ASILO
SI O ASILO NO: I MESSAGGI DI DISAGIO MANDATI DAI BAMBINI
L’asilo è un servizio educativo che ha una funzione sociale,
finalizzato a favorire la promozione del benessere fisico del bambino. Gli
asili offrono al bambino degli stimoli che favoriscono la sua crescita e
sviluppo, sperimenta la condivisione di giochi, spazi, esperienze con i
coetanei, è un posto in cui il bambino si confronta con tempi precisi e
condivisi. La frequenza dell’asilo favorisce lo sviluppo della personalità del
bambino, e ne promuove l’autonomia e la socializzazione. Si tratta di un contesto
socio-educativo in cui i bambini fanno delle esperienze formative (punto di
vista didattico e vita personale).
L’ingresso al nido prevede due fasi l’accoglienza e
l’inserimento.
Accogliere un bambino al nido significa trovare delle
strategie di rapporto tra nido e famiglia, modulare la separazione del bambino
dal proprio ambiente, mantenere una continuità con l’esperienza maturata nel
suo ambiente di vita naturale. Gli aspetti psicologici sono: ansia del genitore
rispetto alla nuova esperienza, difficoltà del bambino a causa di ansia da
separazione e tensione che potrebbe avvertire dai genitori, ansia
dell’educatore rispetto al coinvolgimento emotivo richiesto.
La fase dell’inserimento rappresenta la fase iniziale in cui
il bambino esprime il suo disagio all’interno dell’asilo nido (solo in alcuni
casi), lancia un messaggio per far capire che non riesce ad inserirsi
all’interno del nido, esistono vari sintomi per manifestare questo disagio.
E’ un evento psicologico e pedagogico centrale nella pratica
educativa. I genitori nell’evento separazione sono attraversati da emozioni
intense, dolorose, complesse e ambivalenti.
L’inserimento presuppone una particolare attenzione e consapevolezza
dell’importanza e del ruolo della “relazione primaria” per la qualità dell’esperienza
emotiva del bambino e per la strutturazione della sua identità, del suo
pensiero, della sua mente. (Bowlby, 1972).
La fase dell’inserimento dura dalle due alle tre settimane,
(questo a seconda dell’asilo che il genitore sceglie), giorno dopo giorno si
potrebbero notare le trasformazioni comportamentali adottate dal bambino
nell’asilo. All’inizio nella maggior parte dei casi, secondo me, i bambini
manifestano dei comportamenti negativi che con il passare del tempo potrebbero
diventare positivi, pochi bambini potrebbero iniziare in modo positivo e
portare a termine il percorso in tutta serenità. Questo processo coinvolge
direttamente gli adulti che stanno intorno al bambino, comprese le educatrici,
il processo richiede la partecipazione attiva e armonica degli adulti
all’interno di un sistema organizzato di spazi, tempi e situazioni.
Il primo giorno il bambino e la mamma si trattengono per
circa mezzora all’interno dell’asilo: a volte basta far entrare il bambino
nella stanza dei giochi per distrarlo e inserirlo subito e senza traumi, altre
volte il distacco dalla mamma richiederà un po’ più di tempo e sarà necessario
un inserimento graduale che dura per più giorni.
Il secondo giorno le mamme aspettano fuori dalla stanza,
tenendo sempre sott’occhio il bambino in caso di pianto e ricerca disperata
della figura materna, questo per permettere al bambino di scoprire il nuovo
ambiente e fare conoscenza con i nuovi amici e le educatrici.
Dal terzo giorno in poi la mamma può allontanarsi, se il
bambino è sereno, ma deve garantire la reperibilità. Il bambino si trattiene
per tre ore, i genitori per affrontare il distacco si devono mostrare
tranquilli per trasmettere al bambino un sentimento di sicurezza.
