«Lo invase all’improvviso, mentre era seduto al
tavolo verde. Non era la prima volta: conosceva bene quell’inarrestabile
sensazione di soffocamento che lo prendeva alla gola. Per qualche minuto, mai
di più. Un attacco di panico in piena regola, come ne aveva avuti tanti altri.
Accompagnato da tachicardia e palpitazioni, mentre il respiro diventava sempre più
corto. Gli sembrava che il cuore si fermasse, che scoppiasse. Invece era la sua
mente a essere stretta in un cerchio bollente. Perdeva forte, quella sera,
anche a chemin de fer, il gioco al quale si era sempre ritenuto imbattibile.
«Perchè lì non basta la fortuna, lì ci vuole la logica», amava ripetere. E lui,
in quanto a logica e raziocinio, era senza dubbio il migliore.
Invece perdeva. Non aveva fatto altro, quell’ultimo
anno. In totale era sotto di ottocento milioni; molto anche per lui,
imprenditore che ne aveva passate di tutti i colori, che con il suo lavoro e la
sua abilità aveva sempre guadagnato cifre esorbitanti. Che tante volte era
finito nella polvere e che si era rialzato. Che aveva vinto nella vita e nel
gioco.
Aveva giocato otto milioni di lire, quella notte. Non
molti, per le sue medie, ma non aveva altro. Anzi, quei soldi erano l’anticipo
che gli aveva dato un cliente su una commissione che avrebbe dovuto presto
onorare.
Incredibile, pensò mentre la morsa alla gola
finalmente si allontanava; se sei ricco, giochi cinquanta milioni senza
tremare, resti lucido. E vinci. Se invece affidi a quattro soldi tutto te
stesso, perché sei pieno di debiti, e vincere è la tua sola speranza...allora
crolli, ti fai prendere dall’angoscia. Proprio come sta accadendo a me, ora».
Si
tratta di una delle testimonianze raccolte da Silvana Mazzocchi in una
struttura della ASL addetta al trattamento di ex giocatori d’azzardo patologici.
Ci
sono molte tipologie di giocatori e molteplici fattori che inducono alla scelta
di questa via di sfogo dei propri impulsi, ma di questo parlerò nelle pagine
seguenti.
Introduzione
al gioco d’azzardo
Il gioco trasferisce ricchezza senza
produrne.
Il volume ufficiale del gioco d’azzardo è
un iceberg che allude a un altro mostro sommerso, fatto di gioco clandestino o
non dichiarato. Di anno in anno le cifre aumentano e nonostante la punta si
faccia più evidente, ciò che rimane sommerso batte ogni fervida immaginazione.
Sostituisce la speranza, e se la realtà del giocatore si fa intrisa di speranza
allora accade che non si necessita più di un oggetto di compensazione ed i
volumi si abbassano temporaneamente per riemergere al variare delle
circostanze.
Negli anni varia anche la modalità di
introduzione di nuovi giochi. Inizialmente tutto si fondava sulla speranza di
forti vincite ottenute con piccole somme di denaro; “vincere un terno al lotto
o fare tredici” sono espressioni divenute sinonimi del linguaggio comune di un
imprevisto colpo di fortuna.
È noto che la psicologia profonda del
giocatore è segnata dal divieto interno di vincere. Questo divieto assicura che
le piccole quote vinte così spesso nei giochi istantanei vengano immediatamente
reinvestite in acquisti di altri biglietti.
La ripetizione del gioco nasconde la
ri-petizione della speranza e del suo tempo da parte del giocatore. Con la
coazione a ripetere il giocatore curva il tempo, trasforma il futuro in vigilia
e si dissocia dal presente poiché con l’illusione si inganna il reale.
Un’estrazione, l’arrivo di una corsa di ippica, l’ultima monetina,
rappresentano il capolinea di questa operazione emotiva ma anche il giro di boa
da cui poter ricominciare.
Quell’illusione che inganna il reale però è
anche un espediente vitale proprio perché consente di sopravvivere. Il gioco
insomma è vizio, ma anche espediente vitale di sopravvivenza ed è denuncia
implicita delle carenze del mondo anche se in definitiva serve anche ad
ammortizzare la povertà dal punto di vista sociale.
