RIFLESSIONI
SULLA PAURA: intervista alla dott.ssa Anna Oliverio Ferraris
Che cos'è la
paura? La paura è un'emozione che appartiene all'uomo, ma anche ad altri
animali. È come un campanello d'allarme, una reazione dinanzi ad un pericolo,
ma, a differenza degli animali, per l'uomo la paura riveste un valore
ambivalente, oscilla tra istinto ed elaborazione culturale e si colloca nel
cuore della nostra vita psichica divenendo un determinante fattore di crescita
o d'involuzione. Basta osservare le diverse espressioni che utilizziamo per
parlare della paura: paura di crescere, paura di amare, paura del futuro, paura
del nulla, paura del prossimo, paura di noi stessi. Allora che ruolo gioca la
paura nella sfera psichica individuale. Attraverso quali dinamiche psichiche
l'individuo affronta, controlla, rielabora o subisce la paura? Quando e secondo
quali modalità essa sconfina nella patologia? Come possiamo imparare a non
avere paura della paura?
La paura fa
parte della nostra vita quotidiana, ma quando e perché oltrepassa i suoi limiti
e diviene patologia?
OLIVERIO
FERRARIS: La paura è una delle emozioni fondamentali con cui noi nasciamo e
che, come ogni emozione, ci serve per strutturare il nostro mondo, la nostra
vita. Chi dice di non avere paura è semplicemente un incosciente, perché corre
moltissimi rischi. Però non bisogna lasciare che essa superi certi limiti e che
diventi invasiva, perché la si contrasta individuando i modi per fronteggiarla.
Se noi pensiamo di poter avere un controllo su certe situazioni, la paura
diminuisce lasciando spazio alla razionalità che interviene per trovare i modi
di soluzione. Invece in certe situazioni la paura finisce per essere terrore,
soprattutto quando pensiamo di non avere vie d'uscita. È importante dunque che
si impari fin da piccoli a valutare i modi per fronteggiarla, che sono tanti e
diversi. Quando un bambino è molto piccolo si affida alle sue figure di
attaccamento. Poi man mano che cresce deve imparare a contare su sé stesso.
Qual è il
confine tra paura istintiva e paura culturale?
OLIVERIO
FERRARIS: La paura è sempre istintiva, poi si colora in base a fattori
culturali. Naturalmente ogni epoca ha le sue paure. Nel Medioevo c'era la paura
della peste nera verso cui la gente si sentiva completamente esposta, priva di
difese. Oggi invece abbiamo paure diverse: la bomba atomica, il terrorismo, le
armi biologiche. Ecco, tutto quello che sfugge al nostro controllo genera paura
ed alcune paure sono più diffuse di altre proprio per la sensazione di non
poter controllarle.
OLIVERIO
FERRARIS: In realtà tutte le paure originano da quella paura fondamentale,
dalla consapevolezza che noi siamo persone finite e che un giorno moriremo.
Questo è l'elemento irrisolvibile che crea tutte le altre paure. La soluzione
consiste nel rassegnarci all’idea di doverci preparare a questo evento ultimo,
accettando la propria condizione di esseri che nascono e che muoiono. Dobbiamo
proiettarci in un sistema più vasto, perché noi facciamo parte del genere
umano. Dovremmo mantenere un pizzico di quel senso di onnipotenza che
appartiene ai bambini nei primi anni di vita. Un bambino pensa di non morire,
pensa che muoiano gli altri, poi, man mano, si rende conto che anche per lui la
morte è inevitabile.
In che modo il
singolo individuo esorcizza le proprie paure?
OLIVERIO
FERRARIS: Non c'è un modo particolare. Molto dipende dall'età, dall'esperienza
e anche dalle caratteristiche individuali. C'è chi si rifiuta di pensarci, chi
invece la sfida continuamente per sondare i suoi limiti; è il caso di chi
pratica discipline sportive che spingono l’individuo al limite del possibile.
Ecco, c’è chi affronta il rischio per vedere quanto egli sia è forte e quanto
possa osare. Poi ci sono altri modi basati sulla razionalità, sulla strategia.