E’ necessaria collaborazione e fiducia tra genitori e
insegnanti, se viene a mancare questa sicurezza nel bambino si crea confusione,
paura, e la permanenza al nido diventa fonte di sofferenza. Alcuni genitori vivono
un senso di colpa nel lasciare il bambino al nido, ma se questo senso di colpa
viene percepito dal bambino alimenta e conferma la sua paura di abbandono. E’
importante la presenza costante dei genitori all’uscita dal nido, perché il
bambino non viva un sentimento di abbandono, questa presenza costante da al
bambino la sicurezza del distacco. Bisogna salutare sempre il bambino prima di
uscire dall’asilo in modo che lui si abitua al fatto che la mamma va via ma che
poi torna a riprenderlo, è opportuno confortarlo verbalmente. I genitori non
dovrebbero sostare troppo all’interno dell’asilo dopo aver consegnato il
bambino perché questo potrebbe provocare in lui una nuova crisi. Una crisi di
pianto forte è normale che ci sia nel momento del distacco, in tutti i periodi
di interruzione della frequenza. La crisi dell’inserimento può anche non
manifestarsi subito, ma anche dopo alcuni mesi. La frustrazione del distacco è
positiva perché serve al bambino per crescere, bisogna dimostrarsi sereni di
fronte al bambino che piange perché avverte le emozioni dei genitori, se loro
sono tranquilli, il bambino lo sente e si tranquillizza. Non bisogna introdurre
nuovi cambiamenti nella vita del bambino durante l’inserimento: il ciuccio può
servire a consolare il bambino, non togliere il pannolino e il seno perché
l’allattamento rappresenta la possibilità di ristabilire un contatto con la
mamma, è anche un modo per tranquillizzarsi e scaricare lo stress del distacco.
Se il bambino ha un oggetto preferito (cuscino, copertina, peluche, giocattolo,
etc.) che porta sempre con sé o che richiede più volte al giorno perché ha il
potere di tranquillizzarlo (oggetto transazionale) portatelo al
nido.
Nella maggior parte dei casi si manifestano al nido
d’infanzia dei segni più comuni di disagio. Il disagio infantile può
presentarsi in diverse situazioni e momenti della vita del nido: si può
realizzare nel momento dell’entrata o dell’uscita dall’asilo, nel momento delle
attività, della routine quotidiana, durante il gioco libero. I segni di disagio
vengono suddivisi in base alle situazioni in cui si generano:
- i primi avvengono durante i momenti istituzionali, queste
situazioni determinano difficoltà da parte dei bambini e dei genitori nella
separazione, soprattutto se il processo d’attaccamento tra genitore e figlio è
molto forte, questo genera nel bambino modalità per esprimere, nascondere o
negare la propria sofferenza;
- difficoltà di separazione dai familiari e di entrata
all’asilo al nido: è un momento difficile per il bambino e per la famiglia,
rappresenta il primo distacco ufficiale dal proprio nido familiare per poter
partecipare alla vita sociale che lo circonda, composta da adulti e coetanei.
Nel primo periodo i bambini provano dispiacere e tristezza nel separarsi dai
propri genitori, ma questo si identifica come un reale disagio nel momento in
cui il bambino dopo un tempo molto prolungato dalla separazione continua a
piangere e restare tra le braccia dell’educatrice opponendosi completamente
allo svolgimento delle attività proposte, nel caso in cui l’educatrice non
riesce a consolarlo e le sue proposte di gioco non vengono minimamente
accettate allora si parla di reale disagio da distacco parentale;
- attraversamento iperattivo o blocco motorio: nel primo il
bambino si precipita dentro lo spazio del nido schizzando in giro con il
rischio di farsi male o di fare male a qualcuno, questo comportamento
rappresenta un forte disagio legato alla elaborazione psichica della
separazione, sembrerebbe che il movimento, lo spazio e il corpo nel loro
iperinvestimento abbiano lo scopo di negare la sofferenza più che di attualizzarla
e incarnarla. Si tratta di un meccanismo di difesa, è il classico darsi da fare
per mascherare l’incapacità di stare all’interno di un certo contesto,
contenente determinate regole, o per nascondere una difficoltà o il risultato
di un trauma subito in passato (ad esempio aver subito un abuso, potrebbe aver
vissuto sin dalla nascita all’interno di un istituto magari lontano dalla
madre, etc.). Il blocco motorio, rappresenta la reazione opposta, in questo
caso il bambino reagisce alla separazione dai caregivers familiari
attraverso un blocco fisico per non sentire alcun dolore. Il bambino/a resta
immobile, bloccato/a nel corpo o nell’espressione finché qualcuno non si occupa
