E' necessario dire ad un bambino che è stato adottato?
Una domanda che spesso si pongono i genitori che hanno preso in
adozione bambini molto piccoli (generalmente prima dei due anni), è se è
opportuno dire al proprio bambino che è stato adottato. Questo interrogativo è
legato all'ipotesi che il bambino, proprio perché piccolo, non ricorderà nulla
delle sue origini. Tuttavia, da esperienze cliniche, risulta che i bambini
adottati anche molto piccoli ricordano “oscuramente” qualche elemento del loro
ambiente natio e delle parole e dei segni della loro lingua originale, elementi
che spesso compaiono nei sogni in modo misterioso ed inquietante. Un bambino
molto piccolo è facilmente in grado di instaurare una relazione affettiva con i
nuovi genitori, nonostante ciò non bisogna sottovalutare che egli conserva
dentro di sé le tracce dell’abbandono che possono manifestarsi con una
moltitudine di disturbi (alimentari, del sonno, di natura psicosomatica
ecc...).
Talvolta i genitori adottivi si chiedono se non sia meglio che
il bambino creda di essere un figlio naturale, tentando così di non
“etichettarlo” come diverso dagli altri bambini. Resta in dubbio l’idea che il
“sentirsi diverso” sia davvero una sensazione legata esclusivamente al bambino,
oppure se sia invece dei genitori.
In passato tenere all'oscuro il bambino dalle sue origini era
pratica molto diffusa, mentre oggi si ritiene opportuno raccontargli la verità
per tutelare la serenità del nucleo familiare. I bambini sono molto sensibili a
piccole variazioni del tono della voce, a discorsi interrotti al loro apparire,
ad imbarazzi che riguardano l’argomento dell’adozione e captano
inconsapevolmente qualcosa di misterioso che li riguarda, diventando così
diffidenti e sospettosi. Tutto questo può comportare difficoltà relazionali tra
genitori e figlio.
Si è visto che molti figli adottivi, una volta informati sulla
verità della loro nascita, affermano di averla sempre velatamente avvertita
come un elemento inquietante che li riguardava. Inoltre nel momento in cui ne
vengono a conoscenza, per cause accidentali o meno, la consapevolezza
improvvisa rischia di trasformarsi in un trauma che spesso il bambino non è in
grado di fronteggiare. Potrebbero svilupparsi, così, vissuti di duplice
abbandono e potrebbe venir meno la fiducia nei confronti dei genitori adottivi.
Una delle difficoltà che riscontrano i genitori nel dire da
subito la verità al proprio figlio adottivo, riguarda probabilmente la mancata
elaborazione dell’impossibilità a generare naturalmente. L’adozione, che li ha
resi padri e madri, non è stata sufficiente a rimarginare una ferita che
tentano di dimenticare o di colmare.
Nell’adozione può accadere che i nuovi genitori idealizzino il
bambino per rivestirlo di un ruolo centrale all’interno della famiglia. L’intento,
prevalentemente inconscio, è quello di lenire l’ansia relativa a ciò che di
ignoto porta il bambino con sé compresa la verità che esistano da qualche parte
dei genitori naturali che sono stati privati di questo figlio. Sentimenti di
rivalità e di “furto” rispetto alla madre naturale possono alimentare le
fantasie di un’appropriazione indebita e colpevole, che vengono perlopiù
rimosse.
La cosa migliore è dire la verità fin dall’inizio, cogliendo
ogni minima occasione per parlare della realtà dei fatti. Non ha molta
importanza se il bambino è troppo piccolo per poter capire: da ricerche
effettuate, risulta che i bambini capiscono la differenza tra l’essere nato in
una famiglia e l’essere stato adottato all’incirca verso i cinque anni, ma è
consigliabile parlarne anche da prima. Si può affrontare l’argomento con parole
semplici non appena, ad esempio, il bambino si mostri incuriosito verso una
donna in evidente stato di gravidanza. Si può dire che la signora ha un bambino
nella pancia, ma che lui non è stato nella pancia della sua mamma bensì in
quella di un’altra signora che non ha potuto tenerlo con sé anche se, forse, lo
avrebbe desiderato; una mamma che sperava che ci fossero altri due genitori che
avrebbero potuto farlo crescere al posto suo.
