Il sostegno del gruppo
L’arrivo di un bambino
altera i normali equilibri familiari e di coppia, questo evento già stressante
di per sé può raggiungere livelli maggiori nel caso in cui il bambino presenti una
malattia o una disabilità, fisica o psichica, la quale altera il suo normale sviluppo.
La sola presenza di un
terzo nella coppia trasforma di per sé i
normali equilibri e ritmi famigliari, l’intimità di coppia, il tempo libero, la
cura per la propria persona; tutti questi elementi vengono sostituiti con le
attenzioni di cui un bambino necessita.
Partendo
da questo presupposto immaginiamo come un bambino con un disturbo dello
sviluppo possa influenzare la vita dei genitori. Questo evento comporta uno
stravolgimento non solo dei normali ritmi familiari ma una vera e propria
rivoluzione nell’individuo; il genitore deve fronteggiare inizialmente un
processo di elaborazione del lutto attraverso il quale abbandonare l’immagine del
figlio sano e “perfetto”. In secondo luogo dovrà riadattare i progetti e le aspettative
sul proprio futuro e sul futuro del
piccolo, prendendo atto dell’attuale situazione.
Si
tratta di un processo psicologico e pratico necessario ai fini dell’accettazione
della condizione del proprio bambino; la sua mancanza potrebbe influire su un
percorso di crescita del bambino, infatti, il genitore che non ha superato il
trauma della diagnosi potrebbe non essere in grado di fornire al proprio figlio
le cure e le attenzioni a lui fondamentali per una crescita il più possibile
sana.
Ma cosa succede al genitore quando deve affrontare la sua situazione al
di fuori delle mura domestiche? Come cambierà la sua vita e le relazioni con
gli altri?
Difficile a dirsi, ogni genitore cerca di
affrontare la situazione come meglio crede, in base anche al proprio stile di
personalità. Molti si iscrivono a delle associazioni di supporto, perché in
queste trovano conforto, e condivisione laddove la sofferenza può essere meglio
riconosciuta e compresa. Questa tipologia di genitore, soprattutto nei primi
anni, tende a circondarsi di persone che hanno attraversato o stanno attraversando
una situazione analoga.
Altri genitori, invece, tendono a chiudersi in
un nuovo mondo fatto di solitudine e fatica, di poca comunicazione e contatti
sociali diradati.
In questo caso l’errore più grande è pensare che
“l’Altro” non possa comprendere cosa si prova di fronte ad una situazione
critica come l’accudimento di un figlio disabile, pertanto l’isolamento risulta
erroneamente essere la migliore alternativa possibile.
Diverse ricerche testimoniano come una ricca
rete di supporto sociale sia fondamentale ai fini dell’elaborazione del trauma
della diagnosi per questi genitori. Naturalmente la famiglia e il gruppo di
amici risultano di fondamentale importanza, ma non sono i soli, esistono
infatti associazioni che supportano e aiutano questi genitori, composte di famiglie a cui è accaduto qualcosa di analogo,
e che trasmettono un certo grado di competenza in merito. Per cui spesso
preferiscono parlare della propria situazione che persone che stanno o hanno
passato una situazione uguale alla loro. Il gruppo permette di sentirsi meno
soli, più compresi. Spesso queste famiglie provano un senso di colpa per la
loro situazione, alcuni si sentono addirittura responsabili per la condizione
del figlio, sono spaventati dal provare emozioni contrastanti nei confronti del
loro bambino.
La condivisione della propria esperienza o l’ascolto
di quella altrui diventa così un momento di elaborazione delle proprie
emozione, di confronto e di crescita.
Con-dividere
si può leggere come un dividere-con che significa dimezzare i pesi e le fatiche
con qualcun altro capace di reggere. Alleggerirsi di una sofferenza attraverso
il sostegno reciproco.
Non solo chi ha vissuto uno stesso trauma può
essere di aiuto, la chiave quindi sta in primis nell’esprimere il proprio malessere legato all’idea di aver
procreato un bambino con dei problemi e di doverne affrontare tutte le
difficoltà che ne seguono, ed in secondo luogo affidarsi, imparare a chiedere
aiuto, che più che un segno di debolezza è una dimostrazione unica di
coraggio!
Dott.ssa Chiara
Giaquinta
Laureata in
psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara.
Dott.ssa Ivana
Siena
Psicologa e
Psicoterapeuta
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