“Quella
tra l’allenatore e la sua squadra è una vera e propria relazione amorosa". È una storia d’amore d’altri tempi in cui la donna (squadra)
veniva allevata, cresciuta ed educata da genitori severi ed esigenti (Società
Calcistica) che hanno trasfuso in lei morale, dedizione e senso del dovere nei
confronti di un progetto di vita essenziale: la prosecuzione della
famiglia in nome del rispetto e della dignità del casato. Come nei tempi
antichi la donna doveva occuparsi della casa e dei figli, da sempre nello
sport e nel calcio, la squadra è la gestante che mette alla luce, di volta in
volta, piccoli e grandi traguardi intesi come investimenti per il futuro. Alte
quindi erano all’epoca le aspettative dei suoi genitori e ardua risultava
essere la scelta del consorte adeguato a portare avanti questo progetto di vita
comune.
La
scelta dell’uomo perfetto per questo connubio era influenzata dalle decisioni
del padre della sposa, che prediligeva il prestigio e l’onore di cui quest’uomo
godeva, da tramandare poi alla prole. Tale scelta verteva quindi su un uomo più
anziano, scevro dagli ardori giovanili, ma con competenze provate a livello
fisico e mentale. I due partner si incontravano poco prima del matrimonio,
suggellavano il loro patto attraverso uno scambio di doni e fedeltà reciproca
trovandosi a gestire la loro unione pur avendo una conoscenza poco approfondita
l’uno dell’altra, impegnati a far aumentare le loro affinità e a superare le
loro divergenze che si potevano ripercuotere sulla nascita dei figli
(performance).
La
donna è sempre stata la portatrice della dote familiare, che nel paragone
calcistico è rappresentata dall’insieme dei talenti che si esprimono nella
squadra. La dote era messa a totale disposizione del consorte che se ne doveva
prendere cura, nel tentativo di potenziarla ed arricchirla. Seppur
trattandosi di un matrimonio combinato non era escluso che il sentimento
autentico dell’amore potesse nascere e consolidarsi nella procreazione di
numerosi figli a cui affidare la decorosa sopravvivenza della stirpe.
L’allenatore e la sua squadra diventano tutt’uno nel loro
matrimonio calcistico, ma come accade nella vita quotidiana, l’amore per poter
divenire “eterno” non può rimanere solo un sentimento provato, bensì deve
divenire un “atto di volontà”, una decisione consapevole di voler unire la
propria vita a quella di un altro. Necessita di impegno, passione e intimità,
tre componenti che vengono costantemente minacciate dalle difficoltà che si
incontrano sul cammino. Gli insuccessi, la
supervisione costante dei “genitori della sposa”, gli attacchi psicologici dei
familiari stretti (la stampa) nonché il giudizio e la disapprovazione della
gente esterna ma comunque influente (la tifoseria), mettono a gran rischio la
stabilità di questa relazione. Un allenatore, in quanto marito, porta con sé la
grande responsabilità di gestire la sua famiglia, di prendere le decisioni più
adatte alla sopravvivenza di questo nucleo, di proteggerlo dai pericoli esterni
e, non meno importante, di provvedere al sostentamento e alla realizzazione dei
suoi figli. Quando tutto questo sistema di compiti evolutivi non funziona come
dovrebbe e calano i livelli di passione, intimità ed impegno reciproco,
si può andare incontro ad uno scioglimento del patto matrimoniale.
L’allenatore può abbandonare il tetto coniugale dimettendosi dopo
una serie di fallimenti di cui si attribuisce la responsabilità, può “tradire”
rincorrendo un vecchio amore che fino a quel momento non ha avuto l’opportunità
di coltivare, o può essere esonerato dal “padre della sposa” per inadempienza
dei suoi doveri coniugali.
Sempre
la Società Calcistica si occupa in sua assenza di provvedere a riempirne il
vuoto, nella speranza di ricreare una nuova coppia soddisfacente e più
funzionale. Tuttavia un amore, seppur nato da basi di convenienza, spesso si
trasforma nella conferma di quella prima scelta e, nonostante la crisi che
attraversa, lascia dei profondi segni della sua importanza. Un ritorno a casa
del primo marito, per quanto possa sembrare un errore, può in determinati casi
rappresentare un nuovo inizio, soprattutto laddove l’intensità
di quel sentimento provato viene testimoniata anche da chi sta intorno alla
coppia, oppure quando i figli, frutto di quell’amore, hanno sì continuato a
crescere, ma senza crearsi una vera identità che necessita dalla presenza di
entrambi i genitori che li hanno messi al mondo. Guardare alla crisi come
un’opportunità per rivedere se stessi, il proprio contesto di appartenenza e
per migliorarsi è una risorsa fondamentale per l’evoluzione di ogni sistema,
anche quello calcistico. Con questa visuale è possibile pensare agli errori
commessi come insegnamenti, al perdono come strumento per riavviare il nastro
inceppato e al “ritorno” come possibile punto di partenza”.
Dott.ssa Ivana Siena
Fonte: http://www.forzapescara.tv
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