L’INTELLIGENZA EMOTIVA
NELL’AMBIENTE LAVORATIVO E LA SINDROME DEL BURNOUT.
L’intelligenza
emotiva è definita come la capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli
degli altri, di motivare noi stessi e di gestire positivamente le nostre
emozioni, tanto interiormente quanto nelle relazioni sociali.
La
vita mentale dell’uomo è costituita da due modalità di conoscenza che
interagiscono tra di loro: la mente razionale, caratterizzata da una modalità
di comprensione cosciente e consapevole che ci permette di ponderare e di
riflettere, e la mente emozionale, impulsiva e illogica.
L’influenza
delle emozioni sulla mente razionale è spiegabile con l’evoluzione del cervello
umano. Le basi anatomiche delle emozioni si possono rintracciare nelle
strutture più primitive, il tronco cerebrale, da cui poi si sono evolute le
aree del cervello pensante: la neocorteccia. Le aree emozionali quindi, sono
collegate a tutte le aree della neocorteccia influenzandole, ragion per cui le
emozioni sono il costante sottofondo delle esperienze quotidiane.
L’intelligenza
emotiva è strettamente associata alla competenza personale e a quella sociale.
La prima determina il modo in cui controlliamo noi stessi e si basa su alcune
caratteristiche:
-
consapevolezza di sé, cioè la
capacità di riconoscere i nostri stati interiori. Comporta l’auto-valutazione accurata
delle proprie abilità, dei propri punti di debolezza e la fiducia in sé stessi
riconoscendo il proprio valore e le proprie capacità.
- padronanza di sé che
si esprime nell’autocontrollo degli impulsi e dei sentimenti per gestire
situazioni stressanti e angosciose che si traduce nell’acquisizione di un
atteggiamento flessibile nelle varie circostanze.
-motivazione, ultima
abilità della competenza personale, è caratterizzata dall’insieme delle
tendenze emotive che guidano e sostengono la realizzazione degli obiettivi.
La competenza sociale è il fattore che
determina la gestione delle relazioni interpersonali la cui base è costituita
da
-empatia, cioè
la capacità di comprendere lo stato
d’animo altrui
-abilità sociali
intese come la capacità di saper guidare le emozioni di altre persone
attraverso l’uso di tattiche persuasive efficienti veicolate da una
comunicazione chiara e convincente.
Queste
abilità sono particolarmente importanti e particolarmente richieste nell’ambito
lavorativo in cui bisogna sviluppare anche capacità per negoziare e gestire
situazioni di disaccordo, collaborazione
e cooperazione per il raggiungimento di obiettivi comuni. Le capacità intellettuali e tecniche seppur
rappresentano i requisiti di base non garantiscono il raggiungimento di
risultati ottimali, quando infatti in una organizzazione manca l’intelligenza
emotiva si realizza il fenomeno del burnout
definito come sindrome di esaurimento emotivo, depersonalizzazione e derealizzazione
personale. Il sentimento di essere emotivamente svuotato e annullato dal
proprio lavoro, una sorta di inaridimento emotivo, si ripercuote
sull’allontanamento e sul rifiuto nei confronti di coloro che ricevono o
richiedono la prestazione professionale. Il fenomeno è più frequente in tutte
quelle professioni che richiedono un’elevata implicazione relazionale e le
cause comuni sono riconducibili all’organizzazione disfunzionale, la scarsa o
inadeguata retribuzione, sovraccarichi di lavoro, insufficiente autonomia
decisionale. Il burnout è una
sindrome vera e propria caratterizzata da sintomi che investono la sfera
somatica, ulcere, cefalee, disturbi cardiovascolari e la sfera psicologica,
umore depresso bassa stima di sé, senso di colpa, irritabilità, coinvolge cioè il mondo emozionale della persona.
Solitamente
l’insorgenza del fenomeno segue 4 fasi:
1)ENTUSIASMO
IDEALISTICO che dipende dalle motivazioni consapevoli, inconsce e dalle
aspettative che hanno indotto gli operatori a scegliere quel tipo di lavoro.
2)STAGNAZIONE,
il super-investimento iniziale lascia il posto ad un graduale disimpegno dovuto
al fatto che il lavoro non soddisfa i bisogni del lavoratore e la profonda
delusione determina la chiusura verso l’ambiente e i colleghi.
3)FRUSTRAZIONE
a causa della profonda sensazione di inutilità per non essere in grado di
rispondere ai reali bisogni dell’utenza. L’operatore vive un senso di perdita ,
svuotamento e crisi delle emozioni e della creatività.
4)APATIA
che caratterizza la vera e propria morte professionale.
La
visione distorta secondo cui le professioni d’aiuto fanno beneficenza, ha
contribuito allo sviluppo di un forte spirito salvifico e sentimenti di
onnipotenza nei confronti degli utenti che in automatico assumono lo status di ”rappresentanti
della malattia” e quindi uno stato d’inferiorità. Tutto ciò porta l’operatore a
trascurare inconsapevolmente i propri bisogni e motivazioni con conseguenti
sentimenti di disagio e impotenza. C’è da dire inoltre che il burn-out non è
affatto un problema personale che riguarda solo chi ne è affetto, ma coinvolge
l’intera organizzazione dei servizi, degli utenti della comunità.
L’intelligenza
emotiva quindi, gioca un ruolo fondamentale perché permette di contattare le
proprie emozioni per affrontare in modo efficace e ottimale le difficoltà della
vita, permettendo di sviluppare la propria personalità in modo flessibile e
creativo. Tutto ciò all’interno della
relazione consente all’operatore di essere empatico e sensibile alle reali
esigenze dell’utente. Nel burnout
esiste quindi la difficoltà a
misurarsi con le proprie emozioni e quindi con il riconoscimento del problema,
con conseguente sentimento di rassegnazione rispetto alla vita.
Occorre
provare ad ascoltare, a guardarsi dentro, a recuperare la propria motivazione e
la capacità di alimentare i propri desideri.
Dott.ssa Manuela Fersini
Laureata in Psicologia resso l'Università "G. D'Annunzio" di Chieti e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara.
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