Cerco
un'alternativa che dia una scossa alla mia normalità, l'abitudine mi soffoca
non ce la faccio più...
Mai nessuno capirà
questa è una emergenza, ho bisogno di una scarica da 9000 volt...
Io non riesco a
capire quello che mi succede, sento il cuore che batte...
Soffro di
dipendenza da una strana sostanza... io non posso star senza la mia dose di
adrenalina
Prima o poi so' che
impazzirò perché ne voglio sempre, sempre di più sono fatto per rischiare per
non accontentarmi mai...
La mia testa se ne va...
(Adrenalina,
Finley, 2008)
In ogni
essere umano vi è una spinta a cercare piacere e eccitamento praticando
attività che possono essere considerate piacevoli e prive di rischio trovando
un certo appagamento: si ascolta musica, si balla, si va alle feste, si fanno
viaggi, si va al cinema, si passa del tempo in compagnia, ecc..
Questa ricerca non
avviene allo stesso modo in tutti gli individui, né con lo stesso livello di
coinvolgimento e può modificarsi nel corso delle varie fasi della vita.
La ricerca del piacere dunque è un aspetto
fondamentale della natura umana anche quando comporta l’esposizione a notevoli
rischi.
Un esempio è dato dal provare piacere ed eccitamento attraverso la pratica
di sport estremi. Action sport (o
sport estremi), ormai praticati da migliaia di persone, sono sport di estrema difficoltà che sfidano i
limiti delle leggi fisiche e della sopportazione del corpo umano. Essi nascono
come attività ludiche e vengono definiti sport 'californiani', proprio perché nascono nella California tra gli
anni '50 e ‘60.
Per citarne alcuni: free running, paracadutismo, bungee
jumping, parapendio, freestyle motocross, rafting, hydrospeed (nuotare seguendo la corrente), immersioni, arrampicata, windsurf, skysurf (paracadutismo
acrobatico), sandboarding (simile allo snowboard ma praticato
sulle dune), rugby subacqueo, torrentismo, slackline (stare in equilibrio su una corda
sospesa in aria), heliski (sci fuori
pista), ecc…
C’è addirittura chi partecipa al “turismo estremo”,
ossia viaggi e vacanze organizzati appositamente per poter praticare uno o più
di tali sport.
Tra i temi ricorrenti di chi pratica queste attività
troviamo: bisogno di avventura, emozioni forti e fuori dall’ordinario, spinta
ad affrontare situazioni insolite e rischiose, ritorno all’essenziale, piacere,
esibizionismo, autodisciplina, forza, coraggio, ricerca di limiti da superare,
sfida dell'imprevedibilità, autoperfezionamento, sfida con la morte.
Queste persone, infatti,
hanno un continuo bisogno di emozioni forti e una necessità fisiologica di
produrre adrenalina che gli procura benessere e piacere. Sono i cosiddetti «sensation seekers», cioè «cacciatori di
emozioni», persone che regolano in questo modo lo stress e che senza queste
discipline ad alto tasso di intensità emotiva si annoierebbero.
“Adrenalina”
appunto, è il termine più diffuso in chi pratica abitualmente o abbia provato
almeno una volta questa esperienza. Infatti i dati di alcune ricerche
scientifiche hanno cercato di dimostrare che gli sport estremi hanno la
capacità di aumentare la secrezione dell'ormone,
che una volta prodotto, provoca eccitazione. In questo caso, il rilascio
di adrenalina sembra legato principalmente a due situazioni:
·
correre dei rischi (per la propria incolumità o per il proprio stato);
·
sentirsi padroni (di una situazione, di un qualcosa o di se stessi).
Generalmente il
rilascio di adrenalina è stimolato da forti emozioni, agitazione, stress, ansia
e in particolare la paura, e di solito in quelle situazioni dove è alto il
rischio per la propria incolumità. L'adrenalina fa sì che il corpo ottenga un
aumento del livello di energia disponibile, aumentando riflessi, forza,
velocità, aggressività, e diminuendo la percezione del dolore. Questo
“meccanismo” origina nel nostro primitivo istinto di sopravvivenza: in caso di
pericolo (o presunto pericolo) dobbiamo essere in grado di “lottare o fuggire
per salvarci”.