Per esempio nella storia antica vi è una differenza tra il coraggio fisico di
Achille e quello razionale di Ulisse. Quest’ultimo, quando si trova nella
grotta di Poliremo, accetta che il ciclope mangi alcuni dei suoi compagni,
senza lasciarsi prendere dal panico, perché egli ha una sua strategia. Così
come ci sono tante forme di paura, ci sono altrettante forme di coraggio. È
necessario che la paura sfoci nel coraggio, che non è incoscienza, perché il
coraggio è qualcosa di calcolato e non sempre si manifesta nello stesso modo.
Di volta in volta, valutando la situazione, si può attuare una forma di
coraggio che consista nel prendere immediatamente un’iniziativa, così come
invece richieda la capacità di saper aspettare il momento giusto per reagire.
OLIVERIO
FERRARIS: La paura è molto contagiosa, perché noi siamo degli animali gregari
che vivono in gruppo e se qualcuno individua una minaccia, la trasmette agli
altri attraverso segnali specifici. Scatta l’allarme che, spesso, anziché
venire elaborato al fine di trovare una soluzione adeguata per fronteggiarlo,
si trasforma in panico incontrollabile. In caso di incendio all'interno di uno
spazio dove siano radunate moltissime persone, come uno stadio, una sala
cinematografica o un teatro, coloro che si trovano in prossimità delle uscita
di sicurezza si precipitano fuori, mettendo in agitazione coloro che invece
sono collocati più in dietro. Se in questi casi ci si limita alla reazione
istintiva, allora assistiamo alla tragedia di chi viene calpestato, di chi
viene colto da malore, e così via, se, invece, pensiamo alla strategia
migliore, che è quella di aspettare che i primi escano rapidamente dalla sala e
che gli altri aspettino qualche secondo, la tragedia sarebbe evitata. Ma questi
comportamenti debbono essere insegnati. È per questo che, in alcuni locali,
vengono effettuati delle simulazioni di crisi, per poter sondare il modo
migliore per consentire l’evacuazione dell’edificio senza che vi siano danni
alle persone.
Noi sappiamo
che condividere le paure con altri ci aiuta a superarle. Quindi condividere la
paura è un bene?
OLIVERIO
FERRARIS: Si. Raccontarsi le paure spesso significa esorcizzarle. Esistono
delle paure che, per alcune persone, non hanno alcuna soluzione e la
disperazione di fronte a questa consapevolezza spesso può venire alleviata, se
non addirittura rimossa, dalla condivisione con gli altri della paura stessa. È
quanto è accaduto nei campi di concentramento, dai quali non c’era via
d'uscita, ma la possibilità di stare insieme agli altri aiutava nei momenti
critici.
Molte persone,
per paura di affrontare la realtà, si adeguano ad essa. Secondo Lei, questo
conformismo, deriva dalla paura di essere sé stessi?
OLIVERIO
FERRARIS: Si. Ci sono persone che preferiscono adeguarsi, conformarsi al gruppo
piuttosto che esporsi a sostenere una tesi non condivisa dalla collettività.
Questo perché l’idea di rimanere soli aumenta il livello di paura e di ansia.
Soltanto chi è sicuro di sé ha il coraggio di portare avanti un’idea che
ritiene giusta. Ecco perché il coraggio è qualcosa che si costruisce nel corso
di tutta la vita a partire dai primi anni; esso è indispensabile per la
costruzione della stima di sé. Due persone che hanno vissuto le stesse
situazioni difficili di vita, potrebbero averle vissute in maniera
completamente diversa e, in genere, le vive meglio chi ha dei punti di
riferimento, chi al di fuori sa di avere degli amici che contano su di lui, chi
ha una notevole stima di sé, chi ha una visione abbastanza ottimistica nella
vita per cui pensa che le difficoltà, per quanto gravi, possano essere
superate. Chi invece non è riuscito nel corso della vita a maturare una
personalità tale, allora pensa di non poter fare nulla in prima persona, perché
secondo lui è l'ambiente che decide e che regola la vita degli individui.