Parlare dell’adozione fin dall’inizio non farà sentire al
bambino ingannato rispetto alle sue origini e farà sentire i genitori più
tranquilli nel rispondere alle domande del figlio, quando questi sarà in grado
di formularle.
Una delle paure più grandi dei genitori adottivi è quella di
pensare che i bambini, una volta scoperta la verità, non li ameranno più,
evenienza spesso legata a fantasie più che a dati di fatto. Dal punto di vista
del bambino, conoscere la sua vera storia sin dall’inizio rappresenta un’occasione
per avere fiducia nelle possibilità che la vita offre, in quanto gli si insegna
che nonostante i suoi genitori biologici non siano più presenti, lui ha a
disposizione altre due figure che possono fornirgli amore e modelli di
identificazione.
Se il bambino, come quasi sicuramente accadrà, comincerà ad
incuriosirsi alle circostanze della propria nascita o se farà domande a
riguardo, deve essere ascoltato e deve ottenere delle risposte congrue e reali,
ovviamente mediate in base all'età. La verità diventa così la chiave per
instaurare un rapporto di fiducia tra le due parti permettendo al bambino di
sentirsi legittimato a fare domande perché ci sarà sempre qualcuno pronto a
rispondergli.
Spesso rimane nei coniugi la convinzione, a livello
inconsapevole, che la genitorialità adottiva sia inferiore a quella naturale e
questo porta loro a pensare che, nonostante tutto, il bambino appartenga ai
genitori naturali e che le cose che verranno fatte per lui non saranno mai
sufficienti a rendere i genitori adottivi “degni” come quelli che invece gli
hanno donato la vita. Nascondere la vera storia li fa sentire,
inconsapevolmente, meno “paragonabili” e quindi meno in discussione rispetto
alle proprie capacità di essere genitori.
Un altro timore dei genitori è che il figlio non si affezioni a
loro, soprattutto se non è piccolissimo ed ha avuto contatti con i genitori
naturali e che, una volta grande, il bambino voglia riallacciare i rapporti con
questi ultimi. Il tentativo del figlio adottivo di ricercare le proprie origini
evidenzia il senso di competizione che può esserci nei genitori adottivi
rispetto a quelli naturali. Tali fantasie vengono vissute come un senso di
fallimento personale, poiché i genitori adottivi non riescono a considerare la
"curiosità genealogica", comune negli adolescenti adottati, come una
tappa fisiologica e normale. Piuttosto si nutrono di un alto grado di
autosvalutazione che ripropone loro la propria sterilità originaria, ferita mai
rimarginata.
Anche se può risultare
molto complicato per i genitori adottivi, la cosa migliore e “giusta” per il
bambino è aiutarlo a mantenere un legame con il suo ambiente di origine: se è
possibile e, ovviamente, se il bambino lo desidera, è importante visitare il
luogo da cui proviene come anche aiutarlo a mantenere i rapporti con
eventuali fratelli che, come spesso
accade, vengono adottati da altre famiglie. Mantenere un legame con le sue
origini farà sentire al bambino adottato che la sua infanzia non è perduta e gli
darà la possibilità di perdonare l’abbandono subito.
Se il genitore sente disagio ed angoscia nell’affrontare le
domande del bambino, al di là delle sue convinzioni razionali, è necessario che
si ricorra ad una figura competente che possa aiutare lui, genitore, in questo
arduo compito, ed il bambino nella difficile conquista che è lo strutturarsi
della propria identità, affinché possa integrare il dolore dell’abbandono con
il piacere del nuovo attaccamento. Ciò che conta maggiormente non è la
ricostruzione della realtà storica, ossia dei fatti avvenuti, ma quella delle
emozioni ad essi collegate.
Bibliografia:
Bosi S., Guidi D. (1991), Guida per i genitori adottivi,
Mondadori, Milano.
Dell'Antonio A. (1986), Le problematiche psicologiche
dell'adozione nazionale e internazionale, Giuffrè, Milano.
Galli J. E Viero F. (2001), Fallimenti adottivi. Prevenzione
e riparazione Armando Editore, Roma.
Monaco M.F., Castellani P.P. (1994), Il figlio del desiderio.
Quale genitore per l’adozione?, Ed. Bollati Boringhieri, Torino.
Dott.ssa Barbara Leonardi
Centro di Psicoterapia Familiare
Nessun commento:
Posta un commento