In attesa di un bambino "imperfetto"
Nella
società moderna ogni famiglia, intesa come “organizzazione di persone in
continuo cambiamento e crescita”, è impegnata a portare a termine diversi compiti
di sviluppo nel corso del suo ciclo di vitale. Essa attraversa una successione
di quattro fasi, delimitate da alcuni eventi critici, che introducono, significative
trasformazioni di ordine strutturale, relazionale, psicologico e organizzativo.
Dal
momento iniziale in cui viene a crearsi la nuova coppia, si entra nella fase di
procreazione in cui si assiste alla crescita dei figli fino allo svincolo;
l’ultima fase è detta dell’invecchiamento con la conseguente morte di uno dei
coniugi. È risaputo che alla nascita di un figlio sono connesse profonde
aspettative di gratificazione personale e sociale. Se il figlio nasce con un handicap,
l’evento si trasforma in angosciante e luttuoso. È dalla seconda fase quindi che
si evidenziano le maggiori problematiche interne alla famiglia: il bambino nato
non corrisponde a quell’ideale che si attendeva, mentre il figlio portatore di
handicap realizza i fantasmi del bambino
“anormale”, presente nell’immaginario di tutte le donne incinte.
La
famiglia in cui vive un bambino disabile è una famiglia a rischio: sono state
rilevate alte percentuali di separazioni, di distacco dalla vita attiva e di
relazione, sono frequenti depressioni della madre e pressoché costanti situazioni
di nevrosi e di disadattamento dei fratelli. Ogni famiglia è però costretta al conformismo e
deve fare riferimento ossessivamente ai ruoli e alle tappe evolutive che la nostra
cultura definisce per il bambino normodotato, ma molti indici di normalità
cadono drammaticamente.
Le
famiglie con un bambino disabile (evento imprevedibile e non scelto),
cominciano a differenziarsi dalle altre a partire dalla nascita del figlio
includendo problemi di accettazione, percezione dell’handicap, compiti di cura,
riorganizzazione della coppia.
Il suo
trauma, che condiziona tutti i rapporti successivi, è costituito anche dalla
modalità con cui la famiglia viene informata e prende conoscenza dell’handicap
del figlio. La scoperta può essere immediata o tardiva ma quasi sempre avviene
nella solitudine dei genitori senza un appoggio medico-psicologico che dia
consapevolezza sui deficit e sulle possibilità di recupero. La carenza e la
distorsione delle notizie rende difficile soprattutto l’intervento attivo dei
familiari nel processo della riabilitazione, il cui fallimento costituirà una
permanente diffidenza per gli ulteriori interventi educativi, riabilitativi e
di socializzazione nei confronti del figlio.
Pertanto
un concreto intervento di supporto psicologico sarebbe auspicabile sin dai
primi momenti in cui si viene a conoscenza di un eventuale handicap del nascituro,
con il fine di far emergere, in tutti i membri della famiglia, le risorse necessarie
per condurre una vita il più regolare possibile.
Dott.ssa Ivana Siena
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