Il gesto è antichissimo: la dea è bendata e
si chiede alla dea di essere visti e
graziati. Il costo del biglietto equivale ad un’offerta votiva per impetrare la
sua attenzione. La coazione a ripetere ha facile gioco e sull’altare della dea
le piccole vincite si bruciano come candele.
Giocare insegna fin da piccoli a stare bene
con gli altri e a sviluppare la creatività. Ma quando diventa un vizio produce
una dipendenza che deve essere curata.
I piccoli giocano per apprendere e
attraverso questo mezzo crescono.
Nell’adulto invece, è un atto volontario,
che ha spesso uno scopo ben preciso e si svolge sotto la guida
dell’intelligenza; solitamente nel gioco i grandi esprimono i sentimenti e
tendono a dare un fine all’attività. Giocare bene è fondamentale perché aiuta a
sperimentare situazioni nuove, a vivere meglio ed è sinonimo di immaginazione
creativa. La fantasia e il gioco hanno anche funzione terapeutica, insegnano a
stare bene con gli altri, ad affrontare situazioni nuove, aiutano a compensare
le frustrazioni e a difendere da ansia e insicurezze. Sono un'ottima cura per i
disturbi del carattere e le conflittualità.
Il gioco d’azzardo nasce sulla base della
propensione umana che spinge ad associare il gioco al rischio dei propri soldi
e beni. Nella storia si sono sviluppate numerose tipologie di giochi a rischio
che si associano alla casualità, le cui tracce sono riscontrabili sia nei
reperti archeologici sia nei vecchi manoscritti provenienti dalla Cina,
Giappone, Grecia ed Egitto.
Anche nell’antica Roma non erano rare le
scommesse sui combattimenti dei gladiatori, le cui puntate erano chiamate
“munera”.La parola azzardo deriva dal francese “hasard” e dall’arabo “azzahr”
che significava dado, uno degli oggetti più vecchi legati alla tradizione
ludica (del gioco). Il gioco di azzardo si diffonde poi con la vasta gamma di
tipologie di giochi, sempre più legalizzati, così che i giocatori si dividono
tra slot machine nei casinò, videogiochi reperibili nei bar e negli esercizi
pubblici e lotterie popolari.
Il giocatore d’azzardo solitamente è una
persona che usa il gioco come passatempo occasionale o abituale senza mai
perdere il controllo e non necessariamente si trasforma in “dipendente”.
Lo sviluppo sociale del
problema del gioco d’azzardo è in parte favorita anche dalle crescenti
possibilità di scelta tra una vasta gamma di tipologie di gioco, ormai sempre
più legalizzate, che riescono a rispondere alle simpatie dei giocatori con
diverse propensioni e con differenti personalità. Così i giocatori d’azzardo
vanno dagli amanti della trasgressione da gran salone, come quella dei giochi
da Casinò e delle slot-machine, agli appassionati dei videogiochi che si
lasciano conquistare dai sempre più diffusi videopoker, agli appassionati dei
giochi d’azzardo popolari, come le lotterie, il gioco di numeri e di schedine,
fino al Bingo, la moderna trasformazione del gioco della tombola, che riesce a
conquistare anche interi gruppi grazie al suo profondo legame con il vissuto di
una concessa usanza festiva a dimensione familiare.
Esistono almeno tre funzioni
svolte dal gioco. Una prima, esistenziale o biologica, serve a compensare la
realtà per convivere con essa. Questa vocazione psicologica trasferita sul
piano pubblico e collettivo diviene un importante ammortizzatore sociale delle
crisi. Il gioco ha una sua predisposizione interna che supera le barriere
geografiche, limiti temporali e specificità culturali. Questa funzione è stata
chiamata biologica proprio per la sua centralità esistenziale.
Una seconda funzione è quella
pubblica - ludica in cui c’è l’esplicitazione del benessere, diversa dalla
prima che serve alla compensazione di un malessere.
Mentre una terza è
rappresentata dalla funzione regressiva del gioco per eccesso d’uso della
funzione biologica, come se la benefica modulazione della distanza dalla realtà
divenisse una vera e propria fuga o separazione dal reale. Si ha quindi quando
la funzione biologica non è più un’opzione ma una necessità, inevitabile e
obbligata come un senso unico.
