dei modi. Il bambino non si precipita subito tra le braccia del genitore, manifestando fastidio e indifferenza. Questo avviene perché il piccolo ha difficoltà nel riconoscere contemporaneamente due figure di attaccamento, dopo molto tempo trascorso al nido automatizza l’educatrice come punto di riferimento quindi nel momento del ricongiungimento ha difficoltà nel riconoscere la figura della madre come primaria. 
Altre tipologie di disagio si manifestano nel momento delle attività proposte dalle educatrici.
- rifiuto della consegna: la negazione del bambino rispetto a una consegna proposta dall’educatrice riguarda il rifiuto del bambino nei confronti della relazione con l’adulto; equivale ad un no al legame che si realizza attraverso la consegna didattica. I più piccoli utilizzano questo rifiuto come strategia contraria: restare con l’adulto e non allontanarsi da esso. In questo caso è vivo nel bambino il timore di allontanarsi dal suo caregivers  per eseguire l’attività e rischiare di perdere il suo punto di riferimento. A volte questi comportamenti sono momentanei e transitori;
Gli ultimi disagi riguardano i momenti liberi nei quali la presenza dell’educatrice è più distante e la natura dell’autonomia del bambino è più viva. Il livello e la qualità del gioco libero rivelano quanto il bambino è autonomo o quanto invece è perso perché non più contenuto dalla presenza organizzante dell’adulto. Il bambino che si perde all’interno del gioco è un bambino che inevitabilmente possiede un disagio;
- gioco disorganizzato: riguarda tutte le difficoltà che derivano dalla perdita di senso del gioco iniziato. La perdita di senso può dipendere da tanti fattori, sia di tipo emotivo (eccesso di emozioni) sia di tipo evolutivo (garantire al gioco un senso logico). La strategia più utilizzata è quella d’aiuto, che implica una vicinanza dell’adulto al gioco del bambino, con l’obiettivo di far ritrovare ad esso la capacità di giocare liberamente senza intoppi;

- inibizioni: è un blocco che impedisce al bambino di giocare o svolgere qualsiasi altro tipo di attività, questa inibizione può essere determinata da  cause diverse che intaccano l’interdizione di diverse forme espressive come la parola o il movimento. Spesso l’adulto utilizza la strategia del tifoso che incoraggia, ma nei casi di reale disagio questo comportamento può essere controproducente (il bambino si sente al centro della situazione e ha un blocco ancora più evidente).

 La strategia d’aiuto deve concentrarsi sulla capacità dell’adulto di offrire al bambino ciò di cui ha bisogno tramite l’offerta di atti psichici positivi: per atti psichici positivi si intendono tutti quegli atti pratici (emozioni, azioni, parole, movimenti, oggetti, organizzazioni spazio-temporali) che hanno il potere di rimettere in moto i meccanismi del gioco che risultano bloccati. 
Dott.ssa Sara Drudi

IO SONO BORDERLINE

RAGAZZE INTERROTTE”: Il Linguaggio del Dolore



Il film è tratto dal diario autobiografico di Susanne Kaisen: la storia inizia nel 1967 quando lei, dopo aver tentato il suicidio, arriva al Claymoore Hospital, una clinica psichiatrica che ospita le cosiddette ragazze interrotte, sofferenti cioè di patologie che hanno deviato la loro personalità e nella quale dovrà rimanere per 18 mesi. Quando lo psichiatra diagnostica un disturbo borderline di personalità e lo riferisce ai genitori, la madre ha una reazione violenta.

In quella struttura angusta conosce altre ragazze della sua età e con tutte stringe una forte amicizia imparando a convivere con le loro nevrosi. Nel chiuso ospedale, il gruppo organizza una fuga che ha conseguenze tragiche. Alla fine Susanne dovrà scegliere fra il mondo di coloro che vivono all'interno dell'istituto e quello al di fuori. Aiutata, deciderà di lasciarsi alle spalle questo 'universo parallelo', rivendicando la propria indipendenza.




Ma da cosa è affetta la nostra protagonista?

Il Disturbo Borderline di Personalità (DPB) è una patologia caratterizzata da repentini cambiamenti d’umore, instabilità dei comportamenti (atti autolesivi) nel creare e mantenere relazioni di qualsiasi genere: amoroso, amicale, interpersonale. Altro tratto fondamentale è una marcata impulsività e difficoltà ad organizzare in modo coerente i propri pensieri.

 La reazione emotiva, in queste persone, è duratura poiché vi è una maggiore vulnerabilità emotiva, per cui gestire le proprie emozioni diventa molto più difficile. Come Susanne, coloro che soffrono di un disturbo Borderline, instaurano relazioni intense e coinvolgenti, al limite della follia, estremamente instabili e insane, il tutto farcito da una forte dipendenza affettiva verso il partner.