Quindi c'è
bisogno sempre e comunque dell'appoggio di un'altra persona?
OLIVERIO
FERRARIS: In effetti chiunque dovrebbe avere sufficiente sicurezza in sé stesso
per riuscire a fronteggiare le difficoltà da solo pur sapendo che da qualche
parte ci sono delle persone che la pensano come lui. Crescendo l’individuo
interiorizza una serie di sicurezze e di conoscenze della realtà, tali da
spingerlo all’elaborazione di strategie di comportamento valide.
Lei nel Suo libro ha scritto che le donne
tendono a manifestare la paura più degli uomini. Perché accade questo e come
cambiano le paure dall'uomo alla donna?
OLIVERIO
FERRARIS: Si, per una questione in gran parte di tipo culturale. Mentre la
donna, fin da bambina, può manifestare le proprie paure senza che scattino, da
parte del gruppo, meccanismi inibitori, lo stesso non si può dire per il
maschio che deve invece celare le proprie paure, viverle e risolverle in
silenzio perché questo è indice di forza.
Ciò nonostante non significa che gli uomini non vivano delle emozioni; hanno soltanto imparato a non manifestarle, perché questo sarebbe una prova di debolezza. In questo senso direi che le donne sono più avvantaggiate perché, oltre che poter esprimere le proprie emozioni liberamente, possono parlarne liberamente per superarle.
Ciò nonostante non significa che gli uomini non vivano delle emozioni; hanno soltanto imparato a non manifestarle, perché questo sarebbe una prova di debolezza. In questo senso direi che le donne sono più avvantaggiate perché, oltre che poter esprimere le proprie emozioni liberamente, possono parlarne liberamente per superarle.
OLIVERIO FERRARIS:
Si. È il caso di chi, trovandosi di fronte ad una situazione complessa, non ha
elementi per risolverla, perché sin da piccolo non gli sono stati insegnati
dagli educatori. Ecco, che, subentrano allora le superstizioni. Malinowski, a
proposito di una popolazione di pescatori, racconta che quando essi andavano a
pescare in laguna adottavano appropriate tecniche di pesca, mentre, prima di
andare in alto mare, facevano dei riti magici. Questo accadeva perché non
avevano una tecnica in grado di fronteggiare quel tipo di ambiente e dunque
contavano sul fato, sulla superstizione. È qui che gioca l’ignoranza.
Secondo Moravia
la coscienza è paura, l'incoscienza è coraggio. Lei è d'accordo con questa
affermazione?
OLIVERIO
FERRARIS: No. Non sono d'accordo. A mio avviso l'incosciente non è coraggioso,
ma una persona che non vede il pericolo e per questo rischia molto. Potrebbe
anche andargli bene, ma allora, anziché contare sulla ricerca della soluzione
di quel pericolo, si affida alla fortuna che, però, non sempre è dalla nostra
parte.
Si può dire che per l'individuo, crescendo, la paura diventi sempre più
astratta? Per esempio il bambino, quando è piccolo, ha paura del fuoco perché
sa che, se si avvicina, si scotterà, quindi sentirà dolore. L’adulto invece ha
paura del suo futuro?