Quando
diventa patologia
Dal 1980 la letteratura psichiatrica ha
riconosciuto la dipendenza da gioco come patologia psichiatrica.
Circa l’eziologia, il G.A.P. è una malattia mentale che è stata
classificata dall'APA (American Psychiatric Association) all'interno dei
"Disturbi del controllo degli impulsi" e che ha grande affinità con
il gruppo dei Disturbi Ossessivo-Compulsivi (DOC) e soprattutto con i
comportamenti d'abuso e le dipendenze. Questo disturbo può presentare infatti
caratteristiche comuni con la patologia ossessivo-compulsiva, che consistono
principalmente nella tendenza al ritualismo, nell’attenzione per il numero e il
calcolo, in elementi di pensiero magico-superstizioso; del comportamento
compulsivo manca però l’elemento dell’egodistonia. Maggiori invece le affinità,
come il craving, la tolleranza e la difficoltà a interrompere, con le patologie
da dipendenza, a tal riguardo il G.A.P. è stato spesso definito
"dipendenza non farmacologica”. Lo stato di euforia e di eccitazione del giocatore
d’azzardo durante il gioco è paragonabile a quello prodotto dall’assunzione di
droghe, e come avviene per la dipendenza da droghe anche i giocatori d’azzardo
possono soffrire di crisi di astinenza, ansia, sudorazione, nausea, vomito e
tachicardia.
Si parla di dipendenza proprio quando
l’orizzonte si restringe attorno all’oggetto su cui la persona si concentra o
su cui sente di poter riflettere tutti i suoi desideri e tutti i suoi bisogni.
Scegliendo un comportamento rischioso come il gioco d’azzardo o cercando in
maniera esagerata conferme basate sull’ammirazione degli altri la persona
mostra uno squilibrio personale reso stabilmente drammatico dall’incontro con
“l’oggetto delle mie brame” o con l’abitudine di cui la persona diventerà
dipendente.
In generale una persona soffre di questo
disturbo se, quando cerca di interrompere il gioco, diventa particolarmente
irritabile e irrequieta, se ha bisogno di giocare sempre di più, se incomincia
a raccontare bugie in famiglia e agli altri e se arriva a commettere azioni
illegali pur di giocare mettendo a rischio anche il proprio lavoro.
Il processo per diventare giocatori
patologici è piuttosto lento, pericoloso e costituito da varie fasi.
Inizialmente il gioco è occasionale, un
passatempo in compagnia di amici e famigliari e il giocatore vince più spesso
delle volte che perde; di solito vince grosse somme così che in lui si instilla
l’idea di essere più abile rispetto agli altri. La persona a questo punto
inizia a dedicare sempre più tempo e denaro nel gioco e passa alla fase
successiva, caratterizzata da un numero superiore di perdite rispetto alle
vincite. Il giocatore viene a questo punto spinto da un turbinio, che lo
invoglia a scommettere sempre di più nel tentativo di recuperare il denaro
perduto; comincia a chiedere prestiti, a indebitarsi e entra in uno stato di
disperazione, con conseguente esaurimento emotivo. Alla fine perde la speranza,
si susseguono liti e crisi familiari, e molto spesso iniziano i guai con la
giustizia. Dalla prima all’ultima fase possono trascorrere anche più di dieci
anni.
È una delle prime forme di “dipendenza
senza droga” studiate che ha ben presto attratto l’interesse della psicologia e
della psichiatria, ma anche dei mezzi di comunicazione di massa, degli
scrittori e dei registi, al punto che si continua spesso a riparlarne in
relazione alle sue conseguenze piuttosto serie sulla salute ed in particolare
sull’equilibrio mentale che questo tipo di problema è in grado di produrre.
Nella ludodipendenza il vero senso del gioco, attraverso cui si può costruire e
scoprire il Sé - quello che vuol dire libertà, creatività, apprendimento di
regole e ruoli, sospendendo le conseguenze reali - viene completamente
ribaltato per trasformare la cosiddetta “oasi della gioia” in una “gabbia del
Sé”, fatta di schiavitù, ossessione, ripetitività.
Dott.ssa I. Siena
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