Tratto predominante di tale devianza è la promiscuità sessuale. Ma anche la gelosia morbosa non esula dai vari atteggiamenti insani dei nostri protagonisti: una gelosia talmente invasiva da indurre profonde angosce che, con un elevato sentimento di possessività, si manifesta anche nelle relazioni amicali. Nei rapporti amorosi, inoltre, la dedizione sfocia spesso in pensieri deliranti verso la persona amata: l’ossessione sfiora vari aspetti, prediligendone alcuni piuttosto che altri. È per questo motivo che il Borderline inizia le sue relazioni cercando di occuparsi in tutto e per tutto del suo partner, dando inizio così, al gioco delle corrispondenze: esso pretende che la posta aumenti di volta in volta, come le lamentele e le richieste. Nel momento in cui la corrispondenza non torna iniziano i sospetti e le fantasie tendenti alla svalutazione dell’altro. La regola del gioco si basa sul principio del tutto o nulla, dove l’altro deve confermare le regole e non sbagliare mai, se vuole proseguire  la relazione.

In genere la fase “luna di miele”, per coloro che s’imbattono in una storia con una persona così “interrotta” dura molto poco; infatti, quando il rapporto incomincia a concretizzarsi, il Borderline farà qualcosa per spezzare e chiudere ciò che si stava creando. E cosa c’è di più tagliente di un tradimento? L’atto che maggiormente ferisce l’altro. Ma potrebbe esser anche un abbandono, un litigio furioso che servono ad umiliare e annientare.

Il partner si trova di fronte, improvvisamente, ad una persona diversa, dalla doppia personalità: un angelo tramutato in diavolo.  Una volta passata la tempesta tutto torna come prima e il “mostro” di qualche momento precedente ridiventa affettuoso e tenero.

Soprattutto le donne affette da questo disturbo sembrano odiare chi le ama ricoprendole d’attenzioni e, di contro, possono innamorarsi di persone anaffettive e maltrattanti.


Ma quali sono le cause principali che predispongono a tale disturbo?

“Probabilmente un’infanzia trascorsa in un ambiente in cui il soggetto può essere esposto a relazioni genitoriali anaffettive, svalutazione dei propri stati mentali quali: pensieri, emozioni, percezioni e sensazioni fisiche. Ma anche carenze di cura, interazioni caotiche e inadeguate, nonché  maltrattamenti e abusi sessuali. Oppure, ad incidere, ci sarebbero fattori genetico-temperamentali che aumentano la vulnerabilità, predisponendo la persona allo sviluppo della disregolazione emotiva.”



Vivere con questi protagonisti non è facile; spesso le favole iniziano come un sogno ma poi si trasformano in un incubo. Star con loro significa creare un legame di Amore-Odio, un rapporto ossessivo ed instabile da cui diventa, poi, davvero arduo uscire. Anche quando l’amore è finito da tempo, il partner del Borderline può decidere di continuare la relazione mettendo in atto gesti rischiosi quali l’autolesionismo, il tentato suicidio, o ancora, minacce, ritorsioni e vendette.

Dunque potrebbe essere opportuno, come possibilità di uscire dal tunnel di questa loro vita parallela, un percorso psicoterapeutico adeguato.


“…….non mi interessava in fondo che abusassero del mio corpo: non c’è possesso dell’altro nello scopare, non c’è nulla di intimo, se lo si fa senza amore, amicizia o affetto. Non c’è scambio, non si dà e non si prende niente: la somma algebrica tra il prendere e il dare è uguale a zero. [……..] Ad ogni modo… stavo male, e per fortuna in taluni momenti riuscivo anche a rendermene conto: si dice che quando sei ancora in grado di renderti conto che stai male vuol dire che hai già iniziato a guarire, ma non so se poi è davvero così. Capivo di star male è vero, ma capivo anche che la mia vita era lì, ferma, immobile, stagnante in una sorta di infinita palude, senza che andasse né avanti né indietro. Anzi no, forse più che in una palude, è più corretto dire che mi sentivo all’interno di una botte che rotola freneticamente giù per una scoscesa vallata.
La mia vita era così. Stava precipitando ad una velocità folle, e non sapevo come riprenderla in mano”.

Tratto da “Irene F. diario di una Borderline” di EUGENIO CARDI.

Dal film: Ragazze interrotte diretto da James Mangold: scena specifica in cui la protagonista legge sul manuale la patologia dalla quale è affetta: “sindrome da personalità Borderline”.
Dott.ssa Sabrina Agostinone