OLIVERIO
FERRARIS: In un certo senso è così. Ogni età ha le sue paure. Il neonato alla
nascita ha paura dei rumori forti, del dolore, ma non del buio, perché viene da
un luogo buio. Avrà paura del buio intorno ai due, tre anni, perché si sarà
abituato alla differenza luce/buio, dunque capirà che al buio ha un minore
controllo della realtà. Quindi ha la paura non del buio, ma nel buio. Un
bambino di due o tre anni non ha ancora paura dei mostri, perché non ha abbastanza
fantasia per rappresentarseli, mentre un bambino di quattro o cinque anni
incomincia già a avere paura dei fantasmi, dell'uomo nero e così via. A quattro
o cinque anni incomincia a sentire parlare di morte e comincia a farsene una
prima idea, soprattutto in caso di morte di una persona che lui conosce o anche
di un animale a lui caro. A sette o otto anni può cominciare ad avere paura
degli incidenti, dei ladri, oppure delle punizioni. Un adolescente invece
sviluppa paure inerenti al suo rapporto con gli altri. Egli deve essere più
autonomo, deve fronteggiare tutta una serie di situazioni sociali, spesso ha
paura di fare una brutta figura in determinate occasioni. Si tratta di paure
sociali per un ambiente che ancora non controlla bene, perché anche in questo
ambito bisogna acquisire delle competenze. E man mano che si va avanti si
impara. Più si conosce, in genere, più la paura diminuisce. Maggiore è la
conoscenza e minore è la paura. L’esperienza insegna, anche se talvolta è
traumatizzante. Prendiamo il caso di un individuo che ha assistito ad una
rapina. È probabile che egli sviluppi un trauma per rimuovere il quale si
debbano mettere in atto alcune tecniche specifiche. Perché questa è un'altra
caratteristica della paura: più si lascia passare il tempo, più c'è il rischio
che s'ingigantisca a causa della nostra immaginazione. È questo che ci
differenzia dagli animali, perché mentre loro vivono nel presente rispondendo
istintivamente a uno stimolo, noi, in più, abbiamo la capacità di rielaborare
mentalmente le esperienze, di collegarle tra loro o, come nell’esempio, di
ingigantire un problema.
Il filosofo
Heidegger dice che l'angoscia è la disposizione fondamentale che ci mette di
fronte al nulla. Secondo Lei qual'è la differenza tra angoscia e paura?
OLIVERIO
FERRARIS: L’angoscia è qualcosa di molto diffuso che dipende dalle paure di
natura esistenziale. Per esempio, se io ho paura dell’aereo usufruirò, per
viaggiare, di un altro mezzo di trasporto, se ho paura dei luoghi chiusi o
troppo affollati, preferirò quelli all’aria aperta. Queste sono strategie.
Però, se, la paura è nella mia psiche, come la paura costante della morte e del
pericolo in generale, allora è incontrollabile e, per questo, nessuna strategia
sarà in grado di eluderla. L’unica via d’uscita potrebbe essere quella di
convogliare questo tipo di paure su un unico aspetto dell'esistenza, in modo da
poterlo controllare e quindi risolverle.
Vedere
rappresentata in televisione la paura della morte può avere su di noi un
effetto catartico oppure no?
OLIVERIO
FERRARIS: Spesso la rappresentazione cinematografica e anche teatrale della
paura serve a far uscire fuori le nostre, a liberarcene. Se le paure sono lì,
non sono dentro di me. Dipende dalla capacità dell’artista di renderla
catartica. In genere tutti questi film sulla paura, questi film horror,
vogliono avere un po' questa funzione. Una persona si specchia nelle proprie
paure, però intanto è seduto in una poltrona, sa che non gli può succedere
niente, poi esce e si libera. Purché la rappresentazione di queste paure non
sia eccessiva e con dei tagli terrificanti, altrimenti alcune persone
potrebbero rimanere traumatizzate o addirittura praticarla per sortirne gli
effetti in prima persona. È sempre una questione di misura. Per questo, dicevo,
dipende dalla capacità del regista.
La psicoterapia
cerca di aiutare l'individuo a superare le proprie paure, ma con quali metodi?
OLIVERIO
FERRARIS: Ci sono vari metodi. Intanto bisogna vedere se è una paura localizzata
e superficiale, legata a un trauma specifico oppure se è una paura di tipo
esistenziale, più profonda. Nel caso in cui si cada da cavallo e si abbia paura
di rimontare in sella, la terapia è abbastanza facile, perché ci si riavvicina
al cavallo, con cautela, senza però lasciar passare troppo tempo. Se invece,
dietro a quella paura, che sembra specifica, c'è un problema esistenziale,
un'insicurezza di fondo, una mancanza di autostima, allora si ha a che fare con
un problema più grave e dunque la terapia psicologica consisterà nel risalire
all’origine di questo stato di crisi.
Nessun commento:
Posta un commento