Dall'Analisi Transazionale alla relazione
Fin
dalla nascita uno dei bisogni fondamentali per il bambino, al pari della
necessità di cibo, è il contatto fisico.
Numerose
ricerche nel campo della psicologia hanno mostrato come la deprivazione
sensoriale provochi danni irreparabili sia nei bambini che negli adulti,
mettendo in luce, soprattutto facendo riferimento ai primi, quanto la mancanza
di contatto abbia un peso specifico nello sviluppo di problematiche fisiche ed
emotive.
Eric
Berne scelse il termine carezza per indicare l’unità di
riconoscimento sociale (modalità per riconoscere l’esistenza di una persona in
senso figurato) e per rievocare questo bisogno di contatto fisico degli
infanti: «Con “carezza” si indica generalmente l’intimo contatto fisico;
nella pratica il contatto può assumere forme diverse. C’è chi accarezza il
bambino, chi lo bacia, gli dà un buffetto o un pizzicotto. […] Per estensione,
con la parola “carezza” si può indicare familiarmente ogni atto che implichi il
riconoscimento della presenza di un’altra persona».
È necessario che
la persona venga riconosciuta come tale per svilupparsi bene, non basta soddisfare
i suoi bisogni primari! Un banale non saluto può suscitare un effetto enorme su
di noi proprio perché dietro di esso leggiamo il non riconoscimento.
Ognuno
di noi sviluppa un suo stile nel dare e ricevere carezze, fondato sulla base
della propria posizione esistenziale, dove per posizione esistenziale l’autore
intende la modalità in cui ognuno si percepisce rispetto ad un altro o al mondo
esterno e, di conseguenza, come percepisce il resto del mondo. La posizione
esistenziale ideale è rappresentata dal sentirsi “OK” rispetto ad un Altro anch’esso
percepito come “OK”, anche se obiettivamente risulta difficile rimanere fissi
su una posizione, ma necessariamente si sperimentano tutte le altre. Vedi l’immagine:
Si
potrebbe pensare che le persone cerchino esclusivamente carezze positive, sotto
la falsa credenza che siano queste a muoverci su una posizione esistenziale
ottimale (OK-OK), rifiutando le negative; in realtà (e può sembrare assurdo)
qualsiasi tipo di carezza è meglio di nessuna carezza, in quanto il nostro
bisogno di essere “accarezzati” è così importante che se non riusciamo a
riceverne di positive faremo in modo di prendere almeno quelle negative. Un
classico esempio è quello del maestro che riprende l’alunno ogni volta che
sbaglia e lo ignora quando fa le cose per bene: pur di ricevere attenzione
l’allievo continuerà a sbagliare. Questo spiega perché certi comportamenti si
rinforzano, mentre altri passano inosservati.
Nella
nostra cultura la logica delle carezze è legata al complesso di inferiorità, il
quale inevitabilmente porta con più facilità a svalutare l’altro, piuttosto che
valorizzarne i suoi punti di forza. Carezze negative di questo tipo apparentemente
nutrono la propria autostima, perché mettono l’autore in una posizione
giudicante tipica di chi si sente migliore degli altri, impedendo tuttavia lo
slancio verso la posizione esistenziale costruttiva, quella del “io sono Ok, tu
sei Ok”, in cui la persona realizza una visione del mondo dove c'è posto per
sé e anche per l'altro, riconoscendone pari dignità e valore. In questa
prospettiva le persone possono sperimentare sentimenti di gioia e di
autoefficacia, portando avanti, anche collaborando, progetti di vita
significativi. Riconoscersi delle capacità e dei diritti, riconoscersi degni di
affetto e di stima e usare questa lente anche quando si guarda il prossimo,
permette alle persone di stare nel mondo dandosi la possibilità anche di
cambiarlo, o di contribuire quantomeno a cambiare, modificare, migliorare il
proprio ambito di vita. Questa posizione può essere accettata solo quando
si dispone di un numero notevole di informazioni su noi stessi e sugli altri.
Come riuscirci? Imparando a leggere e ad ascoltare i nostri stati dell’Io
(Genitore, Adulto, Bambino), mettendo da parte le svalutazioni (di sé e
dell’altro) dando voce alle valorizzazioni, alle carezze positive, perché
soltanto in questo modo potremo considerarci realmente Adulti.
Concludo
citando Berne:
“Voglio amarti senza aggrapparmi a
te,
voglio apprezzarti senza giudicarti,
voglio essere con te senza
invaderti,
invitarti senza comandare,
averti senza sensi di colpa,
criticarti senza incolparti,
aiutarti senza insultarti,
se posso avere la stessa cosa da te,
allora possiamo veramente,
incontrarci
e arricchirci reciprocamente.”
Dott. Simone Ferrazzo
Laureato in Psicologia, attualmente impegnato nel Tirocinio Formativo presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara.
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