Paternità:
istinto o apprendimento
sociale?
Nonostante il suo ruolo sia di fondamentale importanza, il padre ha ricevuto, per molto tempo,
scarsa attenzione nell’ambito della letteratura e della ricerca contemporanea,
tanto da essere definito “il genitore dimenticato” dalla teoria psicoanalitica.
Diverso è stato per la madre, la quale per forza di cose ha permesso questo
spostamento sullo sfondo della figura paterna per modalità tempi e sensazioni
che si vanno a sviluppare durante la gravidanza.
Alcuni dati osservativi dimostrano che già a quattro settimane
dalla nascita i neonati sono in grado di distinguere le qualità sensoriali del
padre e della madre e di interagire conseguentemente.
Resta
scontato però, che il primo rapporto che si instaura
tra neonato e genitori è quello con la mamma.
Non a caso è lei a nutrirlo dal suo seno, è lei che, nella maggior parte dei
casi, lo accudisce e gli cambia il pannolino. Il padre ha un ruolo di supporto
a tutto questo durante la prima fase della vita del bambino, e questo lo far può
apparire marginale e secondario.
Oggi si assiste sempre di più ad un precoce coinvolgimento del
papà nell’esistenza del neonato e ciò può portare dei benefici tanto al bambino
stesso quanto alla mamma. Molto spesso capita che il papà abbia poco tempo da
trascorrere in casa e, di conseguenza, da dedicare al piccolo arrivato.
Tuttavia, anche una limitata disponibilità è sufficiente per abituare il figlio
alla sua presenza.
La mamma, grazie alla gravidanza, ha nove mesi di tempo per
adattarsi alla nuova situazione: sente il movimento del bambino dentro la sua
pancia, parla con lui, può toccarlo e coccolarlo. Per la mamma la coppia diventa famiglia sin dalla gravidanza, per lei è come se il bambino fosse
già lì, come se avesse già trovato il suo posto e il suo spazio all’interno
della coppia.
Per i papà la gravidanza è un passaggio più difficile da
accettare, che dura nove mesi durante i quali egli può entrare in contatto con
il bambino solo attraverso la mediazione della mamma e del suo pancione. Può dunque
capitare che, alla nascita del piccolo, il neo papà si senta abbattuto e impaurito.
Abitudini del sonno e della giornata modificate, difficoltà legate alla
gestione quotidiana del neonato, il crescente carico di responsabilità e il timore
che la propria compagna ceda la sua parte di “donna” al suo ruolo di mamma sono
tutti elementi che fanno sì che il papà possa sentirsi a volte sopraffatto
dagli eventi al punto da perdere il controllo delle priorità e chiudersi in un angolo
in attesa di essere interpellato.
L’arrivo di un bambino può determinare nel papà un contrasto di
sentimenti differenti. Ad esempio, è facile che provi una sorta di gelosia
dovuta alla constatazione che egli non occupa più il posto privilegiato nel
cuore della moglie la quale, in ogni caso, è intenta a riversare sul neonato
buona parte delle sue premure. Nello stesso tempo, egli avverte un sentimento
ambivalente nei confronti del figlio, in quanto, da un lato si sente escluso da
alcune interazioni con lui che sono spesso riservate solo alla madre, e dall’altro
il fastidio, ossia la rabbia, per il confronto continuo che si pone tra lui e
la sua compagna, privilegiata in determinate funzioni.
Nei primi tempi, quando madre e figlio sono impegnati nella
conoscenza e nell’adattamento reciproco, il papà può diventare l’aiuto ideale:
ad esempio, al momento di addormentare il piccolo o l’essere vicino durante il cambio
del pannolino. Il contatto con il corpo paterno, inoltre, farà abituare il
bambino all’esistenza di altre braccia che non siano quelle della sola madre e
gli permetterà di imparare a distinguere meglio la figura materna da quella
paterna ed, in seguito, da quelle di tutte le altre persone con le quali il
piccolo entrerà in contatto.
È ormai certo che gli uomini della società odierna stanno
elaborando una diversa competenza genitoriale rispetto a quella di un tempo. Oggi, infatti, tale competenza sembra
affiancarsi sempre di più a quella materna in quanto si occupano anche delle
cure primarie assieme alla madre, come allattamento con il biberon, cambio del
pannolino, bagnetto. Un tempo la donna aveva il compito di mettere “al” mondo
il figlio e il padre quello di metterlo “nel” mondo, di insegnarli a vivere
nella società, le regole sociali e i valori. Il padre era la figura forte che
proteggeva il figlio e lo accompagnava nel mondo insegnandoli a vivere e ad
adattarsi alle richieste sociali.
Oggi, la società ha subito forti cambiamenti e nonostante si
cerchi di equilibrare i ruoli genitoriali, i padri hanno ancora forti
difficoltà a trovare il loro posto da subito.
La paternità, dunque, può essere considerata un istinto o un
apprendimento sociale? La letteratura si è interrogata negli ultimi anni sulla
possibilità che esista uno specifico istinto paterno uguale a quello materno.
Dunque, la paternità si attiva nell’esperienza di divenire padre o si può
pensare che esiste una predisposizione innata ad assumere tale ruolo e
funzione?
Greenberg e Morris (1974) hanno dimostrato in alcune ricerche che
nell’uomo l’engrossment, ovvero
l’occuparsi interamente di qualcuno, l’essere assorbiti, preoccupati e
interessati, va considerato un potenziale innato che si attiva con l’esperienza
di diventare genitori ma che ha anche inevitabilmente un’interazione con gli
aspetti culturali dell’ambiente e della società. Allo stesso modo, Forleo e
Zanetti (1987) sostengono che, sia nel maschio che nella femmina, sia presente
una predisposizione ad assumere comportamenti di cura nei confronti dei figli
ma il condizionamento sociale e culturale devia spesso tale atteggiamento nell’uomo
verso altre modalità di interazione, più desiderabili ed accettabili
dall’ambiente.
Al contrario, secondo Erich Fromm (1956) nella paternità non
esiste nulla di istintivo se non un “rapporto
spirituale”. Dunque, l’amore paterno, a differenza di quello materno,
sarebbe condizionato dall’appagamento delle
proprie aspirazioni.
Sembra utile, pertanto, fare una distinzione tra il concetto di ruolo e quello di funzione genitoriale e,
nello specifico, paterna. Il ruolo è
definito da un contesto sociale e culturale, è ciò che il padre sente di dover
fare, è la sua risposta emotiva ai bisogni del figlio e la disposizione
interiore precedente all’esperienza. La funzione
paterna, invece, è precedente all’esperienza e al ruolo, anche se
normalmente si attiva in ambedue. Nei primi anni di vita del bambino, ma non
solo, il padre riveste effettivamente un’importante funzione: egli sostiene la
relazione madre-bambino proprio grazie al suo modo di essere presente nella
famiglia e può essere definito il regolatore della relazione empatica.
Concludendo, il padre non è semplicemente la luce che illumina la
diade madre-bambino, ma è insieme a loro l’essenza di un quadro in cui ogni
singola parte ha senso solo in relazione alle altre.
Dott.ssa Serena
Sanzari
Laureata in Psicologia presso l’Università degli Studi “G. D’Annunzio”
di Chieti e Tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara.
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