“Non preoccupatevi - ha detto attraverso organi di stampa il
portavoce della Nasa Dwayne Brown - il 21
dicembre sarà un giorno come gli altri”. Tutti i più grandi scienziati
hanno rilasciato dichiarazioni per tranquillizzare le popolazioni di tutto il
mondo sul tema “fine del mondo”, eppure quella del popolo Maya resterà la più
grande beffa di tutti i tempi a livello mondiale.
Alcuni scettici hanno deciso di
fare di questo atteso evento un momento di giovamento per la comunità di
appartenenza; in molte città americane, hotel e ristoranti hanno programmato
serate a tema, sono state organizzate mostre d’arte con quadri e sculture sul
giudizio universale, spettacoli teatrali, cene con menù dedicati ai
sopravvissuti, anche in forma gratuita.
I furbi a caccia di business, invece, hanno
ideato kit di sopravvivenza che contenevano grano saraceno da seminare, una
scatoletta di pesce, candele, fiammiferi, penna e blocnotes, una fune e una
bottiglia di vodka. I superstiziosi e gli apocalittici li hanno comprati.
Da sempre la fine del mondo appartiene alla letteratura popolare ma
quest’ennesima, definitiva catastrofe globale si è trasformata in “psicopatologia
della fine”. Una psicosi collettiva che ha visto la corsa alla costruzione o
acquisto di bunker ed a riempire le cantine di scorte di cibo, mentre in
televisione imperavano maratone cinematografiche sull’immaginario catastrofista.
Da non dimenticare inoltre le varie mete geografiche, Cile, e più vicino a noi
la Maiella e Cisternino in Puglia, dove si sono registrate numerose vendite immobiliari e
gli alberghi hanno fatto il sold out, in quanto luoghi che sarebbero stati
risparmiati dalla furia del cataclisma. Un altro paese sacro, nel sud della Francia,
è stato isolato su tutto il perimetro dal traffico aereo per evitare che la
gente si lanciasse sulla città con il paracadute.
Ma cosa si cela dietro questa sproporzionata paura della fine? La paura è una intensa emozione derivata dalla
percezione di un pericolo, reale o supposto: essa è una delle emozioni primarie, comune sia alla
specie umana, sia a molte specie animali.
Il senso di morte, di cui ogni persona prende consapevolezza nella
tarda infanzia, ha origine proprio da questa paura primaria, resta nell’ombra e
riaffiora ogni qual volta l’imprevedibilità della natura si manifesta
ricordando all’uomo la sua impotenza.
L’angoscia scaturita dalle catastrofi annunciate non è rappresentata
soltanto dalla paura di morte e al pensiero di perdere i propri cari, ma racchiude
in sé l’idea che gioie e sofferenze, sperimentate fino a quel momento, siano
state vissute invano, mettendo in crisi l’essenza stessa della vita. L’istinto
di conservazione prevale e fa scattare la frenetica ricerca di un luogo sicuro,
un posto che ricordi il grembo materno, uno schermo protettivo dal pericoloso mondo
esterno, che agevoli l’illusione di continuare ad “esistere” nonostante l’incertezza
circostante. Questo pensiero è talmente radicato da sovrastare persino le più
nefaste fantasie sulle difficoltà legate ad un’eventuale ricostruzione del
mondo da parte dei sopravvissuti.
Oltre 200 profezie catastrofiche sono state individuate dagli
scienziati, la maggior parte di queste è stata identificata per data e orario
precisi. L’avvicinarsi di una scadenza così definita provoca inevitabilmente l’innalzamento
dei livelli di ansia che si propagano velocemente attraverso vari veicoli, a
partire dall'azione dei media fino al passaparola quotidiano, creando l’allarmismo
di massa.
C’è però un altro aspetto che vorrei considerare, che riguarda un
riscontro diretto avuto nelle conversazioni legate al 21 dicembre 2012. Una frase
è stata ridondante e, a mio avviso, significativa perché collocata nel nostro
contesto culturale e in questo momento storico dell’Italia: “Speriamo che arrivi davvero la fine, perché non
si può più vivere così”. Una nota depressiva, di rassegnazione e di
sfinimento morale accompagna queste parole. Tuttavia mi piace pensare ad un’altra
interpretazione, più positiva, che vede sì una malinconia di fondo legata al
bilancio tipico della fine di ogni anno, ma che si accompagna alla speranza di
un nuovo inizio, propositivo il più possibile.
Si può pensare quindi che la
profezia Maya sia stata un modo per fermarsi e ri-focalizzarsi su se stessi e
sulle cose davvero importanti della propria vita? Potrebbe essere stato uno
strumento per immaginare di poter fermare il mondo e ritrovare, nel silenzio
che segue, il proprio equilibrio?
Venerdì 21 dicembre 2012 qualcosa però è successo: molti genitori
sono rimasti a casa trovando a tutti i costi il tempo per i loro figli, molte
altre persone hanno pronunciato un ti voglio bene a chi non lo dicevano da tempo e molti
altri gesti d’affetto e umanità sono stati incentivati dalla paura che potesse essere l’ultima
occasione per farlo. Dunque, se questo è l’effetto delle profezie catastrofiche,
benvenuta fine del mondo!
dott.ssa Ivana Siena
complimenti, splendida disamina
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