di lui o di lei;
- rifiuto del cibo: non si tratta di inappetenza o difficoltà
nel mangiare autonomamente, in questo caso s’intende un rifiuto evidente,
totale e sofferto dell’atto del mangiare in sé. L’educatrice non deve agitarsi
di fronte al rifiuto del bambino, perché il rifiuto non riguarda lui a livello
personale, ma il ruolo professionale che riveste. Utilizzando le sue difese
istituzionali il nido dovrà fare da schermo all’invasione di tali ansie, in
modo che il piccolo possa, attraverso la presenza dell’insegnante, sperimentare
delle modalità relazionali diverse durante il pasto;
- difficoltà nell’utilizzo del bagno:
con questo non s’intende l’eventuale ritardo riguardo all’autonomia del
controllo sfinterico, anche perché all’asilo nido i bambini portano ancora il
pannolino, ma ai momenti di sofferenza, angoscia o paura che alcuni bambini
possono manifestare al momento della defecazione. Le ragioni di questa crisi
d’angoscia possono avere origini diverse, ad esempio la conseguenza di dolore
provocato dai momenti di stitichezza, i quali sono aggravati dalla paura con la
complicazione relazionale quando la madre è costretta a manovre invasive. Sono
momenti che vanno osservati con attenzione perché rappresentano le basi
strutturali dell’autonomia del bambino. L’educatrice potrebbe intervenire con
il gioco utilizzandolo come uno strumento utile per allontanare il disagio
fisiologico;
- ricongiungimento molto difficoltoso:
nel momento di conclusione della giornata al nido vi è il ricongiungimento, a
volte questo ritrovo non avviene nei migliori dei modi. Il bambino non si precipita
subito tra le braccia del genitore, manifestando fastidio e indifferenza.
Questo avviene perché il piccolo ha difficoltà nel riconoscere
contemporaneamente due figure di attaccamento, dopo molto tempo trascorso al
nido automatizza l’educatrice come punto di riferimento quindi nel momento del
ricongiungimento ha difficoltà nel riconoscere la figura della madre come
primaria.
Altre tipologie di disagio si manifestano nel momento delle attività
proposte dalle educatrici.
- rifiuto della consegna: la negazione
del bambino rispetto a una consegna proposta dall’educatrice riguarda il
rifiuto del bambino nei confronti della relazione con l’adulto; equivale ad un
no al legame che si realizza attraverso la consegna didattica. I più piccoli
utilizzano questo rifiuto come strategia contraria: restare con l’adulto e non
allontanarsi da esso. In questo caso è vivo nel bambino il timore di
allontanarsi dal suo caregivers per
eseguire l’attività e rischiare di perdere il suo punto di riferimento. A volte
questi comportamenti sono momentanei e transitori;
Gli ultimi disagi riguardano i momenti
liberi nei quali la presenza dell’educatrice è più distante e la natura
dell’autonomia del bambino è più viva. Il livello e la qualità del gioco libero
rivelano quanto il bambino è autonomo o quanto invece è perso perché non più
contenuto dalla presenza organizzante dell’adulto. Il bambino che si perde
all’interno del gioco è un bambino che inevitabilmente possiede un disagio;
- gioco disorganizzato: riguarda tutte
le difficoltà che derivano dalla perdita di senso del gioco iniziato. La
perdita di senso può dipendere da tanti fattori, sia di tipo emotivo (eccesso
di emozioni) sia di tipo evolutivo (garantire al gioco un senso logico). La
strategia più utilizzata è quella d’aiuto, che implica una vicinanza
dell’adulto al gioco del bambino, con l’obiettivo di far ritrovare ad esso la
capacità di giocare liberamente senza intoppi;
- inibizioni: è un blocco che impedisce
al bambino di giocare o svolgere qualsiasi altro tipo di attività, questa
inibizione può essere determinata da
cause diverse che intaccano l’interdizione di diverse forme espressive
come la parola o il movimento. Spesso l’adulto utilizza la strategia del tifoso
che incoraggia, ma nei casi di reale disagio questo comportamento può essere
controproducente (il bambino si sente al centro della situazione e ha un blocco
ancora più evidente).
La strategia d’aiuto deve concentrarsi sulla capacità
dell’adulto di offrire al bambino ciò di cui ha bisogno tramite l’offerta di atti
psichici positivi: per atti psichici positivi si intendono tutti quegli
atti pratici (emozioni, azioni, parole, movimenti, oggetti, organizzazioni spazio-temporali)
che hanno il potere di rimettere in moto i meccanismi del gioco che risultano
bloccati.
Dott.ssa Sara Drudi
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