Qui la secrezione, associata al bisogno di rischiare e alla tendenza a
ricercare sensazioni estreme, attiva un’esperienza denominata “combatti o
fuggi” in grado di provocare i cosiddetti “brividi” che nelle persone che
ricercano frequentemente questo tipo di attività sono vissuti piacevolissimi:
provano un acuto senso di felicità e di completezza, sensazioni
di euforia, soddisfazione. Vi sono persone
che sviluppano forme di “tolleranza al brivido” (si abituano alla sfida
estrema) e ricercano un’ulteriore sfida per “sentire il brivido”, diventando,
così, meno capaci di valutare il rischio.
Vi sono persone che affrontano queste sfide estreme come se fossero una
sorta di “vaccino contro la paura”, una specie di ricerca di sicurezza in
situazioni incerte, vissute come un modo per superare i propri timori. Si è guidati dalla
convinzione o dalla speranza che, se si superano grandi sfide, poi si diventerà
meno intimoriti dalle prove quotidiane.
Vi sono anche coloro che tendono a rischiare in modo negativo
soddisfacendo i propri bisogni di avventura attraverso attività autodistruttive
(“ebrezza della paura”).
In queste situazioni il bisogno di ricercare il brivido si combina con
tendenze comportamentali negative, incrementato da un alterato senso della
vita: il risultato è il perseguimento della propria passione, ponendo a rischio
sé e altri.
Ma cosa succede se viene superata la
capacità massima di produzione di questo ormone?
Si possono avere effetti collaterali negativi, che entrano in gioco
subdolamente sia a livello fisico che psichico, senza che ce ne rendiamo conto
tra cui: ansia, agitazione, cefalea, vertigini, palpitazioni,
pallore e tremori, perdita di appetito, nervosismo,
irritabilità, insofferenza, tristezza, incapacità di concentrazione su altre
attività, ecc…
Tutti questi
fattori portano quindi ad una instabilità interna che ci tolgono la capacità di
interagire correttamente con l’ambiente circostante e valutarlo aumentando la
capacità di andare incontro a rischi e pericoli.
Praticare questo tipo di sport non è solo questione di esibizionismo o di
casualità, perché queste persone hanno bisogno di livelli di attivazione
fisiologica e mentale molto alti.
È una vera e propria filosofia di vita finalizzata alla ricerca del limite
ed a un bisogno innato di euforia ed esaltazione a un viaggio interiore dal
quale si esce molto cambiati.
Probabilmente
chi
pratica sport estremi è alla ricerca di se stesso e della propria identità
che può avvenire proprio attraverso il mettersi alla prova in situazioni di
limite.
Questi
comportamenti, sembrano offrire una via
d’uscita alle
insicurezze e incertezze della vita, si
cerca di sconfiggere il
senso estremo d’insoddisfazione, di vuoto e di noia
che si provano soprattutto nell’area affettiva e nella quotidianità. Si sente il
bisogno di “sentirsi vivi”,di avere un corpo e si affrontano i rischi dopo
averli esaminati, valutati e aver studiato le opportune contromisure. Il
praticante di sport estremi è consapevole di provare paura, ma sa che potrà
superarla solo riducendo il margine di rischio effettivo.
Dietro la tendenza a rischiare potrebbe
risiedere una sopravvalutazione di sé oppure una svalutazione della vita,
necessità personale di sfidare la vita, di sentirsi padroni e di controllarne
anche gli eventi più incerti.
La regola è che ognuno
deve essere libero di esprimersi come vuole per essere
sé stesso. Tuttavia se predominano le tendenze distruttive,
il rischio non calcolato e sottovalutato e le sensazioni di onnipotenza nella
sfida alle proprie capacità, può essere necessario “SFIDARSI” a volersi più bene.
Dott.ssa Loredana Longo
Laureata in Psicologia e tirocinante presso la Obiettivo Famiglia Onlus di Pescara
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