Una
squadra di calcio è composta da circa venti calciatori che di anno in anno si
trovano a cambiare compagni di gioco e a riorganizzare il proprio stile in
vista dei nuovi obiettivi preposti. All’inizio della stagione calcistica
i nuovi ingressi comportano una riorganizzazione del gruppo squadra che si
muove su vari livelli. In questa fase iniziale si è in cerca di una nuova
identità di gruppo ed è importante capire quali sono gli strumenti
(potenzialità dei giocatori) di cui si dispone. È la fase della conoscenza e
della scoperta reciproca, in cui si cercano di definire regole e confini e dove
ognuno cerca di orientarsi nella ricerca di un personale modo di stare nel
gruppo.
Il
gruppo costituisce la base della squadra; ha una sua struttura che si regge su
regole esplicite ed implicite attraverso le quali si manifestano i tipici
meccanismi di interazione dei suoi appartenenti. All’interno di questo contesto
quella che viene chiamata “coesione sociale” è rappresentata dall’unione di
squadra e dalla collaborazione con i tecnici, che ogni giocatore si impegna a
costruire in funzione dello scopo comune. Mantenere una tale coesione
presuppone che ogni componente del gruppo dovrà sentirsi parte di esso, ma
nello stesso tempo anche dipendente dagli altri membri del gruppo per far sì
che le loro interazioni si mantengano costanti e produttive nel tempo.
Tuttavia
va detto che mentre un allenatore deve obbligatoriamente tenere sotto controllo
gli interessi globali della squadra, i calciatori sono concentrati su quelli
individuali. Nel calcio di oggi i giocatori sono attenti al risultato
individuale, ai successi, alla propria crescita personale, più che a instaurare
un vero spirito di gruppo.
Tali
esigenze unite all’eterogeneità degli atleti, per età, cultura di provenienza,
esperienze pregresse, portano allo stadio del conflitto e della ribellione.
Questa nuova entità sociale, condita dalle varie dinamiche di gruppo che si
formano, è lo scenario di un palcoscenico in cui si vanno stabilendo i ruoli
con i relativi status.
Se si
riprende il concetto secondo cui i personaggi appartenenti al mondo del calcio
possono essere paragonati al sistema famiglia, si può pensare al gruppo dei
giocatori come a un sottosistema figli e, di conseguenza, fratelli. Nelle
famiglie numerose è possibile identificare ruoli e funzioni di ogni figlio,
specifici stili di attaccamento rispetto alle figure genitoriali (nel caso
specifico allenatore e vice) ed anche diversificate modalità di costruzione del
proprio senso di appartenenza che fungerà da faro nelle sua realizzazione
personale e professionale (performance calcistiche).
Allo
stesso modo l’identificazione dei ruoli e delle funzioni all’interno del gruppo
diventa interscambiabile tra i due mondi citati. Un primo ruolo tipico è quello
del leader: in un sottosistema fratelli è facile pensare al figlio maggiore
come leader del gruppo di consanguinei, come nel calcio tale posizione può
essere facilmente confusa con quella del capitano. Nulla di più sbagliato, in
quanto il capitano di una squadra di calcio è spesso riconosciuto nella sua
posizione, sì per anzianità, per legame con la maglia, per esperienza
accumulata, ma non è detto che sia un buon motivatore, un risolutore di
conflitti. Allo stesso modo, non è scontato trovare tali caratteristiche nel
fratello più grande, a maggior ragione se si considera che le caratteristiche
di personalità di ogni figlio sono influenzate da molteplici fattori, come il
contesto fisico e temporale della nascita, il clima familiare durante la
crescita ecc.. Gli studi sociali insegnano che l’aspirante leader (membro
Alpha) è l’individuo più assertivo, quello con più spinta competitiva, più
motivazioni, colui che cerca di affermare la sua presenza nel gruppo favorendo
un clima favorevole e di unità di intenti, ma soprattutto gode di un
riconoscimento che è frutto di una scelta genuina e spontanea da parte del
resto della squadra (figlio intraprendente).
A far
da sfondo alla competizione ci sono i potenziali gregari, giocatori che si
schierano al fianco del leader, senza la pretesa di emergere nei ruoli. Spesso
si tratta di atleti che accettano di fare da supporto, che danno il meglio
delle loro energie, ma che non cercano di superare il livello standard della
loro performance (figlio riservato).
La
stella della squadra rappresenta un ruolo ben definito. Questo giocatore mette
a disposizione del gruppo la sua competenza e la sua esperienza allocandosi in
una posizione specializzata, assolutamente non passiva tanto da essere
anch’egli confuso nel il ruolo del leader, ma solo dal pubblico. Tuttavia,
all’interno del gruppo, gode comunque di uno status elevato proprio grazie alle
sue competenze e ai risultati che riesce a far raggiungere alla squadra (figlio
prediletto).
Infine
esistono, quasi inevitabilmente, i così detti marginali, i membri esclusi, i
potenziali capri espiatori. In questo ruolo vengono riconosciuti calciatori
che, per incapacità di gestire lo stress in o per coinvolgimento in particolari
vicende scandalistiche, diventano responsabili di errori che ricadono
inevitabilmente su tutta la squadra. Oltre a sanzioni disciplinari il capro
espiatorio subisce anche la perdita di fiducia da parte del gruppo che
contribuisce all’emarginazione della sua figura (pecora nera della famiglia).
Questa
fase di distribuzione dei ruoli è necessaria per l’effettivo funzionamento del
gruppo. Attraverso questo processo vengono minimizzate le somiglianze e
amplificate le differenze e adesso i membri possono raggiungere la “giusta”
distanza tra loro, il tempo dell’autonomia. E’ la fase in cui realmente si
forma la coesione di cui si parlava sopra e il gruppo può evolversi in
un’unità compatta chiamata squadra.
Dott.ssa Ivana Siena
Fonte: FORZAPESCARA.TV
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