La perdita del
posto di lavoro o
il fallimento della propria attività, il proprio percorso professionale che si
è costruito e maturato nel tempo, non genera conseguenze negative solo a
livello economico. Dietro la perdita dell’occupazione si nasconde un ‘male oscuro‘
che talvolta è difficilmente ravvisabile o che spontaneamente il soggetto
coinvolto non riesce a portare alla luce. Quali sono le conseguenze a livello
emotivo e psicologico di chi si trova ad affrontare una perdita professionale,
che rappresenta una porzione fondamentale del nostro vissuto?
E' stato chiesto a Pier Giovanni
Bresciani, Presidente SIPLO, la Società Italiana
di Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione, e docente delle Università di Bologna e di Genova,
quali sono le reazioni più frequenti e i campanelli dall’allarme da non
sottovalutare, e in che modo le persone vicine possono offrire una forma di
supporto a chi ha subito la perdita del proprio lavoro.
A livello emotivo, quali sono le conseguenze generate dalla
notizia della perdita del lavoro?
L’esperienza della disoccupazione, quanto più è involontaria, inaspettata e
subìta, provoca generalmente, in chi ne è suo malgrado protagonista,
emozioni e sentimenti di grande intensità e di segno ‘negativo’, che sono
il risultato di un ‘lavoro cognitivo’ (in genere inconsapevole) che
le persone fanno in relazione a sé stesse, giungendo in qualche modo ad
attribuirsi la responsabilità principale, se non esclusiva, di ciò che è
loro accaduto: possono così manifestarsi comportamenti riferibili a scarsa
fiducia in sé stessi, ansia ed anche angoscia, a senso di colpa, vergogna.
A lungo termine quali sono le reazioni più frequenti nei
soggetti inoccupati?
Il senso di fallimento e di sconforto generale che si accompagna alla perdita
del lavoro può condurre a un progressivo vissuto di impotenza e a una
sorta di abbattimento generale, per cui diventa difficile sforzarsi di
agire o anche solo pensare di dover reagire ‘in qualche modo’: come
ha osservato già molto tempo fa il sociologo Lazarsfeld, il rischio è
quello di un atteggiamento apatico. L’esperienza della disoccupazione può
poi provocare anche comportamenti di aperto rifiuto e non accettazione,
alimentando atteggiamenti di ostilità e aggressività: in certi casi si tratta
di una strategia più o meno consapevole per ‘distogliere da sé’
il sospetto di essere il colpevole della situazione; in altri casi invece
si tratta della ‘razionale’attribuzione ad altri (le persone più vicine e
significative; le organizzazioni con cui si è in rapporto; le istituzioni
di governo e tutela) della causa della disoccupazione, e quindi delle
conseguenze negative che si stanno sperimentando.
La perdita del lavoro può provocare
anche disturbi psicosomatici o alterare lo stato di salute?
La disoccupazione, come altri eventi della vita particolarmente stressanti (life events), quanto più sia prolungata nel tempo e venga affrontata con la percezione di non disporre di adeguate risorse e di adeguato supporto, può avere un impatto pesante anche sulla salute psicofisica. Le conseguenze più frequenti riguardano fenomeni di insonnia, di mancanza di appetito, fino a e vere e proprie sindromi psicosomatiche che possono anche sfociare in patologie gastriche o cardiovascolari, magari aggravate da comportamenti quali il fumo o l’assunzione di alcool, psicofarmaci o sostanze stupefacenti. Non vanno poi sottovalutati a livello familiare, i conflitti e le crisi di coppia e nei rapporti con i figli: tali atteggiamenti sono infatti l’effetto, da un lato del peggioramento della qualità di vita del disoccupato, ma dall’altro anche del clima di insicurezza, di preoccupazione e di conflitto che chi ha perso il lavoro vive quotidianamente.
La disoccupazione, come altri eventi della vita particolarmente stressanti (life events), quanto più sia prolungata nel tempo e venga affrontata con la percezione di non disporre di adeguate risorse e di adeguato supporto, può avere un impatto pesante anche sulla salute psicofisica. Le conseguenze più frequenti riguardano fenomeni di insonnia, di mancanza di appetito, fino a e vere e proprie sindromi psicosomatiche che possono anche sfociare in patologie gastriche o cardiovascolari, magari aggravate da comportamenti quali il fumo o l’assunzione di alcool, psicofarmaci o sostanze stupefacenti. Non vanno poi sottovalutati a livello familiare, i conflitti e le crisi di coppia e nei rapporti con i figli: tali atteggiamenti sono infatti l’effetto, da un lato del peggioramento della qualità di vita del disoccupato, ma dall’altro anche del clima di insicurezza, di preoccupazione e di conflitto che chi ha perso il lavoro vive quotidianamente.
Come possono intervenire le persone vicine al soggetto
disoccupato?
Sono due i ‘circoli viziosi’ pericolosi e da evitare per chi perde il lavoro:
da un lato quello ‘tutto interno’ auto-colpevolizzante, fatto di ‘ruminazione’
sulle proprie responsabilità, sfiducia in sé e negli altri, vergogna,
isolamento sociale e chiusura relazionale, apatìa, mancanza di progettualità e
di iniziativa, incapacità di ‘pensare il futuro’; e dall’altro, all’opposto,
quello ‘tutto esterno’ deresponsabilizzante, fatto di ricerca di un capro
espiatorio, lamentazioni continue, accuse e conflitti permanenti. Il
compito delle persone vicine, dalla famiglia agli amici, riguarda proprio queste
aree di intervento: dalla ricostruzione della fiducia in sé stessi,
all’offrire luoghi di ‘rielaborazione’ e di ‘contenimento’
dell’esperienza, far si che il disoccupato riconosca il problema della
disoccupazione senza negarlo, ma anzi condividendolo con altri che vivono lo
stesso tipo di esperienza. E’ importante stimolare il soggetti a
mantenersi informato sulle opportunità di lavoro fruibili, oltre che ad
utilizzare tutte le risorse professionali e socio-istituzionali disponibili, ma
anche intraprendere corsi d’azione che consentano di ricostruire e valorizzare
le proprie esperienze, competenze e risorse.
Fonte: infoiva.com
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