Un semplice dolore, fastidio, un esame di routine
... e tutto cambia.
La maggior parte delle persone, almeno una volta
l’anno, si reca dal medico di famiglia per farsi prescrivere un emocromo.
Questo semplice esame, però, per alcuni è l’inizio di un susseguirsi di
accertamenti, approfondimenti, indagini, fino ad arrivare un giorno, ad una
diagnosi:
“lei ha un
carcinoma..., lei ha una neoplasia..., dagli esami effettuati è emerso che lei
ha delle metastasi...”.
Il camice bianco parla, e tutto a un tratto ci si
sente frastornati, stanchi, affaticati, gli occhi seguono il labiale, ma la
mente è spenta e prima che ce ne rendiamo conto, siamo fuori dalla stanza, con
un nuovo foglio tra le mani e un nuovo appuntamento. Da quel momento la bocca
resta in silenzio e gli occhi iniziano ad urlare: “ho Paura”. Ed è questo il
sentimento più legittimo, ma probabilmente non lo è il silenzio che ne consegue.
Nelle righe successive cercherò di argomentare al meglio questo pensiero.
Nulla accade per caso. Pensate io sono la figlia
di un ex-paziente oncologico e poi ho avuto il piacere di trascorrere, come
tirocinante in psicologia, sei mesi della mia vita nel reparto di Oncologia
Medica di un ospedale del centro Italia. Cosa ho imparato da questa esperienza?
Ad amare ogni secondo della mia vita e di chi mi sta accanto.
Quotidianamente siamo presi da impegni, scadenze,
ritmi di vita a volte soffocanti e tutto questo molto spesso ci fa perdere l’orientamento,
ciò che desideriamo e sentiamo realmente. Poi un giorno arriva una diagnosi e
iniziano i “se” e i “ma”, arrivano i compromessi, i rimpianti, i sensi di
colpa, senza renderci conto che stiamo continuando a perdere tempo, il tutto
aggravato da quel senso di paura che si chiama morte.
Ogni volta che si presenta un evento avverso nella
nostra vita la domanda che sorge spontanea è: “perché proprio a me?”. Io
stessa, a suo tempo, mi sono posta questa domanda, senza trovare risposta, allo
stesso tempo non avevo nemmeno il coraggio di esternare questa preoccupazione,
sapete perché? Perché avrei ammesso a me stessa e agli altri di aver paura.
Spesso si crede che esternare questo sentimento
sia indice di debolezza. Vi posso assicurare che non è così. Tenere nascosta la
paura vuol dire morire prima del tempo, come se ad ucciderti non fosse il
cancro, ma tu e il tuo maledetto silenzio, quella stupida convinzione che meno
se ne parla e meglio è. Idiozia.
Spesso ho sentito parenti che chiedevano al medico
o allo psicologo stesso di tacere sulla diagnosi, anche io sono stata una di
quelle che ha omesso, o meglio lo pensava.
Tale richiesta ha motivo di esistere in quanto si crede
sia necessario proteggere la persona colpita dal male, proteggerla attraverso
il silenzio, la negazione. Pensateci un attimo però... Secondo voi è possibile
che un malato di cancro non sappia cosa sta per affrontare e cosa rischia?
Inoltre, senza contare tutta l’informazione che si fa oggi su queste malattie,
pensate davvero che chi è costretto a sottoporsi a tali cure non sappia cosa
sia una chemioterapia? Una radioterapia? Sembra incredibile e poco realistico!!!
È a loro che viene inserito un ago nelle vene, iniettato un medicinale che il
più delle volte ti da nausea, vomito, diarrea, fa cadere i capelli, ti provoca
dolore fisico...
La paura e il
dolore spesso sono raccontati solo con gli occhi. Quegli occhi urlano smarrimento, tensione,
negazione.
Condividere le
emozioni, per molti di
questi pazienti, non assicura loro la guarigione, ma assicura “il non sentirsi
soli” e meno affaticati. Vi sembra poco? Pensate ad un’azione quotidiana
banale, esempio portare la spesa a casa, se si è in due il peso è minore perché
condividiamo quel carico. La stessa cosa accade per le emozioni. Dire “ho paura”,
ammetterlo a noi stessi oltre che allo stesso caro, affetto da questa malattia,
aiuterà entrambi a LOTTARE.
Probabilmente la storia avrà un finale nefasto e
chi continuerà a vivere, soffrirà della mancanza di quel corpo che non vedrà
più, di quell'abbraccio che faceva sentire protetti, di quella voce che rassicurava, ma se si riesce ad esternare ciò
che si prova davvero, aiuta a compensare le mancanze materiali attraverso i
ricordi. Gioiosi o dolorosi che siano, li sentirete vivi, perché esternare il
proprio vissuto attutisce, o elimina del tutto, il rimorso di quelle parole non
dette.
La malattia purtroppo ci sarà sempre, ciò che
ancora oggi manca è il coraggio di esprimere il dolore e la convinzione che sia
meglio che anche l’ammalato lo possa esprimere, con l’unico intento di sentirsi
meno solo e sconfitto.
Dott.ssa Luisana Di Martino
Laureta in Psicologia a Chieti (CH), tirocinante della Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara (PE)
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