domenica 14 aprile 2013

PSICOLOGIA DELLO SPORT





“Quella tra l’allenatore e la sua squadra è una vera e propria relazione amorosa". È una storia d’amore d’altri tempi in cui la donna (squadra) veniva allevata, cresciuta ed educata da genitori severi ed esigenti (Società Calcistica) che hanno trasfuso in lei morale, dedizione e senso del dovere nei confronti di un progetto di vita essenziale: la prosecuzione della  famiglia in nome del rispetto e della dignità del casato. Come nei tempi antichi  la donna doveva occuparsi della casa e dei figli, da sempre nello sport e nel calcio, la squadra è la gestante che mette alla luce, di volta in volta, piccoli e grandi traguardi intesi come investimenti per il futuro. Alte quindi erano all’epoca le aspettative dei suoi genitori e ardua risultava essere la scelta del consorte adeguato a portare avanti questo progetto di vita comune.
La scelta dell’uomo perfetto per questo connubio era influenzata dalle decisioni del padre della sposa, che prediligeva il prestigio e l’onore di cui quest’uomo godeva, da tramandare poi alla prole. Tale scelta verteva quindi su un uomo più anziano, scevro dagli ardori giovanili, ma con competenze provate a livello fisico e mentale. I due partner si incontravano poco prima del matrimonio, suggellavano il loro patto attraverso uno scambio di doni e fedeltà reciproca trovandosi a gestire la loro unione pur avendo una conoscenza poco approfondita l’uno dell’altra, impegnati a far aumentare le loro affinità e a superare le loro divergenze che si potevano ripercuotere sulla nascita dei figli (performance).
La donna è sempre stata la portatrice della dote familiare, che nel paragone calcistico è rappresentata dall’insieme dei talenti che si esprimono nella squadra. La dote era messa a totale disposizione del consorte che se ne doveva prendere cura,  nel tentativo di potenziarla ed arricchirla. Seppur trattandosi di un matrimonio combinato non era escluso che il sentimento autentico dell’amore potesse nascere e consolidarsi nella procreazione di numerosi figli a cui affidare la decorosa sopravvivenza della stirpe.
L’allenatore e la sua squadra diventano tutt’uno nel loro matrimonio calcistico, ma come accade nella vita quotidiana, l’amore per poter divenire “eterno” non può rimanere solo un sentimento provato, bensì deve divenire un “atto di volontà”, una decisione consapevole di voler unire la propria vita a quella di un altro. Necessita di impegno, passione e intimità, tre componenti che vengono costantemente minacciate dalle difficoltà che si incontrano sul cammino. Gli insuccessi, la supervisione costante dei “genitori della sposa”, gli attacchi psicologici dei familiari stretti (la stampa) nonché il giudizio e la disapprovazione della gente esterna ma comunque influente (la tifoseria), mettono a gran rischio la stabilità di questa relazione. Un allenatore, in quanto marito, porta con sé la grande responsabilità di gestire la sua famiglia, di prendere le decisioni più adatte alla sopravvivenza di questo nucleo, di proteggerlo dai pericoli esterni e, non meno importante, di provvedere al sostentamento e alla realizzazione dei suoi figli. Quando tutto questo sistema di compiti evolutivi non funziona come dovrebbe e calano i livelli di passione, intimità ed impegno reciproco,  si può andare incontro ad uno scioglimento del patto matrimoniale.
L’allenatore può abbandonare il tetto coniugale dimettendosi dopo una serie di fallimenti di cui si attribuisce la responsabilità, può “tradire” rincorrendo un vecchio amore che fino a quel momento non ha avuto l’opportunità di coltivare, o può essere esonerato dal “padre della sposa” per inadempienza dei suoi doveri coniugali.
Sempre la Società Calcistica si occupa in sua assenza di provvedere a riempirne il vuoto, nella speranza di ricreare una nuova coppia soddisfacente e più funzionale.  Tuttavia un amore, seppur nato da basi di convenienza, spesso si trasforma nella conferma di quella prima scelta e, nonostante la crisi che attraversa, lascia dei profondi segni della sua importanza. Un ritorno a casa del primo marito, per quanto possa sembrare un errore, può in determinati casi rappresentare un nuovo inizio, soprattutto laddove l’intensità di quel sentimento provato viene testimoniata anche da chi sta intorno alla coppia, oppure quando i figli, frutto di quell’amore, hanno sì continuato a crescere, ma senza crearsi una vera identità che necessita dalla presenza di entrambi i genitori che li hanno messi al mondo. Guardare alla crisi come un’opportunità per rivedere se stessi, il proprio contesto di appartenenza e per migliorarsi è una risorsa fondamentale per l’evoluzione di ogni sistema, anche quello calcistico. Con questa visuale è possibile pensare agli errori commessi come insegnamenti, al perdono come strumento per riavviare il nastro inceppato e al “ritorno” come possibile punto di partenza”.
Dott.ssa Ivana Siena

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